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“Zabriskie Point”, di Michelangelo Antonioni

“Zabriskie Point”, di Michelangelo Antonioni
Febbraio 09
10:19 2010

dugo-zabriskie_pointCon Zabriskie Point (1970), Michelangelo Antonioni ha realizzato un film prezioso, che parla con le raffinate inquadrature e un montaggio di rara eloquenza ben piú che con il tradizionale strumento della trama e del dialogo tra i personaggi. Per comprendere l’idea che aveva Antonioni della controcultura e dello scontro sociale che imperversava in America al tramonto degli anni Sessanta, occorre rivolgere lo sguardo al minuzioso linguaggio fotografico. In particolare, all’uso di oggetti verticali con cui commenta la situazione settaria che divideva l’America di quegli anni: pali della luce e sportelli d’automobili, palizzate e pareti, edifici, vetrate e tavoli sciorinano una teoria della divisione quotidiana degli spazî che non si limita a registrare gli oggetti di un’epoca che cercava nell’essenzialità del funzionalismo l’ambiente idoneo ai propri bisogni.
Antonioni, dopo le inquadrature dei cartelloni pubblicitari giustapposte in rapida sequenza, disegna tutta la protasi del film con questi oggetti verticali che dividono lo schermo in piú parti e dietro cui, ad un certo punto, si riparano i poliziotti e i manifestanti. Con queste immagini Antonioni ci dice che la società americana non è affatto ‘frantumata’, ma ‘divisa’ da un ordine capillare edificato dagli uomini. Lo schermo tagliato a piú sezioni allude al ventaglio di movimenti d’opinione e di correnti ideologiche che si muovevano in parallelo nello stesso ambiente, cosí come i manifestanti che procedono ordinatamente in fila indiana in modo meramente ritualistico e non dialettico.
Quest’ordine viene iconicamente abbandonato nel momento in cui il protagonista Mark (Mark Frechette), appropriatosi di un velivolo da diporto, esce dalla città, librandosi nello spazio affrancato in cui le abitazioni perdono la loro identità di luoghi d’uso e di scambio e assumono una certa qualità astratta per nulla impositiva. Nelle scene a Zabriskie Point, che evocano le comunità dell’amor libero che si isolavano dalla società in luoghi simili, la verticalità che sfaccettava lo schermo lascia il posto a forme tondeggianti dall’aspetto lunare a perdita d’occhio, a mo’ di certi quadri di Leonardo: il riferimento iconico piú preciso è all’arte che in quegli anni impegnava il nostro Mario Schifano.
Potevano tali due mondi, quello del benessere settario e quello di chi se ne dissociava, vivere in parallelo? Per Antonioni e per molti osservatori dell’epoca la risposta era affatto negativa: molti giovani della controcultura, conosciuto il mondo da cui provenivano, desideravano mutarlo. Di qui la scena del ritorno in aereo di Mark che vuole restituire il velivolo dopo averlo colorato con le tinte e le figure beffarde della controcultura. Antonioni registra pure l’impreparazione della polizia, che apriva il fuoco contro i giovani disarmati e che, dopo quegli anni violenti, si è vista costretta ad aumentare il proprio livello di istruzione in corsi che si tengono nei college, retaggio didattico del Sessantotto.
Dopo l’uccisione di Mark, è l’ordine settario ad invadere lo spazio libero. Zabriskie Point è ora cosparso di torreggianti cactus che impongono la verticalità intorno all’eroina Daria (Daria Halprin), con inquadrature che fanno di Zabriskie Point un cimitero di piante anziché di lapidi infisse nel terreno: il sentimento di ludica libertà di Daria è violato dalla cruda realtà che la imprigiona, riempiendo di simboli inquietanti la natura stessa. Ora la natura non riserba piú uno spazio neopagano e pànico ‘fuori del tempo’ in cui rivolgersi alla propria spiritualità. La villa in cui entra Daria è un misto dei due universi paralleli del film: grossi massi scomposti sostenuti da pilastri verticali e la natura resa artificiale per la comodità dei businessmen che vogliono spartirsi Zabriskie Point. Daria abbandona la casa e nel dolore per la perdita di Mark immagina la celebre scena dell’esplosione della villa, ripetuta tante volte da angolature diverse. Il suo vestito, inumidito dall’equorea cascatella della villa pseudonaturale, si divide a metà in due distinte tonalità, ad indicare il contrasto intimo del personaggio, spezzato in due entità che non posson piú esser rimarginate.
È singolare e del tutto conforme a questo genere di sviluppi che la pacifica Daria sia indotta a pensare al terrorismo: è tipico della radicalizzazione degli scontri che spinge alcuni giovani di famiglie ‘bene’ a trovar sbocco sentimentale in un’opposizione radicale al ‘sistema’, né piú e né meno di quanto sia avvenuto nel secondo Ottocento in Russia, quando i pacifici e colti èajkovcy, dopo l’‘andata al popolo’ e i due odiosi processi ‘dei Cinquanta’ e ‘dei Centonovantatré’, passarono alla lotta armata. Nel film l’allusione cade sull’insorgente ondata terroristica dei Weather Underground che, staccatisi dalla New Left della SDS, iniziarono una campagna dinamitarda rivolta agli edifici governativi e alle banche a partire dal 1970. Ma la visione di Antonioni è anticipatoria, poiché in Zabriskie Point v’è già un accenno all’attacco alle famiglie americane, ossia alla quotidianità della vita privata, che i Weathermen intrapresero solo in una fase successiva.
Antonioni non si limita ad interpretare le ragioni dell’odio e le possibili conseguenze, ma ci mette del suo nel criticare le forme d’arte asservite al sistema, a cominciare dalla ‘alternativa’ Pop Art.
L’odio genera una frantumazione insanabile, in cui, se non v’è piú spazio per la trasognante libertà separatista, non v’è neppure alcun luogo sicuro per l’impermeabile settarietà raffigurata dagli oggetti verticali.
Il regista italiano, con l’ausilio d’uno splendido frammento di “Careful with That Axe, Eugene” dei Pink Floyd, fa deflagrare, a mo’ dei lavori di Schifano, gli oggetti che costituiscono lo status symbol del benessere americano, cui Andy Warhol aveva asservito la sua arte in opposizione all’espressionismo astratto il cui sommo esponente era stato Jackson Pollock.
Gli oggetti, del tutto riconoscibili ed evidentemente memori dell’artista pop Richard Hamilton, si librano e frantumano nello spazio aereo in cui aveva volato Mark. Poi la villa stessa, esplodendo nuovamente, li fa uscire da sé sempre piú rarefati e informi, come chiazze piú o meno colorate tipiche dell’astrattismo di Pollock. Antonioni mette alla berlina l’arte che si vende al mercato industriale, firmando l’omaggio all’astrattismo naturale di un’anima che esprime i propri sentimenti, poiché l’uomo, di là dalle proprie costruzioni sociali, è destinato sempre ad aver a che fare con la natura che brucia in sé tutte le linee del funzionalismo, come il sole antichissimo che, nella chiusa del film, deforma e invade il paesaggio, a segnare il tramonto di un’epoca di opposizioni poco dialogiche, che si schermavano nella mancanza di un vero ascolto reciproco e che avrebbero portato a penosi attriti tesi all’annientamento del ‘nemico’.

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