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Addebito della separazione in caso di shopping compulsivo

Addebito della separazione in caso di shopping compulsivo
Febbraio 12
23:00 2014

Che lo shopping possa essere una passione per molte donne sicuramente è una realtà. Quando, però, diventa un’ossessione, spingendo il soggetto ad acquisti inutili, come gioielli, borse… molto frequenti e dai costi sempre più elevati, può diventare un pericolo per l’integrità del matrimonio. Nel caso specifico, moglie e marito si separano proprio a causa di questo “vizio” della moglie, che la porta addirittura a sottrarre denaro al marito e alla propria famiglia. In un primo tempo il giudice ordina al marito di corrispondere alla moglie una somma di denaro a titolo di mantenimento. Il marito, però, non accetta questa decisione e decide di fare ricorso.

Al contrario della precedente pronuncia di primo grado, nell’ambito del ricorso il giudice addebita la separazione alla moglie, escludendo di conseguenza il mantenimento in suo favore. In questo secondo momento la donna viene sottoposta a un’analisi medica, e specificamente al Rorschach, un test psicologico per l’indagine della personalità. Dall’esito del test in questione si riscontra nella donna una nevrosi caratteriale tipica della sindrome da shopping compulsivo, caratterizzata dall’incontrollabile impulso di fare acquisti. Nel corso del giudizio, sebbene la donna si sia resa disponibile ai colloqui dimostrando concentrazione e capacità di memoria, e pur affermando a sua discolpa di non essersi mai sottoposta a nessun tipo di cura, viene sostenuta l’esistenza della patologia in questione. Il comportamento della donna, il suo impulso egoistico di spendere denaro in modo eccessivo e ingiustificato, sottraendolo così alle necessità della famiglia, risulta in violazione dei doveri coniugali di cui all’art. 143 c.c., il quale stabilisce che «con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».
A nulla è servito il tentativo di difesa della donna, che ha sostenuto trattarsi di fatti verificatisi in tempi lontani e quindi, a suo parere, non rientranti tra le cause della crisi matrimoniale. Non essendo stata in grado di dare prova di tali affermazioni, la causa si è conclusa con l’addebito della separazione a carico della donna, con l’esclusione del mantenimento in suo favore e infine con la condanna, nei suoi confronti, al pagamento delle spese processuali.
Da questa sentenza possiamo trarre spunto per riflettere in modo approfondito sull’importanza non solo certamente dei diritti coniugali, ma anche dei doveri, che non riguardano solo casi estremi, più complessi, come l’assistenza in caso di malattia, ma anche aspetti che possono sembrare banali e non rilevanti. Contrarre matrimonio significa innanzi tutto assumersi la responsabilità della costituzione di una nuova famiglia, un tutt’uno a cui deve essere data priorità. Nel caso esaminato, la donna non viene incolpata per il fatto di aver compiuto acquisti, magari anche dalle somme esorbitanti, bensì le viene rimproverato proprio di essersi sostanzialmente posta al primo posto, trascurando le esigenze della famiglia, per soddisfare capricci personali. Certamente se la donna avesse acquistato per esempio delle medicine molto costose per curarsi, la questione sarebbe stata trattata in modo diverso. Evidentemente gioielli, borse, vestiti… non rientrano tra le priorità di una famiglia.
Spesso, come è stato evidenziato nella sentenza riportata, alla base di comportamenti di questo tipo ci sono malattie represse e pregresse, patologie che ledono chi ne è colpito e chi ne è in rapporti. È importante quindi valutare attentamente cosa ci viene richiesto per contrarre matrimonio, se siamo disposti a sacrificarci nei casi di necessità. Riguardo ciò, assume indubbiamente un ruolo importante la famiglia d’origine, che dovrebbe avere la capacità di intercettare l’esistenza di queste patologie nei figli o parenti il prima possibile. Di certo prima che il soggetto affetto dalla patologia si assuma responsabilità cui non è in grado di adempiere. (Cassazione civile, sez. I, sentenza 18.11.2013,n. 25843)

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