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Julius Evola, un filosofo troppo «scomodo» per tutti…

Julius Evola, un filosofo troppo «scomodo» per tutti…
Agosto 01
13:13 2008

Un recente convegno sulla figura del filosofo Julius Evola (Libreria Croce, Roma/Alatri, maggio 2006) ci fornisce l’occasione per recensire e presentare due saggi in merito ad alcuni aspetti culturali più interessanti del celebre ed assai discusso filosofo romano, scomparso nel 1974, e ai suoi contatti con studiosi d’indubbia levatura scientifica e spirituale. Ad esempio, il significativo rapporto intercorso tra Evola e il poeta ermetista Arturo Onofri può esser ben inteso riflettendo sulla seguente massima: ‘Riuscite a negare il tempo, e troverete l’eternità. […] Guai a coloro che vivono come se fossero solo nel tempo!’1. Proprio in uno degli ultimi e rari studi monografici dedicati ad Arturo Onofri (Mursia Editore, Milano 1973), lo studioso Franco Lanza – ripercorrendo il percorso poetico-biografico di quell’artista spirituale, ‘dimesso impiegato della Croce Rossa, intento a cercare un significato al suo estraniarsi al mondo, in un tempo in cui tanti altri vi si bruciavano’ – ha ritenuto opportuno individuare nel particolare ‘sincretismo spiritualistico’ del poeta alcuni dei motivi più interessanti delle sue opere: la ‘memoria orfico-nietzschiana della religione solare,’ una ‘dottrina del Verbo di origine gnostico-neoplatonica’ nonché quella ‘assidua esegesi giovannea’ già da tempo perseguita dallo stesso antroposofo Rudolf Stiner, da cui Onofri mutuò e ampliò una straordinaria predisposizione e vocazione all’azione spirituale. Sembrano effettivamente questi essere i grandi temi di ricerca interiore che probabilmente fecero parte di quell’intensa vocazione all’Assoluto che permeò l’intento di colui che seppe ricalcare in prosa anche l’inno al Fuoco Sacro del RigVeda (cfr. Selva, par. 645). Le molteplici poesie di Onofri difatti – sature di quel ‘mosto degli angeli […] che assume / certezza del suo proprio nume/ (Terr 127)’ – esperite spesso dal poeta-veggente come vera ‘folgorazione istantanea’, sono da tener presenti nell’affrontare la lettura del recente quaderno della Fondazione J. Evola, curato da Michele Beraldo, dedicato al rapporto Evola-Onofri. In questa ricerca, assai interessante per la storiografia esoterica dell’ultimo secolo, sono stati riproposti alcuni scritti attribuiti ad Onofri2, recensioni e valutazioni del contenuto metafisico delle sue varie opere, scritte da Evola su quotidiani, riviste e saggi del tempo3, nonché le lettere di quest’ultimo al poeta. Questo lavoro, pertanto, svolto sul Fondo Onofri della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma – indagine minuta e molto attenta svolta dal curatore del quaderno, già autore di studi su Onofri4 – permette non solo di colmare una lacuna storiografica, ma soprattutto riesce a definire i tempi, le forme e le circostanze del ‘difficile’ rapporto Evola-Onofri, sia in merito alle vicende del tempo sia rispetto ad altri cultori di scienze dello Spirito in Italia, ancor oggi misconosciuti e spesso male interpretati proprio sulla base di equivoci o di letture troppo affrettate e incomplete.
Un altro valente studioso – di recente acquisizione agli studi evoliani – Francesco Germinario, ha dedicato ad Evola un saggio per conto dell’Editore Bollati Boringhieri. La monografia del Germinario inerisce spiccatamente il dominio di più ambiti disciplinari dell’età contemporanea: le sue ricerche svolte su Evola risultano così utili per le scienze sociali, per la storia delle dottrine politiche, per la storia del pensiero filosofico e per l’antropologia culturale. Tuttavia, nella lettura del testo, al momento di affrontare i delicati temi del razzismo – così come venne compiutamente elaborato, veicolato o rielaborato nel tortuoso rapporto tra i regimi totalitari ed Evola – ci sembra evidente la volontà di criminalizzare e delegittimare anche la matrice spirituale, fautrice di quel particolare razzismo del filosofo della Tradizione, cercando, quando possibile, di ‘biologizzarla’ più o meno velatamente. Riferendosi, infatti, all’aspetto ‘più squisitamente teorico-politico’, dice Germinario, ‘il razzismo spirituale evoliano […] tradisce la necessità di attingere alle ragioni della biologia, o comunque […] aderisce al determinismo biologico’ (p.14). Questa ‘biologizzazione dell’Anima e dello Spirito’, e questo attualissimo ‘determinismo biologico’, però, sembrano ancor oggi essere più forti e drammaticamente più ben accetti da buona parte dell’entourage dei teorici, politici e scienziati che presumono e pretendono di credere e agire nella maniera più possibilmente oggettiva, chirurgica, quasi paradossalmente ‘neutrale’ nei confronti della cultura ‘scientifica’, finendo spesso, invece, per anteporre l’obsoleta biologia darwinista, il puro dato materiale oltre il quale si è incapaci di andare, ad ogni tipo d’interpretazione che non sia suffragata dalle cosiddette ‘prove concrete.’
Proprio queste prove concrete, l’autore, sembra non essere in grado di fornirle compiutamente al momento di voler ‘biologizzare’ il razzismo evoliano; difatti Germinario, nonostante l’accurata ricostruzione filologica – fondata però in alcuni casi su diversi e presunti indizi, che divengono quindi mere ipotesi – sembra finire in parte fuoristrada quando asserisce che ‘[…] anche a prescindere dalla presenza degli stereotipi antisemiti, il razzismo spirituale di Evola rivela la sua subalternità teorica a quello biologico (p.18)’, affermando quindi che in Evola ‘una visione organica e completa della razza deve dunque contemplare la stretta coniugazione di razzismo biologico e spirituale (p.21).’ Di fronte a ciò c’è da constatare che, analogamente a quelli che sono ritenuti essere alcuni criteri ermeneutici validi anche per l’antropologia, ossia l’importanza ad esempio del metodo empatico per penetrare e conoscere direttamente l’esperienza, in primo luogo non è possibile tentare di comprendere integralmente quell”orgoglioso sacerdote dell’Essere’ che fu Evola senza capire che alla radice della sua molteplice e multiforme produzione storiografica c’è l’esperienza, unica, organica “ per certi versi irripetibile – di sintesi, di un cultore tradizionale di scienze spirituali e che, proprio a queste ultime, deve essere subordinata ogni tipo di visione ed espressione più o meno storica, politica o socio-ideologica che sia.
Germinario – che di certo non penetra nel sostrato più profondo e autentico della vera matrice ‘intellettuale’ di Evola – però non manca di stupirci; difatti più volte ribadisce che la polemica di Evola nei confronti dell’impostazione biologica e naturalistica data dal nazismo alla questione della razza ‘per intensità non trova probabilmente eguali nel campo della cultura fascista[…] (p.77 op. cit.)’, ed è sicuramente una polemica ‘durissima’ (p.78 op. cit.). Ci sembra quindi, in secondo luogo, che quasi sembrino emergere anche delle contraddizioni, forse inconsapevoli, nel momento in cui le tesi dell’autore (Germinarlo) convergano nel riconoscere che ‘capire come la realtà metafisica potesse trovare il proprio riscontro nella dimensione naturalistica e biologica era’ – e aggiungiamo – rimase, ‘un problema irrisolto nel pensiero politico evoliano (p.100 op. cit.)’. Fu del resto Evola stesso ad accusare di materialismo quanti in Italia intendevano trattare la questione della razza da un punto di vista puramente biologico5, e a farci capire meglio che il ‘suo’particolarissimo ‘razzismo’ fosse assai poco di moda e molto impopolare a suo tempo, quindi tutt’altro che ispirato o indirizzato ad una presunta deriva biologica; difatti così lo stesso filosofo romano asseriva: ‘[…] un razzismo, oggi, ha possibilità, solo se dà energico risalto alla forza formatrice dell’idea, della tradizione, del mito’ (cfr. Precisazione cit.). Quindi più che tentare di ‘biologizzare’ il razzismo di Evola, forse è il caso di approfondire meglio l’influenza e il peso avuto dalla Psicantropologia del Clauss e di altri studiosi, nell’elaborazione del suo pensiero razzista, alla luce anche dell’importanza di quella Fisiognomica, o dottrina dell’espressione, per la quale Evola spese parole molto significative come queste: ‘[…] quando ci si limita a ben definire e derivare la forma di un naso propria a ciascuna delle varie razze, non si ha che un quadro di caratteristiche e classificazioni in sé poco interessanti,[…]. Ci si avvicina all’essenziale quando ci si sforzi di penetrare il «senso» che il naso di una certa forma, e non di un’altra, ha per la razza cui esso normalmente corrisponde […]. Allora, e solo allora, tutti i dati […] si animano, si trasformano in altrettante vie per comprendere il segreto di una razza, cioè la razza interiore, l’anima della razza che, a sua volta, definisce la razza dell’anima’ (maiuscoletti nostri).6 Fisiognomica, Frenologia, Dottrina dell’Espressione, furono infatti alcuni ambiti di ricerca del ramo delle scienze psico-antropologiche perseguiti in maniera originale da vari studiosi, poi però definitivamente elusi e avallati dalla scienza contemporanea per le collusioni e l’uso strumentale fattone ai fini di determinate ideologie politiche. Oggi stesso – in modo sicuramente più spontaneo e curiosamente inconsapevole – nelle stesse ricerche ispirate dalla genetica, sembrano riaffiorare alcuni di questi orientamenti un tempo aborriti. Questi ultimi ci ricordano che ‘l’orrore scientifico’ – di tipo culturale per capirci – prodotto dalla cultura germanica rimase ben poca cosa rispetto alle ‘mostruosità’ teoriche che il mondo anglosassone è riuscito a conseguire con la fisica atomica i cui esiti applicativi furono non certo meno devastanti di quelli prodotti dai tedeschi in Germania.
1 A.Onofri, Selva, inedito, par. 750
2 Appunti sul Logos, Una Volontà Solare, nella rivista UR, 1927-1928, Lirica, nella rivista La Torre, 1930
3 AA.VV., Arturo Onofri, Vallecchi, Firenze 1930
4 AA.VV., A.Onofri, Corrispondenze, Trento 1999
5 Cfr. Precisazione del problema della Razza, in Corriere Padano, 1/9/1938
6 Cfr. La Psicantropologia. Esiste una Razza dell’Anima?, in Corriere Padano, 25/11/1939

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