Recensione del film “Per te”
Domenica scorsa ho assistito al film “Per te”, diretto da Alessandro Aronadio, liberamente ispirato al libro “Un tempo piccolo. Continuare a essere famiglia con l’Alzheimer precoce” di Serenella Antoniazzi e che racconta la storia vera di Paolo Piccoli (Edoardo Leo) che poco più che quarantenne riceve la diagnosi di Alzheimer precoce e ad aiutarlo e sostenerlo trova il figlio Mattia (Javier Francesco Leoni), di soli undici anni, e la moglie Michela (Teresa Saponangelo). Il figlio Mattia Piccoli, è stato insignito nel 2021 del titolo di Alfiere della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella: “per l’amore e la cura con cui segue quotidianamente la malattia del padre e lo aiuta a contrastarla. Il suo impegno è quanto mai prezioso: non è frequente che un giovanissimo svolga, con tanta dedizione, il compito di caregiver, tuttavia la sua esperienza è un esempio anche per i coetanei”. Il titolo “Per te” è la dedica che il figlio Mattia fa al padre e dentro c’è tutto l’amore e la cura di un figlio verso il padre, quel “ti voglio bene” che i protagonisti si dicono ma che tutti i gesti possibili dimostrano durante il film (aiutarsi a fare la barba, la presenza e vicinanza dei cari, scattare foto ricordo per non cancellare i ricordi e richiamarli alla mente, alleggerire la malattia col ballo, feste in maschera e un po’ di leggerezza per alleviare lo spirito con la vitalità seppur nella malattia, …). Il film che tratta il difficile tema delle malattie degenerative lo fa con tatto, sensibilità, rispetto. Una celebrazione dell’amore come forza capace di opporsi al tempo, all’oblio e alla fragilità. Un film che ci ricorda quanto anche nei momenti più difficili, l’affetto e la condivisione possano rappresentare una luce potente, capace di tenere unita una famiglia. Se da una parte il padre consapevole di essere malato e che sa che da lì a poco verranno cancellati i suoi ricordi, cerca di costruirne e richiamarne alla memoria il più possibile a suo figlio (imparare a guidare un’auto, vedere il VHS del film “Rocky”, fare la pasta in casa secondo la ricetta della nonna, passeggiare nell’orto botanico di Roma, visitare la casa dei nonni per giocare a calcio in spiaggia con lo zio, ..), dall’altra parte c’è il rapporto con la moglie con la quale cerca di ricreare la magia del primo appuntamento, una cena romantica, la visione insieme dell’opera, il ballo, i giochi buffi del cinema comico muto in bianco e nero. Sono gesti semplici, quotidiani, eppure da lì a poco quella quotidianità sarà stravolta. Serve tanta presenza di fronte a chi si ammala di Alzheimer, un impegno costante per non far sentire chi sta male solo. Il piccolo Mattia chiederà durante il film al padre se ha paura, e il padre gli risponderà di sì, ma il figlio gli dirà a sua volta “Anche io ho paura, però il punto non è avere paura, ma è cosa ci fai con quella paura”; i due hanno appena visto il film “Rocky” col quale il padre ha cercato di trasmettere al figlio che la vita colpisce duro ma la vera forza sta nel resistere ai colpi, nel come si rimane in piedi di fronte ai colpi della vita, così come Rocky non va al tappeto ma resta in piedi, così lo stesso Paolo si sente dicendolo al figlio e il figlio, sentendolo a sua volta, gli rimanderà lo stesso concetto. Successivamente, con l’avanzare della malattia, si invertiranno i ruoli, inevitabilmente il figlio si ritroverà a insegnare al padre ciò che prima lui gli insegnava (pensiamo alla scena del farsi la barba), perché la malattia degenerativa dell’Alzheimer fa diventare il malato una persona che deve essere assistita come un bambino perché non si è più capaci di essere autonomi e si ha bisogno d’aiuto in tutto. Il decorso dell’Alzheimer, che ad oggi non ha una cura ma può essere solo rallentato, richiede molta forza per chi lo vive in prima persona ma anche per i cari che ti circondano nella consapevolezza dell’amore eterno che nulla potrà mai cancellare, nemmeno la malattia, quello stesso amore che ci fa dire a chi amiamo, nonostante tutte le avversità della vita (così come l’Alzheimer): “Io non ti ho mai scelto, semplicemente eri e sei ancora tu”.
(A mia nonna Teresa e a tutte quelle persone colpite dall’ Alzheimer).






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