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Riflessioni di primavera

Riflessioni di primavera
Agosto 13
00:00 2008

lanciotti-PrimaveraÈ arrivata la primavera e non me ne sono accorta. Brutto segno. Una volta la primavera la sentivo arrivare come un pizzicorino sottopelle e una smania che sapeva di vaniglia. Era la stagione che non mi faceva dormire e quando dormivo vedevo sbocciare fiori sotto le pietre. La primavera è arrivata e non me ne sono accorta, forse perché non ho sfogliato il calendario. Forse solo sul calendario si trova ancora la primavera. Un periodo dell’anno che piace agli strateghi della guerra per organizzare battute. La guerra sempre più orrenda che insanguina il pianeta. Quanto sangue avrà assorbito la terra da quando è iniziata la storia dell’uomo e quanto ancora dovrà assorbirne prima della sua fine? È dall’impasto di terra e di sangue che nascono i fiori? Viene il momento del rigetto. Del disgusto per tanta barbarie, del rifiuto di tentare ancora di spiegarsi il senso di tanta ferocia. Di tanta efferatezza a scopo di lucro. Se i motivi per fare una guerra non ci sono, s’inventano. Altrimenti le fabbriche di armi vanno in passivo. Altrimenti non si va avanti con la ricerca di armi sempre più sofisticate, sempre più terribili. Sangue chiama sangue. E si continua a spargere sangue. Siamo forse belve travestite da uomini? Siamo forse lupi che neppure si travestono più da agnelli? Siamo forse soltanto burattini in mano ai pazzi paranoici di cui è stata sempre piena la storia? Forse allora si potrebbe tentare una terapia d’urto. Legare i pazzi scatenati che giocano a fare gli onnipotenti a una comoda poltrona e fare ascoltare loro la storia fin dal suo inizio raccontata dalla voce dei morti, e poi dai sopravvissuti, e poi dagli eredi dei sopravvissuti, e ancora dalle vittime in generale e dai mutilati dalle mine antiuomo in particolare; chi saltellando su un piede perché l’altra gamba non ce l’ha più, chi con gli occhi fuori dalle orbite sbottati via per il contraccolpo, chi monco e chi sfigurato, chi ustionato e chi assordato, tutti dovrebbero raccontare ai signori in poltrona, con dovizia di particolari, la loro macabra esperienza; e poi dovrebbero parlare le madri, le mogli, le figlie e i vari testimoni senza interruzione – notte e giorno, giorno e notte – raccontando i guasti prodotti dal gas nervino, dai gas asfissianti, e come le cannonate ti riducono una casa e chi ci sta dentro, e come le bombe intelligenti vanno a colpire bersagli non previsti ma l’errore è ammesso, e come è brutta la fame e la sete, e come è rosso il sangue, e come è grigia la materia cerebrale che fuoriesce da un cranio spaccato, e come puzzano le interiora sparse a terra, e come fa impazzire il dolore, e come fa urlare la morte che viene e non ti prende, ma prende il tuo migliore amico, tuo padre o tua madre, la sposa o lo sposo. O tuo figlio. O la famiglia tutta insieme, lasciandoti per beffa vivo.
“Nessun uomo è un’Isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della Terra. Se una zolla viene portata dall’onda del mare, l’Europa ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica, o la tua stessa casa. Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana. Essa suona per te”(John Donne).
Non ho sentito arrivare la primavera, e non solo per una questione climatica impazzita. Troppi rintocchi di campane dentro la testa. Troppe morti atroci e inammissibili che impoveriscono la mia e l’intera umanità.

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