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La stella che non c’è, di Gianni Amelio

La stella che non c’è, di Gianni Amelio
Novembre 01
02:00 2006

Raccontare la Cina di oggi non è cosa semplice. In questo paese vige un durissimo sistema burocratico, una forma di dittatura che sommerge tutto sotto censura, un capitalismo che viaggia a ritmi sfrenati a scapito dei lavoratori, un inquinamento atmosferico che ha raggiunto livelli non più controllabili, cioè, un paese in cui il rispetto dei diritti umani non è assolutamente contemplato. È in questa Cina che Amelio ha girato il suo ultimo film ‘La stella che non c’è’. Un film che potremmo quasi definire un documentario etnografico, un ‘cinema diretto’, perché Amelio ha prediletto l’azione, i fatti, le immagini dei luoghi, ha fatto parlare la moltitudine di cinesi ripresi come un’onda impetuosa sulle loro biciclette, alcuni indossando anche le mascherine per difendersi dall’inquinamento. Lo sguardo di Amelio è implacabile, obiettivo, e nello stesso tempo partecipante. Ce la mette tutta per penetrare il suo oggetto, da bravo cineasta-operatore.
La m.d.p. ritrae la Cina di Shanghai, di Whuhan, dove vivono otto milioni di persone, i grattacieli cadenti, alveari umani, organizzati in loculi in ognuno dei quali vive una famiglia. E vivono seguendo un sistema che li domina, un sistema legato ad un commercio sotterraneo, nascosto. Amelio ritrae queste famiglie ammucchiate, che hanno laboratori nelle stanze dove dormono, esercitano di tutto pur di fronteggiare la povertà, anche la prostituzione. Ritrae la vita lavorativa nelle acciaierie di Chongqing. In questo luogo sembra che la m.d.p. scenda nell’inferno dantesco. Un luogo avvolto da un grigiore terreo, plumbeo. Le donne preparano il cibo tra esalazioni velenose di organismi, ed i bambini scalzi e lasciati a se stessi, girovagano tra il putridume degli acciai della fabbrica. Amelio contrappone la Cina delle grandi metropoli con la Cina dei sobborghi, dei paesi interni della Mongolia. Lì la densità della popolazione è sempre alta, ma l’organizzazione sociale è ancora legata a meccanismi semplici, come l’economia che è nelle mani degli artigiani, che con mezzi rudimentali cardano la lana, coltivano i campi. È un viaggio, quindi! Un viaggio che Amelio ci fa percorrere con il bravissimo Sergio Castellitto, nel personaggio di Vincenzo Buonavolontà, manutentore napoletano disoccupato, e l’esordiente brava attrice cinese Tai Ling, nei panni di Liu Hua. Vincenzo ha un fine da raggiungere con il suo viaggio in Cina: consegnare un suo marchingegno in un’acciaieria che usa una macchina difettata comprata in Italia. Liu Hua è al suo fianco, gli fa da interprete e da assidua accompagnatrice.
Ma cosa cerca veramente Vincenzo in questo viaggio? Sé stesso! Vincenzo Buonavolontà si confronta con una cultura ‘altra’, si batte per superare differenti modi di interpretare le cose, cerca di dialogare, di farsi ascoltare. Alla fine ci riesce. La consegna del pezzo all’acciaierie ne è la prova simbolica. Ma non solo! Ritrovato se stesso, Vincenzo è ora pronto ad un dialogo aperto con la sua compagna di viaggio Liu Hua, a camminare a piccoli passi verso un futuro, con speranza.

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