(Sguardi) “M. – Il figlio del secolo”, rappresentare un ‘delirio collettivo’

M. – Il figlio del secolo, regia di Joe Wright, senza eccessive, false, pretese, è stata una serie spettacolare. Oltre a mettere in scena una dittatura ha ricordato con forti tratti culturali, un’epoca. Con grande sforzo attoriale Luca Marinelli si è caricato sulle spalle un personaggio che qui è anfitrione del suo tempo, delle gesta e del clima che va costruendo con le sue malefatte: svuota il parlamento dall’interno, sgomenta gli avversari, ad ognuno dei suoi sodali fa credere d’essere il pezzo più importante dell’opera mentre prova a porsi come unico erede di se stesso, la posta è alta: uscire per sempre dalla povertà, non imbarcare più umiliazioni da chicchessia, poter esercitare, finalmente, il male. Complice una regia geniale, costumi elegantissimi (di Massimo Cantini Parrini) che migliorano in stoffa e fattura di pari passo col peggiorare delle vicende e rappresentano l’ego smisurato di chi li indossa, quali simboli di potere raggiunto e consistenza sociale. Complice una ricerca storica per gli interni, gli arredamenti, le scene, oltre quella già apprezzata dai lettori dei romanzi di Antonio Scurati dal primo dei quali, M. – Il figlio del secolo – Bompiani, appunto, è tratta l’opera visiva, scritti capaci di coinvolgere il lettore col gusto del saggio documentale sul fascismo e con l’equilibrio tra pubblico e privato riguardo le vite dei personaggi, sempre a favore delle figure pubbliche, ai fini della conferma del vero romanzo storico, senza scene melense né pornografia.
Presente il parlamento, seppure sgomento, i politici, il re, breve nell’altezza e nella sapienza, stampa, camicie nere, mentre l’assenza è proprio quella del popolo, almeno in forma di ragionamento o brusio; il popolo esiste solo nelle folle oceaniche, svociato della singolarità, creato ad hoc, anche quando sembra riprendere l’ultima boccata di senso civile solo col tragico omicidio Matteotti (la posa mortale di quest’ultimo, l’ottimo Gaetano Bruno, appena ucciso e poi seppellito in una buca nel bosco, troppo corta per la sua altezza, somiglia tanto a quella postura mortale dell’altro onorevole Aldo Moro sacrificato in nome del gattopardismo politico dell’ultimo tratto del ‘900). Per altro il popolo, in una foto di massa, è nella controcopertina del volume cartaceo del libro, un indistinto personaggio, la gente, facce che sembrano tutte uguali, il popolo: colui che ha contribuito alla massima resa del dittatore.
Il regista e gli sceneggiatori, fra cui l’autore del libro, creano un ottimo precedente per tutti quei film che per forza storica devono procedere per scene campali. Qui non tutte, volutamente, con la stessa profondità sono cucite da musiche potenti, filmati crudelmente originali, la velocità di rotative e macchine che restituiscono la misura ed il passo veloce del secolo breve, tutto imita la perfessione, per dirla in dialetto ducesco, della macchina, una vera festa del particolare ma in una lettura mai noiosa, (e terribile nelle scene violente in cui le camicie nere vengono lasciate agire senza controllo). La regia fa delle musiche (Tom Rowlands dei Chemical Brothers) e del movimento del tempo il vero nemico, mai l’alleato, del dittatore: la sua vita declina, pure quelle degli altri, già nel primo quinquennio narrato nel primo libro (23 marzo 1919 – 3 gennaio 1925), il dittatore è provato dall’ulcera che lo piega in due, dal sospetto che si porta fin dentro il letto (l’amante lo ama, e lui la usa, la moglie, forse non lo ama più e lui la sospetta di tradimenti, mentre tradisce con decine di donne l’una e l’altra…), in una girandola di tradimenti. Fra le interpretazioni di spicco, oltre quella di Luca Marinelli che pare guidarsi fra scene e flash back d’un teatrino off, inserite anche nei non pochi flussi di coscienza in cui il dittatore ‘ripassa’ il recente passato, provando forse ad essere altro e facendo riemergere, invece, con un sorrisetto sghembo (che conoscevamo all’attore nello Zingaro di Lo chiamavano Jeeg Robot) il solito ‘vecchio’ se stesso; quella di Francesco Russo che impersona Cesarino Rossi, l’abile consigliere e capo ufficio stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri, che il duce sembra odiare appena apre bocca ma del pragmatismo del quale sembra non poter fare a meno; quella di Barbara Chichiarelli che interpreta Margherita Sarfatti, ricca colta ereditiera, sposata, amante del duce, capace di tramutare in oro tutto ciò che tocca; affascinerà Mussolini finché questi non la rottamerà per età e per la convinzione d’aver imparato tutto quel che c’era da sapere. Nelle due interpretazioni la ‘sobrietà’, diversa fra i due, accortezza nel primo ed eleganza nella seconda, s’accompagna ad un che di scettico, appena accennato, nei confronti del duce, quando le due menti più raffinate comprendono che la smisurata ambizione non va esattamente di pari passo con un’intelligenza sconfinata ed incapace, soprattutto, di padroneggiare il lato oscuro, che, indubitabilmente c’è. Ma questa finezza testimonia la capacità di M. di affascinare con la sua retorica e la figura persone più capaci e colte e piegarle ai propri fini, in questo lasso temporale, quello della scalata sociale e politica. In sostanza: le scene campali, quelle che segnano le vere tappe della storia, esistono, ma la recitazione viene sgranata in un affresco più grande, una esaltazione che pervade l’epoca della velocità, e i suoi cantori fra cui il Gabriele D’Annunzio/Paolo Pierobon, così da restituire in qualche modo il vero spirito del libro: vivere la scena, i fatti, confrontarli con i documenti storici, che a volte, in quanto a schiettezza e doppiezza sorprendono oltre le pagine del romanzo, l’avvertenza che sottende lo scritto: i meccanismi del potere sono quelli, l’uomo solo al comando si muove in un certo modo, come anche i gregari. Fotografia caravaggesca di Seamus McGarvey (se ne trova facilmente la filmografia che ne testimonia versatilità e la collaborazione con altre grandi regie). Ci sono altri tre volumi della saga, il quinto uscirà il 25 aprile 2025, la serie forse proseguirà, ad ascoltare i rumors di fondo. Il film nell’insieme restituisce il senso di un “delirio collettivo”, forse non insegna nulla ma ispira molte riflessioni. (Serena Grizi)
Nelle immagini: L’attore Luca Marinelli e il suo M. – Poster del film – Immagini web
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