Salò e l’Italia degli anni ‘70. Pasolini, cinquant’anni dopo
Un’immensa fossa di serpenti, così Pier Paolo Pasolini definì l’Italia degli anni ‘70. E per ribattere all’Italia del consumismo coatto produce Salò. Un film scioccante. Perché Pasolini vuole sconvolgere, vuole provocare un fremito, sia pure d’orrore. Gli italiani stanno cedendo al potere economico, stanno diventando gli strumenti della loro stessa distruzione. Pasolini non si rassegna. Sa con estrema chiarezza che la storia farà comunque il suo corso, come un bulldozer spianerà ideali e coscienze al suo passaggio. E lui vuole che sia almeno una morte sensazionale, quella che aspetta l’uomo moderno. Una morte che resti bene impressa. Salò è il film della violenza più agghiacciante, eppure non soddisfa Pasolini. Nessuna finzione filmica potrà mai rendere l’idea della violenza reale, quella che lui ha conosciuto e assorbito durante la pazzia fascista e quella mascherata e sottile, ma non meno feroce, anzi più abbietta, che marca e imbarbarisce il suo tempo. Salò o le 120 giornate di Sodoma, film scandalo di Pasolini, lo scrittore più scandaloso dei nostri tempi perché il più aderente alla realtà, passato di censura in censura arrivò postumo e aspramente osteggiato nella sale italiane e mai mandato in tv. Troppo violento e osceno, come la vita e la morte del suo Autore. E nella cosiddetta società civile la violenza e l’impudicizia non piacciono e non sono ammesse, se non funzionali a scopi di lucro e a segrete e inammissibili godurie private. Da consumarsi a schermo oscurato.






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