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Racconti di nonna Marina

Luglio 06
23:00 2007

INDICE:

L’ARCOBALENO
LA TARTARUGA DI PANNOLENCI
CALDARROSTE
IL GIARDINO
LA VECCHIA QUERCIA
LA CHIOCCIA
LA FOGLIA
IL NONNO
I COLOMBI
LA PIANTA DI FICHI D’ INDIA
I COLIBRÌ
IL MAIALINO
L’AQUILA
SULLA TAVOLA
LA NEVE
IL GHIRO
IL TRENO
LA FARFALLA E IL FIORDALISO
IL FOLLETTO
IL LIBRO
LA ZUCCA E IL FAGIOLO
LA STAZIONE
IL CIPRESSO
L’UCCELLINO
L’AQUILONE
NATALE
IL FARO
L’OROLOGIO

L’ARCOBALENO

L’arcobaleno aveva formato un grande arco in cielo con tanti colori che il sole, dopo la pioggia, aveva fatto brillare.
Una mucca, in un prato, guardò intorno e muggì:
“Muuu!” poi tornò a brucare l’erba di un tenero verde.

LA TARTARUGA DI PANNOLENCI

In un lettino stava una tartaruga di pannolenci verde e marrone. Era la tartaruga di una bambina, si chiamava Camilla, e non si separavano mai.
Poi venne un giorno che la mamma della bambina si ammalò e per poter guarire doveva andare a curarsi lontano.
La bimba diventò triste perché doveva separarsi dalla mamma e la mamma era ancora più triste perché doveva lasciare la sua adorata bambina per molti giorni.
Il giorno della partenza si abbracciarono forte forte e la bambina diede la sua tartaruga alla mamma dicendo:
“Non piangere, Camilla ti farà compagnia e ti aiuterà a guarire ed io sarò brava mentre ti aspetto.”
La mamma si commosse ancora di più e ringraziò pensando che lei le aveva fatto un grande dono, perché sapeva quanto la bambina tenesse alla sua tartaruga.
I giorni passarono, la mamma guarì, e la bimba vide di nuovo la mamma e Camilla che erano tornate da lei.

CALDARROSTE

Nel camino di una casa di campagna, il fuoco scoppiettava e i bambini aiutavano il papà a cuocere le castagne e facevano un chiasso gioioso. Ognuno di loro voleva essere di aiuto al papà, che cercava di calmarli, preoccupato che si potessero scottare.
Intanto lingue di fuoco danzavano sotto la padella bucata delle caldarroste.
Quando furono pronte, con cautela, le presero e si misero a mangiarle allegramente.
Il papà rideva contento nel vedere i suoi bimbi felici.

IL GIARDINO

Nel giardino pubblico di una grande città viveva una famiglia di gatti: la mamma gatta con tre gattini.
Il giardino era pieno di fiori e piante di ogni specie; c’era anche una fontana dove i gattini, facendo attenzione a non caderci dentro, bevevano.
C’era la statua di un santo, che sembrava guardasse tutti con benevolenza.
Di giorno i gatti se ne stavano tranquilli nel loro rifugio, perché c’era troppa gente che andava nel giardino: i bambini che correvano e giocavano, le mamme e i papà che passeggiavano, gli uomini che sedevano a chiacchierare all’ombra delle piante… e così i gatti, non conoscendoli, non si fidavano di gironzolare. Però, quando arrivava la sera e il sole andava a dormire, anche le persone tornavano a casa, si chiudevano i grandi cancelli, si accendeva un grande lampione e i gattini uscivano con mamma gatta dai loro nascondigli e si rincorrevano tra le aiuole e si arrampicavano sugli alberi.
Erano i padroni del giardino e a loro si univano altri gatti. Arrivava un grosso gatto e si metteva a parlare con mamma gatta. Poi arrivavano altre gatte e si raccontavano dove erano andate durante il giorno: avevano portato anche i loro piccoli a giocare con i tre gattini.
La notte si sentivano tranquilli; tutto quel bel giardino era loro e la statua del santo li guardava con affetto. I micini spesso andavano ad accucciarsi ai suoi piedi e si sentivano tutti in pace.
Con il passare delle ore arrivava il giorno, si riaprivano i cancelli del grande giardino e allora tutti i gatti, stanchi del gran giocare, andavano a dormire.

LA VECCHIA QUERCIA

La quercia che stava in montagna era molto vecchia, ne aveva viste di stagioni!
Neve, acqua, vento e tanto sole, ma era grande e verde. Sui suoi rami avevano fatto il nido molti uccelli e insetti. C’era un insetto in particolare chiamato “Cervo Volante” che ci aveva costruito la casa.
D’estate i bambini che giocavano all’ombra della quercia lo vedevano volare.
Aveva due grandi corna a tenaglie, però non faceva male a nessuno. La vecchia quercia lo proteggeva con le sue grandi foglie.
Volava, volava e ogni tanto cadeva sul prato a pancia in su e non riusciva a girarsi.
Allora il bambino che lo vedeva prendeva un bastoncino e con un po’ di timore lo aiutava a mettersi sulle zampette.
Il cervo volante rimaneva un attimo sconcertato, poi apriva le ali e volava di nuovo sulla quercia.
La quercia era contenta che i bambini aiutavano il piccolo cervo volante e avevano rispetto dei piccoli animali.

LA CHIOCCIA

Una chioccia, dopo aver covato per tanti giorni le uova, si ritrovò con una bella nidiata di pulcini, vivaci e pigolanti: “Pio, Pio, Pio.”
Uscì insieme a loro dal pollaio dove c’era la cesta con la paglia che aveva fatto da nido, nel cortiletto recintato che la massaia aveva fatto costruire per proteggerli da altri animali.
Trovò dell’erbetta tenera, e mosse un po’ di terra, e insegnava ai pulcini a procurarsi il cibo.
I piccoli impararono subito a raspare per terra, con tutte e due le zampette, e così trovarono piccoli vermi che mangiarono subito, ghiotti di quel cibo.
La chioccia li sorvegliava con occhio amoroso, e spesso li chiamava vicino a lei: “Clò, Clò, clò,” e loro subito correvano dalla mamma, stanchi di quel daffare, e si infilavano sotto di lei a farsi coccolare. E lei, con le penne tutte gonfie, era felice di quella occupazione

LA FOGLIA

Sul fiume, cadde una foglia e galleggiava come una barchetta. E quando si avvicinò alla riva un grillo ci saltò sopra.
Poi l’acqua si mosse e la foglia con lei, e il grillo cominciò a viaggiare con la foglia. Passarono vicino a dei massi che il fiume, con la sua corrente, aveva avvicinato. Il grillo si preoccupò di non sbatterci contro: erano così alti che nemmeno poteva saltarci sopra. La foglia ci passò in mezzo e continuò il suo galleggiare.
Ormai era lontana dall’albero dove era cresciuta. Si ricordava, quando, piccola piccola, se ne stava attaccata al ramo, dove era nata, con tante altre foglie come lei. Allora era primavera, e lei era di un bel verde , poi con l’autunno, era diventata rossa e si era staccata dal ramo dove era stata per un intera stagione.
Adesso galleggiava sul fiume, con un grillo, che anche lui era indeciso dove andare. Percorsero ancora un po’ il fiume e poi, avvicinatisi alla riva, il grillo la salutò, e lei continuò il suo viaggio.

IL NONNO

Sul mare c’era una barca a vela, con sopra un bambino, il nonno e il suo cane. Andavano veleggiando con un bel venticello, che li aiutava a non usare molto i remi: anche perché il nonno era in là con gli anni, in gioventù era stato un sommozzatore, e conosceva abbastanza bene i capricci del mare.
E allora cercava di non allontanarsi troppo dalla riva, non temeva per sé, ma per il nipotino e il cane. Il bimbo guardava incantato cosa faceva il nonno e anche lui lo avrebbe fatto, e raccontava al cane tutte le sue fantasie.
Il nonno, facendo finta di non sentire, rideva sotto i baffi. Poi chiese al nipotino se voleva aiutarlo. Lui felice rispose di sì, e il cane abbaiò alla felicità del bimbo.
Passò di lì un gabbiano, e lo salutarono. I pesci sotto la barca guizzavano nel mare. La giornata era finita. Ritornarono a riva con la barca, e scesero allegramente, pensando ad altre giornate come quella.

I COLOMBI

Una coppia di colombi bianchi, si posò sulla grondaia di una casa e si misero a guardare e tubando commentavano le cose vicino a loro. C ‘èra un terrazzino dove un bimbo stava dormendo, e il loro tubare non lo disturbava per niente. C’ era un alberello di limoni, con tanti frutti gialli e fiori a forma di stellina, molto profumati. Il bimbo continuava a dormire e loro a tubare. Arrivò un cane amico del bimbo, e vedendoli, si mise ad abbaiare. E così il bimbo si svegliò e i colombi disturbati volarono via.

LA PIANTA DI FICHI D’INDIA

Vicino ad un muretto di sassi lungo la strada che portava al mare, c’era una pianta di fichi d’india, foglie che sembravano racchette, verdi e con spine sopra. C’erano anche dei bei fichi e fiori. Passò di li un ape e guardò la pianta e pensò che aveva più pungiglioni di lei ma non era un’ape. Si avvicinò al fiore ci si posò sopra con cautela, e vide che era tutto colorato e tenero si nutrì e ringraziando volò via.

I COLIBRÌ

Un gruppo di colibrì volò dentro una siepe: passavano con facilità tra i rami.
Erano uccellini così piccoli e colorati che quando erano in volo sembravano farfalle.
Erano vivaci e chiassosi come i bambini in un bel prato.
La siepe era di bacche rosse e i colibrì si fermarono a mangiare, poi ripresero il volo.
Incontrarono un merlo che rimase a mezz’aria per guardarli, dimenticandosi di muovere le ali, e quasi precipitò.
Si riprese, volò su un ramo e continuò a guardarli: ma loro, veloci, erano già lontano.
Vicino a lui si posò un pettirosso e gli chiese se stava bene.
Il merlo gli spiegò che era così frastornato, perché non sapeva cosa avesse incontrato in volo.
Gli raccontò degli uccellini così piccoli da sembrare farfalle.
Il pettirosso rise di cuore:
“Ma certo che erano uccellini,” rispose al merlo nero col becco giallo. “Erano colibrì.”

IL MAIALINO

Nel cortile di una casa di campagna c’era un maialino, tutto rosa. Se ne stava gironzolando in cerca del suo amico cane che, come lui, viveva lì.
Il maialino guardò nella stalla dove stava il cavallo, che nitrì vedendolo: ormai lo conosceva, perché il maialino girava libero per il cortile. Ma lì non c’era.
Andò vicino al pollaio: c’erano soltanto le galline che starnazzarono quando lo videro. Ma il cane non c’era.
Il maialino pensò di andarlo a cercare dove c’erano i conigli, ma non erano nemmeno là.
“Grum grum!” si lamentava il maialino, “Chissà dove sarà andato?”
Ormai era stanco, si accovacciò vicino a un pagliaio e pensò che prima o dopo sarebbe tornato.
Infatti dopo un po’ il cane uscì dal portico della casa, vide il maialino, lo salutò allegramente abbaiando e, contenti, se ne andarono a spasso per i campi.

L’AQUILA

Un’aquila volteggiò sulla montagna dove aveva costruito il nido. Aveva già qualche anno e aveva avuto molti piccoli che, adesso, anche loro avevano fatto altri nidi.
La rupe era molto impervia, gli uomini non potevano arrivarci. E lei continuò a volare su quel regno che dominava dall’alto.

SULLA TAVOLA

Sulla tavola stava una tazza, un cucchiaio e un bricco.
La tazza salutò allegramente il cucchiaio: “Buongiorno!”
“Buongiorno a te!” rispose il cucchiaio; e continuarono a scherzare, fino a che il Bricco si mise a brontolare: “Avete finito voi due di fare chiasso?”
La tazza rispose al vecchio Bricco: “Ma è mattino!”
“E allora? Che è mattino lo so meglio di voi, non sono cieco, lo vedo che fuori della finestra c’è la luce del giorno!”
La tazza e il cucchiaio, mortificati, se ne stavano lì mogi mogi.
Poi arrivò il bimbo e loro, vedendolo, si rallegrarono: adesso avrebbero fatto chiasso e nessuno avrebbe brontolato.
Infatti il bimbo reclamava la sua colazione e cominciò a girare veloce il cucchiaio dentro la tazza e a loro cominciò a girare la testa.
Il bricco, vedendoli in difficoltà, gli venne da ridere, però gli dispiaceva un po’.
In quel momento arrivò la mamma del piccolo e, usando il bricco, mise del latte nella tazza; e il bimbo, aiutandosi con il cucchiaio, fece colazione.
Così tutto si calmò, la tazza e il cucchiaio fecero il loro lavoro senza disturbare nessuno.

LA NEVE

Le montagne e i paesi si risvegliarono tutti bianchi.
La notte le nuvole che c’erano il giorno prima avevano lasciato cadere tanta neve. Era bello guardare tutto quel bianco!
Il Natale si stava avvicinando e i bambini avrebbero giocato a tirarsi le palle di neve.
Nelle case e nella chiesa si stava già preparando il Presepe. I bimbi aiutavano i genitori a farlo… o quasi.
Nella chiesa altri ragazzi un po’ più grandicelli e il prete progettavano di farlo ogni anno più bello.
La gioia del Natale si sentiva nell’aria.
La neve continuava a cadere e gli abeti ne erano già pieni.
Sembravano vestiti a festa per la gioia di grandi e piccini.

IL GHIRO

Il ghiro si risvegliò dal lungo sonno. Era andato in letargo quando era cominciato l’inverno e adesso che era primavera guardò fuori e vide che la neve si era sciolta quasi tutta.
Fece qualche passo fuori dalla sua tana per vedere se altri ghiri si erano svegliati, ma non vide nessuno.
Bussò al suo vicino, ma dormiva ancora.
Era ancora troppo freddo, così decise di farsi una scorpacciata di ghiande che aveva raccolto in autunno, prima che cadesse la prima neve.
Tra poco sarebbe arrivata la bella stagione e il sole. I campi si sarebbero riempiti di tanta erba e fiori, gli uccellini avrebbero ricominciato a cinguettare e lui, ritrovati i suoi amici svegli dal letargo, avrebbe scorazzato tutta l’estate nei boschi ritornati tutti verdi, e conosciuto nuovi amici.
E si rimise a dormire.

IL TRENO

Il treno correva veloce sui binari e sembrava che le case fuggissero da lui. Vedeva case in campagna con cortili e cani che abbaiavano, pini che sembravano ombrelli.
Le mucche che stavano in un prato sollevavano la testa al passaggio del treno.
E il treno correva, correva e ogni tanto fischiava: “Tuu… Tuu…!”
In una stradina di campagna ad un passaggio a livello chiuso, un bimbo con la sua bicicletta aspettava che il treno passasse e si alzasse la sbarra per poter continuare la sua passeggiata: un suo amico lo stava aspettando in una casa un po’ più in là.
E intanto il treno correva.
Arrivò su un ponte sospeso su un fiume e c’erano pescatori con grandi reti: qualcuno lo salutò come un vecchio amico, e lui continuava la sua corsa.
Presto sarebbe arrivato a destinazione e chi viaggiava con lui alla stazione sarebbe sceso e tornato a casa.
E altri sarebbero saliti.

LA FARFALLA E IL FIORDALISO

“Ciao farfallina, dove vai? Stai volando qua e là non mi vedi?” disse un fiordaliso alla farfalla. “Ma forse non ti piaccio, sono di un colore blu non troppo profumato. Altri fiori saranno più colorati e profumati di me. In ogni modo d’estate hai una vasta scelta!”
La farfalla si girò verso il fiordaliso e gli disse: “Ma tu sei bellissimo! E poi nasci con i papaveri nei campi di grano e i vostri colori sono così belli…! Ma non avete molto nettare, e io devo nutrirmi… Ma sono contenta di averti visto!”
E sbattendo le sue variopinte ali salutò e volò via.

IL FOLLETTO

C’era una volta un bosco con tanti folletti con buffi cappelli.
Erano lì da tanti anni e nessuno li poteva vedere.
Raccoglievano erbe che facevano guarire e gli piaceva fare piccoli scherzi ad animali e bambini.
Se vedevano uno scoiattolo che raccoglieva una ghianda loro la spostavano velocemente e così, dopo un po’, il povero scoiattolo, disorientato, lasciava perdere e loro ridevano a più non posso.
Ma aiutavano anche chi era in difficoltà.
Un giorno un bambino che stava con un gruppo di persone, per guardare da vicino un riccio si fermò e, rimanendo indietro, si perse. Un folletto del bosco lo vide molto spaventato, stava quasi per piangere e allora fece la sua magia: mosse dei piccoli sassi in una direzione come una freccia, e il bimbo incuriosito la seguì: e così ritrovò i suoi compagni che non si erano neanche accorti che lui era rimasto indietro.
Si voltò verso il bosco. Pensò che qualcuno lo aveva aiutato e con la mano mandò un bacio per ringraziare.
Il folletto, felice, corse via.

IL LIBRO

Sullo scaffale di una libreria c’erano tanti libri, grossi volumi che parlavano un po’ di tutto: cose importanti e cose più semplici.
Erano tutti lucidi e nuovi, o almeno lo sembravano.
Uno in mezzo a loro era tutto rovinato. Era un libro di favole: negli anni aveva rallegrato tanti piccini.
Si sentiva un po’ troppo brutto e piccolo insieme a quei libri così lucidi e se ne stava quasi nascosto per non farsi vedere. Pensava che non serviva più a nessuno.
I bambini, ai quali era stato regalato e letto molte volte, erano cresciuti ormai, e leggevano altri libri.
Ma un giorno, la piccola mano di una bimba si avvicinò alla libreria e, con timore, sfiorò i grandi libri nuovi e poi, piano piano, incuriosita, si avvicinò al libro e con decisione lo prese e se lo strinse al petto. Si mise seduta sul tappeto e cominciò a sfogliarlo.
Così scoprì che era un libro di favole con molti disegni colorati e un po’ sbiaditi.
Felice, corse dal papà e seppe che era un suo vecchio libro e si fece raccontare le favole.
E il libro sciupato non si sentì più tale.

LA ZUCCA E IL FAGIOLO

Una zucca tutta gialla cresceva in un orto vicino a delle piante di fagiolo.
E lei, benché fosse bella grossa, vicino a quelle piante alte e con fiori così belli a grappoli bianchi, rossi e viola, si sentiva un po’ miserella.
Passò il tempo e quei fiori si trasformarono in baccelli verdi e poi marroncini.
“Beh…” pensò la zucca che nel frattempo era diventata più grossa e più gialla, “strano che il fagiolo faceva tutte quelle trasformazioni!” Lei dal fiore giallo era solo diventata verde e poi gialla.
Un giorno i fagioli furono raccolti insieme alla grande zucca e portati in una grande cucina con tante pentole e vasi.
I fagioli, privati del baccello secco, furono messi in un grande vaso; solo alcuni furono messi in un vaso più piccolo: perché quello grande serviva per le minestre e quello piccolo per conservarli fino alla prossima primavera per piantarli come semi.
La zucca fu tagliata e usata in cucina, ma i suoi semi, che erano all’interno, seccati, e, come i fagioli, conservati per essere piantati nell’orto alla prossima stagione. Così di nuovo sarebbero cresciute altre piante come il fagiolo e la zucca.

LA STAZIONE

In una stazione metropolitana, quattro uccellini si posarono sul marciapiede vicino a un binario. Sembrava che dovessero prendere il treno.
Dopo un po’, tre volarono via e uno rimase a guardare il binario vuoto.
Poi un altro si posò vicino a lui e muovevano il capino. Sembrava che parlassero del treno in arrivo.
Non avevano paura delle persone che andavano e venivano.
Poi arrivò il treno e loro volarono via.

IL CIPRESSO

C’era un albero chiamato Cipresso.
Era alto e stretto, sembrava un po’ severo, aveva bacche grandi e dure, le sue foglie come tanti rametti.
Era sempre pieno di passerotti che volavano e cinguettavano dentro di lui: dentro, perché i suoi rami sono così raccolti all’insù, che sembrano chiusi!
Questo da lontano, perché gli uccellini ci stanno benissimo e trovano che sui suoi rami i nidi ci stanno proprio bene: sono al riparo da tutto e ci si può abitare in ogni stagione, perché è sempre verde.

L’UCCELLINO

Un uccellino si posò su un rovo e vide spine sul ramo.
Fece attenzione a dove metteva le zampette e beccò una mora.
Era nera e lucente, bagnata dalla rugiada: “Buona!” pensò l’uccellino. E ne mangiò un’altra e un’altra ancora.
Alla fine si unirono a lui altri uccellini e fecero la stessa cosa.
Cinguettò felice e riprese il volo.

L’AQUILONE

Nel cielo volava un aquilone.
Il vento lo faceva dondolare di qua e di là.
Era tenuto con una cordicella dalla mano di un bambino: la stessa mano che aveva aiutato il papà a costruirlo. Ce n’era voluto di tempo!
Ma era bellissimo e colorato: la figura del drago sembrava cavalcare il cielo e quasi raggiungeva le nuvole.
La manina del bimbo teneva ben salda la corda e il vento continuava a muovere questo drago della fantasia.

NATALE

Era il mattino di Natale.
In una casa c’era una mamma che stava accendendo la legna nel camino.
Si accese subito e la casa cominciò a riscaldarsi. Ma era ancora fredda.
La mamma guardò fuori dalla finestra e vide che continuava a nevicare.
Era cominciato la notte, dopo la Santa Messa e all’uscita dalla chiesa del piccolo paese di montagna si vedevano volare nell’aria farfalle di neve e tutti erano felici.
La mamma continuò a guardare la neve che cadeva, e ce n’era già un bel po’.
Sapeva che i suoi ragazzi sarebbero arrivati. Erano in viaggio dalla notte, avevano preso il treno nella grande città, dove abitavano.
Per lei sarebbe stato il più bel regalo di Natale.
Sentì delle voci fuori della porta e vide aprirla piano piano e con gioia apparire il viso sorridente dei suoi figli.
La casa si riempì di luce e di calore.

IL FARO

Sulla riva del mare c’era un vecchio faro che ormai non funzionava più.
Era lì da tanti anni e, con la sua luce, aveva salvato molte navi dalla tempesta.
Erano molti i marinai che ogni tanto andavano a trovarlo. Si sedevano vicino oppure salivano su per le scale a chiocciola fino in cima dove c’era la lanterna, ormai spenta.
Si sedevano, guardavano i gabbiani che volteggiavano facendo versi striduli.
Guardavano il mare e tanti ricordi gli tenevano compagnia.
Quante volte il vecchio faro li aveva aiutati ad arrivare sani e salvi a casa, dai loro bambini!
Anche loro erano diventati vecchi e i bambini erano cresciuti.
Le navi ormai avevano altri strumenti e non avevano più bisogno del vecchio faro.
Ma i vecchi marinai non si dimenticavano del loro vecchio compagno di avventura.

L’OROLOGIO

Sulla mensola del camino l’orologio continuava il suo “tic tac… tic tac…”.
Era la notte della Befana e i bimbi erano andati a letto presto, altrimenti lei non sarebbe venuta.
Ad un certo punto della notte, si sentì un leggero rumore e l’orologio vide apparire la Befana.
Era scesa dal camino una vecchietta tutta rugosa , con un lunghi vestiti.
Si guardò intorno e vide le calze appese: una più grande, blu, e una più piccola, rosa. E allora capì che in quella casa c’erano due bambini: un maschietto e una femminuccia.
Veloce riempì le calze con dolci e nella calza rosa mise una bambolina che sembrava affacciarsi dalla calza, in quella blu un trenino fatto di legno. Poi, contenta, se ne tornò da dove era venuta.
L’orologio continuava il suo ticchettare.
Al mattino vide entrare nella stanza piano piano i bimbi, felici staccare le loro calze, sedersi a terra e vuotare il contenuto.
La bimba strinse a sé la bambolina: sembrava la cosa più bella del mondo.
Il bimbo prese il suo trenino e cominciò a fare “Tuu… Tuuu…!”
L’orologio li guardava e le sue lancette formarono un sorriso.

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