Planh. Compianto
Nel cesto il lavoro
Da poco lasciato. Cerniere
E bottoni, di tanti
Colori, cuciono insieme
Presente e passato.
Gli alti soffitti, le sale imponenti,
Sussurrano insieme di Novecento.
I gigli bianchi nei vasi smaltati
Ne portano il segno
E profumano il tempo.
Di giovinezza a lungo fiorita,
Matura, poi, in vita di sposa.
E gigli bianchi e trespoli e alzate,
Memorie sbiadite di foto di guerra.
Scandiscono il tempo,
Con calma e misura,
Di ogni giorno i piccoli riti.
Lungo è il mattino
E operoso
Di mani di donna.
Qualcuna canta, chi ride impazzata,
Chi sensi germoglia e pienezza
D’amore nel filare parole.
Lungo è il mattino,
Sfogliato nel sole,
Aperte le tende, aperte le stanze,
Lenzuola bianche
Che nella notte
Ha impregnato passione.
Nascono figli, sommano gioie.
Vai con baldanza
incontro alla vita.
Ancora piena di svolte,
Infinita.
Ruota la sfera sull’asse dei sogni,
Sembra che niente la possa fermare.
Neppure gli inverni
Severi, la neve, a ricoprire
I boschi e le valli.
Fuma il paese sotto la Monna.
Dorme la casa tra braccia sicure. L’uomo
Che hai scelto, che ti accompagna,
Sa farti sorridere, e calma
Ogni inquietudine, ogni tua ansia.
Nelle sue braccia fiorisce la sposa,
Fiorisce il sogno che avete sognato,
Entrambi uniti
Da quel sì, da quel voto.
Ruota la sfera, disvela i colori
Delle pienezza, del risultato.
Fuma il camino a metà mattino.
Voci di donna nella cucina,
Lavorano insieme
Chi cuoce, chi affetta.
Chiacchiere e risa, segreti svelati,
Piccole storie di piccola
Storia. Ma a metà giorno,
Dopo i dodici tocchi
Della campana dalla chiesa vicina,
Quando il sole pian
Piano declina, e il pasto
Nella sala grande servito,
Ormai per intero
E’ già consumato,
Qualcuno si alza, comincia il congedo.
Gigli bianchi nei vasi smaltati
Trespoli e alzate
Del secolo andato.
Dal letto grande hanno tolto un cuscino.
L’altro al centro
Troneggia severo, indurito
Dal pianto, schiacciato dal peso
Di tutti i pensieri
Accalcati, arroganti
A rubare il sonno di notti confuse,
senza più braccia, senza parole.
Lune mozzate, civette da sole,
Cantano il grido del tuo dolore.
Dal bosco ripetono
Monotone l’eco della
Domanda da sempre uguale,
Il perché dell’uomo
Che al proprio destino
Non vuole accordare
La perdita, il lutto, la fine.
Nell’angolo dormi sulla tua
Sedia, la grande sala non
Vuoi lasciare.
E gigli bianchi, nei vasi smaltati
Hanno disposto mani gentili.
Il loro profumo attraversa
Il tuo sonno, membrane di
Sogni, sottile, sa penetrare.
Quando ragazza la sera
Uscivi a ballare, e tuo fratello
Complice guardia di te,
Donna nuova, lasciava che
Sguardi di amici ammirati
Sfiorassero lunghi il lembo
Di seta della tua gonna.
Su caviglie sottili
Ti alzi a ballare.
Dal sonno chiama imperiosa la
Vita,
Non trattenetemi
Lasciatemi andare.
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