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Il Congo e la guerra mondiale in Africa

Il Congo e la guerra mondiale in Africa
Marzo 10
23:00 2009

dm-di-silvestre-W(1)Nei mesi scorsi i vari telegiornali e quotidiani riportarono la notizia della ripresa della guerra che da decenni sconvolge la zona dei Grandi Laghi (Burundi, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo) e che nel 1994 portò alla “pulizia etnica” più feroce del secondo dopoguerra. Mentre a Gaza tuona ancora il cannone, la regione dei Grandi Laghi e in particolare il Nord Kivu sono teatro di scontri etnici che coinvolgono anche le nazioni limitrofe e vedono come sfondo il conflitto tra Hutu e Tutsi. La rivalità tra queste etnie risale alla fine dell’Ottocento, durante l’occupazione coloniale da parte del Belgio. Gli invasori secondo l’antico motto romano “divide et impera”, ripartirono in Hutu e Tutsi la popolazione del Rwanda e del Congo, in base al rango sociale e agli aspetti somatici. I Tutsi divennero il braccio politico e militare dei belgi per governare le colonie. Nel periodo precoloniale gli Hutu praticavano l’agricoltura e i Tutsi si dedicavano all’allevamento. Con la colonizzazione avvenne una cristallizzazione delle etnie. Inglesi, francesi, portoghesi, tedeschi, italiani e belgi per facilitarsi il compito di amministrare territori così vasti crearono dei gruppi amici che facessero da tramite. In Congo i Tutsi furono designati come etnia nobile dominante e fu stabilita una differenza fisica inesistente: secondo i belgi i Tutsi erano più alti, con la carnagione più chiara mentre gli Hutu vennero considerati una razza inferiore e poco intelligente. Negli anni Trenta fu riorganizzata l’amministrazione coloniale e ai Tutsi vennero attribuiti poteri a livello locale che prima della guerra non avevano mai avuto: controllo delle coltivazioni e reclutamento della manodopera. Gli Hutu continuarono a essere discriminati, sfruttati ed esclusi dalle cariche pubbliche. Nel 1933 venne istituita la carta di identità in cui veniva indicata l’etnia di appartenenza segnando fin dalla nascita la vita dei rwandesi. Quando il Rwanda ottenne l’indipendenza gli Hutu scaricarono la loro rabbia contro i Tutsi che culminò con il massacro del 1962 e in misura maggiore nel 1994 quando in Italia eravamo troppo presi dai Mondiali di calcio mentre in quelle zone i Tutsi venivano massacrati a colpi di kalashnikov e di machete e gettati nel fiume. In soli cento giorni furono uccisi un milione di Tutsi. Da molte parti l’evento fu liquidato come l’ennesimo scontro tribale tra due popoli rivali, il solito massacro causato dalla povertà e dal sottosviluppo. Solo qualche giornale o qualche studioso tentarono un’analisi approfondita dei fatti. In quei giorni non c’erano corrispondenti stranieri che raccontarono al mondo il dramma perché tutti gli occidentali (giornalisti, diplomatici e operatori dell’Onu) erano scappati via da Kigali abbandonando quella gente al proprio destino. Forse se ne parlò quando migliaia di Tutsi scapparono nella Repubblica Democratica del Congo: allora si cominciò a parlare di emergenza profughi e si paventò il pericolo di epidemie, ma nessuno si chiese perché così tanta gente fuggiva dal proprio paese. Gli Hutu formarono delle milizie paramilitari chiamate FDLR (Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda), che nel 1998 commisero un altro massacro di Tutsi. Da questi fatti si scatenò la “Guerra Mondiale Africana”, che terminò nel 2003 e vide coinvolte otto nazioni africane, tra cui il Congo, il Rwanda, il Burundi, l’Uganda, l’Angola e lo Zimbabwe e 25 gruppi armati attivi ancora oggi. Al termine della guerra il Nord Kivu fu occupato dai ribelli creando momenti di tensione e di guerriglia. La situazione sembrò normalizzarsi all’inizio dello scorso anno quando vista l’impossibilità da parte dei governativi di sconfiggere i ribelli si giunse alla firma di un accordo di pace, ma nonostante la presenza dei Caschi Blu dell’Onu gli scontri sono continuati. Negli ultimi mesi dello scorso anno la situazione si è venuta nuovamente degenerando quando Rwanda e Burundi appoggiarono gli attacchi delle formazioni paramilitari Hutu, accusando il Congo di sostenere i responsabili del genocidio del Rwanda. Gli scontri sono ripresi intorno alle città di Goma (Congo) e Giseny (Rwanda). L’escalation militare ha portato a episodi di violenza e di saccheggio coinvolgendo la popolazione civile che ha abbandonato le città cercando rifugio nei campi profughi. In questo momento migliaia di persone sono alla fame. Attualmente questa è la situazione sul campo anche se di notizie non ne arrivano più. Ma questa guerra tra Hutu e Tutsi è una guerra etnica? In realtà ci sono altri interessi legati alla nostra economia. Sappiamo che il Congo è ricco di risorse naturali: nobio, cobalto (essenziale per le industrie nucleari, aerospaziali e per la difesa), diamanti, stagno, oro, rame, petrolio, carbone, uranio e zinco senza contare le immense risorse di legno e cacciagione. Ma la risorsa più importante è il coltan, indispensabile per la costruzione dei cellulari. Da questo emerge che coloro che soffiano sul fuoco sono le multinazionali che operano in questi settori ed è per questo che tutte le missioni ONU non hanno risultato. Per le multinazionali è più conveniente un Congo dilaniato dalle guerre civili e ricattabile invece di una nazione unita e pacificata. Di recente il governo cinese ha stipulato un accordo con la Repubblica Democratica del Congo per lo sfruttamento dei giacimenti. Pechino si è assicurata l’estrazione di 10,6 tonnellate di coltan e 626 tonnellate di cobalto in cambio di un moderno sistema autostradale, il costo di questa operazione si aggira intorno ai 9 miliardi di dollari. Intanto un milione di persone vengono massacrate da battaglie, vendette, saccheggi e incendi. I numeri di questa catastrofe parlano chiaro: 50 mila sfollati, 75 mila accampati in capanne di fortuna e circa 100 mila persone che vagano tra nella foresta e hanno fame. Il Kivu torna ad essere dilaniato da una guerra senza fine. La comunità internazionale cerca di reagire cercando il negoziato ma sul terreno la situazione è drammatica. Unione Europea, ONU, Francia e Gran Bretagna chiedono al Rwanda e al Congo l’applicazioni degli accordi già firmati in precedenza. Ma io mi domando se la strada da seguire non sia un’altra. Alcune associazioni chiedono la creazione di un osservatorio internazionale sulle concessioni minerarie e di legname alfine di arrivare ad accordi legali e trasparenti permettendo alla popolazione di godere del frutto di queste ricchezze. Il problema è che dietro il Kivu e in particolare il coltan si nascondono gli interessi della geopolitica globale. Proprio quando la Repubblica Democratica del Congo tentava la strada della stabilizzazione e della ricostruzione quello che sta avvenendo in Kivu mi offende come uomo, come europeo e come cattolico e come offende me offende tutta l’umanità intera. Il grande spirito e la fede di questo popolo mi spinge a sostenerlo e spero con tutto il cuore in un processo di riconciliazione e perdono reciproco che porti alla pace.

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