Velletri2030 – COSA CI INSEGNA LA PANDEMIA COVID-19
Il Coronavirus non ci sconfiggerà, ma ciò che potrebbe far crollare la nostra civiltà è come ci comporteremo dopo la pandemia. Se torniamo alla vita che stavamo conducendo fino a dicembre 2019 – un consumo costante come se le risorse fossero davvero infinite – un altro virus molto più forte e più sinistro comparirà, e questa volta potrebbe essere l’ultimo (Loretta Napoleoni – economista – blog 12 Aprile 2020).
La pandemia da Coronavirus sta sconvolgendo abitudini e modi di vivere. Questo periodo così difficile può essere un’occasione per ripensare i nostri stili di vita, per provare a capire meglio le sfide del nostro tempo e imparare alcune lezioni. La pandemia sta mettendo in discussione i nostri modelli di consumo e di gestione dei rifiuti, causando una riduzione delle emissioni di gas serra, del traffico e dell’inquinamento. Economia circolare, decarbonizzazione e mobilità sostenibile: cosa dobbiamo e possiamo fare per sostenere queste grandi sfide green durante e dopo la pandemia? La pandemia apre anche una riflessione su come ripensare le abitazioni, gli spazi condominiali, le città, per vincere le sfide della rivoluzione verde (European Green Deal) proposta dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
Questi temi sono affrontati dal Dossier “Pandemia e sfide green del nostro tempo” presentato il 9 aprile, in web conference, dal Green City Network e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in partnership con Ecomondo – Key Energy. Il Dossier, facilmente scaricabile dal sito della Fondazione, comprende due parti: la prima è dedicata al cambiamento dei consumi e degli stili di vita per l’economia circolare, la decarbonizzazione e la mobilità sostenibile elencando anche una serie di buone pratiche verdi che i cittadini possono adottare per sostenere il cambiamento; la seconda apre una riflessione sul futuro del nostro Abitare.
Le vicende di questi giorni hanno messo in evidenza come sistemi di colture troppo aggressive possano determinare, anche indirettamente, altre conseguenze negative sugli equilibri ambientali e sul benessere della popolazione mondiale: la progressiva trasformazione ed eliminazione di sistemi naturali, unita ad altri fattori quali il commercio incontrollato e spesso illegale di specie di fauna selvatica, contribuisce in maniera rilevante a facilitare il passaggio di organismi patogeni dagli animali all’uomo. Il consumo di materiali nel mondo è cresciuto ad un ritmo doppio di quello della popolazione. Dal 1970 al 2017 la popolazione mondiale è aumentata di 2 volte: da 3,7 MLD a 7,5 MLD. Dal 1970 al 2017 il consumo mondiale di materiali è aumentato di ben 4 volte: da 26,6 a 109 miliardi di tonnellate.
In quale percentuale lo stile di vita dell’uomo è responsabile della diffusione del virus? Come evitare che questo fenomeno possa ripetersi? A rispondere a queste domande, nel corso delle ultime settimane, si sono susseguite numerose pubblicazioni e rapporti scientifici, impegnati nell’individuazione di una connessione tra lo sfruttamento selvaggio del Pianeta e la proliferazione del CoViD-19, a caccia di costanti che siano utili non solo a comprendere il problema, ma a capire come evitare di ripeterlo.
Tra le cause antropiche di propagazione del virus, oltre all’abbattimento delle foreste (considerate il nostro “antivirus naturale”) è stato segnalato anche il pericoloso livello di emissioni presenti nell’aria. “Sulla base della rassegna scientifica, storicamente ricostruita, si può dedurre che il particolato atmosferico (Pm10, Pm2.5) costituisca un efficace vettore per il trasporto, diffusione e proliferazione delle infezioni virali”. Questa affermazione è contenuta in un recente lavoro a più mani, elaborato da un team di accademici e ricercatori italiani della Società Italiana Medicina Ambientale (SIMA), dal titolo” Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione“. Il gruppo di scienziati ha spiegato come il particolato atmosferico, ovvero le particelle di aerosol presenti nell’aria per cause naturali (sale marino, azione del vento, pollini, eruzioni vulcaniche) e fonti antropiche (traffico, riscaldamento, processi industriali) funzioni da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano” a queste particelle con un processo di “coagulazione” che permette al virus di rimanere nell’atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che ne veicola la diffusione e trasporto anche sulle lunghe distanze. Il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, permette la sopravvivenza del virus e “costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni”. Ipotesi ripresa anche dai ricercatori del Dipartimento di Biostatistica della Harvard T.H. Chan School of Public Heath, che hanno investigato l’ipotesi che gli effetti a lungo termine dell’inquinamento da polveri sottili (Pm2.5) possano aumentare drasticamente il rischio di morte da CoViD-19.
Non ci sono certezze. Stiamo imparando, cercando di distinguere i pareri dei parolai da quelli degli scienziati. L’emergenza Coronavirus aiuta a leggere l’Agenda 2030 dell’ONU con una chiave nuova. Tutto si lega. Si tratta di un’ulteriore conferma di come la tutela – o la non tutela – dei sistemi naturali abbia conseguenze dirette su tutte le attività umane, in primis sulla nostra salute. Anche Papa Francesco alcuni giorni fa con le parole “pensavamo di rimanere sani in un mondo malato” ha sottolineato questa inscindibile relazione tra uomo e natura.
La conclusione allora è: cosa stiamo imparando da questo evento sciagurato e cosa non va per nessuna ragione dimenticato? Qual è la lezione appresa in chiave di vulnerabilità e resilienza dall’attuale emergenza sanitaria? Quali sono i punti deboli emersi nel sistema italiano e quali risposte di anticipazione, prevenzione e riduzione del danno si possono elaborare per eventi analoghi futuri? Ognuno è chiamato a riflettere su questi temi.
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