“Una battaglia dopo l’altra”, il postmoderno di Pynchon passa per le immagini di P. T. Anderson (e per la I.A.?)
Difficile affezionarsi ai personaggi costruiti nei romanzi di Thomas Pynchon, considerato uno dei più importanti autori statunitensi del romanzo postmoderno, poiché tanto presi dal loro io trascinante e dalle vicende che li muovono, raramente uno di essi lascia un segno davvero memorabile nella mente del lettore, magari per la profondità di qualcosa che ha detto o pensato, perché questi vengono lanciati nella trama per dimostrare direttamente cosa sono, senza, per così dire, fronzoli ‘letterari’, così nella sceneggiatura scritta per Una battaglia dopo l’altra dal cineasta Paul Thomas Anderson (memorabili i suoi Magnolia, Il petroliere, The Master) che mette sullo schermo il romanzo di Pynchon.
L’America contemporanea porta i segni dei recenti cambiamenti: Vineland il romanzo da cui è tratto il film è del 1990 ma trasposto ai giorni nostri, adombrato anche un presidente simil Trump….C’è la necessità, per chi la pensa in un certo modo, di difendere i migranti dalle angherie commesse ai loro danni dallo stato centrale (centri di detenzione, violenze): il film dà per scontato che molte frange politicizzate per ‘difendere la democrazia’ dagli attacchi di ‘personaggi politici’ destabilizzanti, violenti e massoni, imbraccino le armi. È chiara l’importanza anche qui, in alcuni film tale programmaticità risulta quasi stucchevole, del personaggio che porta i caratteri del nuovo empowerment femminile: e chi se non la sfrontata e bellissima Perfidia ‘Beverly Hills’/Teyana Taylor, che in una scena vuole fare sesso mentre esplodono bombe fabbricate in maniera rudimentale dal suo compagno Pat Calhoun/Leonardo DiCaprio, che mettono a segno l’ennesimo attentato contro il potere costituito. Perfidia, però, cede anche alla virilità yankee del capitano Lockjaw/Sean Penn, straordinario suprematista bianco, assurdo oltre il limite ma mai macchiettistico. Da qui prende il via una vicenda rocambolesca nonostante le strade di Perfidia e Pat si dividano e Pat allevi la loro figlia Willa/Chase Infiniti in un’apparente serenità, supportata anche da rivoluzionari organizzatissimi come sensei Sergio St. Carlos/Benicio del Toro, capace come pochi di coniugare azione, pensiero e politiche di solidarietà. Se non si stesse scrivendo di Thomas Pynchon, per chi conosce almeno L’incanto del lotto 49, verrebbe da pensare a sceneggiature buttate giù con immani dosi di Intelligenza Artificiale, dubbio già sorto guardando buona parte della produzione del regista Y. Lantimos (The Lobster, Povere creature! e, chissà, forse anche l’ultimo film Bugonia) o romanzi come L’educazione di Tara Westover. Perché? Difficile spiegare la sensazione se non rifacendosi a quanto già scritto in apertura: i personaggi si muovono come fumetti, riportando raramente qualcosa di davvero grave, sia nel fisico che nella psiche, dalle loro molteplici, violente, dis-avventure. E se lo scopo di questi personaggi è essere scaraventati da una scena all’altra, le quali messe assieme costruiscono il film, il libro, l’esperienza culturale se volete, difficile è coglierli mentre si pensano come viventi, come forze che agiscono in un tempo dato, in un contesto socio-politico e ne riportino per forza qualcosa che non sia solo mostrato nelle scene, ma anche negli occhi, nelle espressioni degli attori stessi. Certo, almeno una caratteristica personale che li descrive per il corso del film la posseggono: Perfidia è coraggiosa; Pat è nevrotico e vive senza pace; sensei Sergio, proprio perché è un maestro di arti orientali, è uno capace di mantenere la calma (anche mentre Pat sembra spacciato per aver voluto saltare, lui vecchietto almeno cinquantenne, da un tetto all’altro con la tecnica del parkour assieme ai giovani accompagnatori che dovrebbero tenerlo d’occhio durante la fuga e invece se lo perdono mentre cade di sotto); il capitano Lockjaw è un razzista convinto fino all’osso, perché ‘fa figo’, non per altro, gli costasse anche la morte…La macchina, però, se mai si trattasse di sceneggiature e libri nati da interazioni macchina uomo, andrebbe un po’ corretta, perché va bene l’azione, ma poiché l’uomo è, a quanto pare, l’unico animale capace di pensarsi, e di ideare prima di agire, di scegliere, persino, proprio perché agito solo in parte dall’istinto, a volte gli si dovrebbe leggere in faccia un’esitazione, una domanda esistenziale, che non può ridursi quasi solo alla richiesta di Pat a Willa, sua figlia, quando la incita a dichiarare quanto vuole bene a suo padre mentre esce con gli amici (che Pat, per altro, ha criticato perché, guardandoli, qualcuno non riesce ad inquadrarlo in nessun genere/sesso, pur essendo stato giovane negli anni ’90 nei quali, almeno tra ragazzi e ragazze, era sconosciuto il razzismo verso chi voleva vestirsi e presentarsi come più gli piaceva oltre il sesso assegnatogli da madre natura). Per non rivelare troppo trascureremo molte altre cose interessanti fra cui la ‘vestaglia a quadri da battaglia’ di Ghetto Pat ex “French ’75″…
Insomma non si chiede di rifare in continuazione Camera con vista di Ivory, Mission di Joffé, Io e Annie di Allen, Reds di Beatty, capolavori a volte verbosi e ricchi di immagini epocali girati nel decennio 1977-1987 circa, ma di darsi una regolata nelle sceneggiature fra azione e disegno delle psicologie, così che alla fine della visione di un’opera lo spettatore possa riportarsi indietro qualcosa oltre un groviglio di accadimenti e movimenti di macchina, anche virtuosi, che sembra però far scivolare anche il cinema più impegnato, non per forza dedito al solo divertimento, a livello di qualsiasi pellicola di consumo mangiapopcorn. Questi anni meriterebbero ben altre riflessioni? Forse sì.
Chissà se siano reali le notizie riguardo le polemiche sollevate nei confronti della produzione del film: sembra che, per girare alcune scene, abbia fatto sgomberare un accampamento di senzatetto e, di certo, per come sembrerebbe centrale il tema sociale nella pellicola, sarebbe un bel paradosso. È stato già scritto, ma la scena di inseguimenti multipli in auto sulla strada tutta sali e scendi con forti dislivelli per cui da una visuale non si riesce a capire chi c’è a duecento metri, rimane epica. Così anche la rincorsa che il cinema fa nei confronti delle serie televisive? Anche se Una battaglia dopo l’altra viene pubblicizzato come film ‘solo al cinema’! (Serena Grizi)






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