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“Voci” di popolo, responsabilità e rappresentanza parlamentare

Maggio 25
06:42 2018

Siamo nella terza Repubblica, entrati nella seconda Repubblica, oppure siamo ancora nella prima Repubblica? Forse dobbiamo attuare la prima Repubblica, simbolo di democrazia incompiuta. Forse la Repubblica è una e non due, tre, ecc. Nel 1946, il decreto legislativo luogotenenziale n.74, ossia emanato dall’allora luogotenente del regno d’Italia – il “reggente” del potere regio in caso di assenza o impedimento del re- e approvato dalla Consulta nazionale del regno d’Italia -l’assemblea legislativa provvisoria in sostituzione del Parlamento sino alla sua elezione-, introdusse il sistema elettorale proporzionale. In seguito, la legge elettorale proporzionale fu abolita nel 1993 tramite referendum. Gli Stati europei iniziarono ad adottare il metodo proporzionale dalla metà dell’ottocento; mentre in Italia la prima volta che fu adottata risale al 1919 dove i seggi erano assegnati, in base alla percentuale ottenuta dai partiti, utilizzando il metodo D’Hondt. Elaborato da Victor D’Hondt nel 1878, prevede che a ogni percentuale attribuita alla lista, corrispondono altrettanti seggi da assegnare tramite la sua divisione per 1,2,3, ecc., scegliendo i coefficienti più alti dove gli eletti sono coloro che all’interno della propria lista ottengono il maggior numero di preferenze. L’attuale legge elettorale n.165 del 2017 è mista: due terzi proporzionale e un terzo maggioritario e ha una soglia di sbarramento fissata al 3% per le singole liste e al 10% per le coalizioni. Il problema che scaturisce dal sistema elettorale proporzionale, in generale, è la frammentazione della rappresentanza politica, se non è prevista una soglia di sbarramento adeguata. Non c’è dubbio però che tale sistema rispecchia identità tra la volontà popolare e la rappresentanza politica. Ciò avviene, anche se si adotta il maggioritario, ma un sistema bipolare apriori, se non retto da un forte bipolarismo o bipartitismo a doppio turno, e nessun partito ottiene al primo la maggioranza assoluta, implica un minor spazio per la maieutica, soprattutto “esterna”, maggior stato di conflitto e una forzatura di “comunione” tra varie forze politiche all’interno della coalizione, o del partito, con il solo scopo di vincere più che governare. L’essere sociale in sostanza è maggiormente rappresentato quando i partiti manifestano, nel loro particolarismo, un’identità omogenea formata da valori e obiettivi; mentre maggioranze e minoranze scaturenti da obiettivi politici consentiranno ai partiti una sintesi per esprimere un dover essere sociale. Il problema dell’eccessiva frammentarietà dei partiti anche se in linea di principio potrebbe essere giusta, nella pratica, le logiche di spartizione e detenzione del potere possono determinare degli effetti destabilizzanti nell’azione di Governo e conseguente violazione del principio democratico: addirittura una sparuta minoranza, in determinate circostanze, potrebbe condizionare l’intera maggioranza governativa cui appartiene. E’ chiaro che una democrazia compiuta per essere efficiente ed efficace richiede che la sua classe dirigente sia cosciente delle problematiche e dei modi per risolverle, quindi preparata culturalmente e responsabile, evitando logiche demagogiche. A questo punto, quale potrebbe essere la migliore legge elettorale? Una soglia di sbarramento medio-alta favorisce una minor frammentazione e un’incisività nell’azione parlamentare perché corrisponde a una certa consistenza di eletti e pertanto, indirettamente, implica “meritocrazia rappresentativa”? E’ possibile un sistema proporzionale puro con scrutinio di lista nazionale, seggi pari al numero dei collegi e una sola preferenza senza voto disgiunto da sommare a quelli ottenuti dal partito nel collegio in modo da garantire un rapporto fiduciario tra partito, territorio, eletto ed elettore, consentendo a quest’ultimo di contribuire a formulare la graduatoria nazionale degli eletti? Tale proposta è una “provocazione” all’eccesiva legislazione in materia? E l’identità dei partiti? Omogenei o eterogenei? In Italia serve una loro “ricomposizione” per renderli omogenei? Bipolarismo dei partiti e correnti? Oppure conservatori, liberali, popolari, socialdemocratici, socialisti e “movimentisti”? Questi ultimi sono sintomatici della crisi dei partiti o sono il futuro? Ricomposizione dei partiti anche europea? “Omologare” i partiti italiani a quelli europei? Più spazio ai principi, valori e obiettivi? Obiettivi retti da principi e valori? Se il sistema proporzionale non è efficace ed efficiente, il problema va rintracciato nell’eccessivo stato di conflitto dei partiti? La responsabilità politica-non penale-fa rima con proporzionalità? Volere fa rima con dovere? E dignità? Con verità? E giustizia? Con furbizia? Quest’ultima “rima baciata” combacia? Responsabilità deriva dal latino “respondere” che significa rispondere: consapevolezza a ricoprire il proprio ruolo in maniera accorta fornendo soluzioni alle problematiche, rivolgendosi sia alla classe politica sia agli elettori sia agli obiettivi politici-tempo, eventi, circostanze, priorità, interessi generali, conti pubblici, sono da tenere “in bilancio”- e non alle “clausole contrattuali”? Viene prima la “sostanza”, la “forma” o entrambe? Voce di popolo, dignità del voto, azione politica volta al perseguimento degli obiettivi, dialogo e confronto per realizzare un programma fulcro di una maggioranza governativa e una minoranza d’opposizione anche variabile? Dialogo e responsabilità, ossia saper fare un passo indietro o in avanti per il bene comune, “strumenti” dell’azione parlamentare? Altrimenti, che Parlamento sarebbe senza il confronto? Semplificazione? Visione? Idee ideali? Forse tutti questi punti interrogativi sono troppi… (?)

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