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Novembre 19
22:11 2017

Il futuro ha una caratteristica: prima o poi arriva. Ogni tentativo di fermare il cambiamento in atto è puramente velleitario. Per la grande rilevanza che il tema della sostituzione uomo-macchina sta assumendo nel dibattito nazionale e internazionale, Ambrosetti Club ha ritenuto meritevole l’avvio di un percorso di riflessione volto a fornire una stima indipendente del reale impatto che il fenomeno potrà avere per il nostro Paese. I risultati sono riportati nel Rapporto “Tecnologia e lavoro: governare il cambiamento” che ha suscitato tanto interesse tra i media nazionali

https://www.ambrosetti.eu/wp-content/uploads/Ambrosetti-Club-2017_Ricerca-Tecnologia-e-Lavoro.pdf

Le previsioni sono fosche. In Italia nei prossimi 15 anni 3 milioni e 200 mila posti di lavoro sono a rischio. Ma la perdita di occupazione generata dall’innovazione tecnologica è solo un aspetto di quest’ultima, che ha anche effetti positivi poiché abilita la creazione di nuove professioni e nuova occupazione. Affinché l’Italia sia in grado di cogliere le opportunità offerte dall’automazione e dall’innovazione, creando nuovi posti di lavoro ad alto valore aggiunto, è necessario che vengano fatte delle scelte finalizzate a gestire il cambiamento invece che subirlo. Il processo va governato. Per cavalcare l’onda senza essere travolti sarà necessario puntare su tutti quei lavori tecnici, artigianali e creativi che non sono a portata delle macchine. Il risultato è incerto. Da una parte coloro che dicono che tutto si aggiusterà da solo come all’inizio del secolo scorso quando la scomparsa di costruttori e conducenti di carrozze è stata più che compensata dagli operai delle catene di montaggio della neonata industria automobilistica. Dall’altra molti economisti che sostengono la tesi che il cambiamento epocale davanti al quale ci troviamo questa volta, a differenza delle precedenti rivoluzioni industriali, vedrà un saldo negativo dei posti di lavoro.

Che cosa fare? Due sono le possibili aree di intervento: da una parte sarà necessario adeguare i piani di studio alle nuove esigenze delle imprese, dall’altra parte è importante che i lavoratori possano, tramite corsi di aggiornamento permanente, consolidare e accrescere le proprie competenze, in modo da rimanere competitivi in un mercato del lavoro in continua evoluzione.

Il tema: «Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale» è stato oggetto della 48ª Settimana Sociale che si è svolta a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017, con il proponimento di dare un contributo all’intera società italiana per uscire dalla crisi in cui versa. Purtroppo questo evento ha avuto scarsa risonanza sui media nazionali e nulla sui media locali. L’economista cattolicoLeonardo Becchetti, intervenendo con la relazione “ripartire dalle buone pratiche per curare la ferita del lavoro: l’esperienza dei cercatori di lavoro” ha citato l’Agenda 2030 sullo Sviluppo Sostenibile “… Non è un caso che nei Sustainable Development Goals (SDGs), i 17 obiettivi che costituiscono l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, si parli molto di più che in passato dell’azione della società civile. È del tutto evidente, infatti, che quando parliamo di ambiente (e ad esempio di risorse idriche) gli stili di vita sono fondamentali e senza la collaborazione dei cittadini le istituzioni possono poco e non sono stimolate ad agire…”.

Velletri 2030 ha trattato indirettamente il tema “tecnologia e lavoro” nel Documento “Velletri 2030 – un’idea di sviluppo sostenibile ed. 2017”. Di seguito una citazione da pag. 88 “L’innovazione tecnologica associata al concetto di smart city comporta anche un ripensamento nella specializzazione di aree e distretti dedicati alla nascita di nuove iniziative imprenditoriali. Oggi sempre più spesso si parla di Distretti Tecnologici. Il tema dei distretti tecnologici (DT) è attualmente al centro di un intenso dibattito a livello nazionale e internazionale. Esiste ormai piena consapevolezza che lo sviluppo dell’economia basata sulla conoscenza dipende in maniera cruciale anche dalla qualità e dall’intensità del radicamento territoriale delle attività ad elevato contenuto scientifico e tecnologico. Investire risorse per la realizzazione di aree attrezzate per la nascita di nuove iniziative imprenditoriali (start-up) nel campo dell’innovazione tecnologica determina ritorni economici e ricadute di varia natura sensibilmente superiori rispetto ad investimenti in aree destinate allo sviluppo di iniziative imprenditoriali a basso contenuto scientifico e tecnologico (esempio alcune Zone Artigianali). Il Piano Nazionale Industria 4.0 potrebbe agire da faro per la definizione di alcune iniziative, almeno per la realizzazione delle “infrastrutture abilitanti” e dei relativi “strumenti pubblici di supporto”

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