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Dante e san Francesco

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Titolo:      Dante e san Francesco
Autori:      Aldo Onorati
ISBN-10(13):      978-88-95736-38-9
Editore:      Edizioni Controluce
Data pubblicazione:      Ottobre 2015
Edizione:      I edizione
Numero di pagine:      56
Formato:      140 x 210
Collana:      Critica letteraria

 

Descrizione

 

«Per condurre ad onor lor giovinezza»: potremmo citare il verso di  Prg. XX il dovuto e meritato omaggio alla fervida, intelligente, generosa attività dantesca di Aldo Onorati, che si arricchisce di un nuovo capitolo, Dante e san Francesco: il segreto di madonna povertà, quanto mai attuale, per tanti motivi facilmente intuibili.
L’onore e la dignità che danno alla giovinezza della esistenza, la Vita Nuova quella dell’anima spirituale, consistenza e valore agli interventi di Onorati in chiave pedagogica, dall’impegno di maestro, a quello dell’insegnante, di prof. a contratto nonché di poeta e narratore in proprio, contrassegnati dal costante richiamo alla Commedia e ad altri luoghi del divin poeta, a cui si aggiunge il notevole impegno divulgativo per la Dante Alighieri, nella sede centrale di Roma, a Palazzo Firenze.
Ricordo di Onorati solo alcuni titoli, nei vasti campi della sua attività: i due recenti volumi, Dante e l’omosessualità. L’amore oltre le fronde, per Anemone Purpurea, con numerose ristampe successive e recensioni sui maggiori inserti letterari e quotidiani, Il senso della gloria in Dante, Foscolo, Leopardi, Schopenhauer, per Tracce editore, 2014; per l’attività pubblicistica la raccolta preziosa di mezzo secolo di interviste: La voce e la memoria, interviste a personaggi del Novecento, Edilet, 2015; per la poesia l’antologia per Edilet, Il mistero e la clessidra, curata da Marco Onofrio con un saggio critico di “riscoperta”; per la narrativa, Le tentazioni di Frate Amore, Tracce, 2013.
La predilezione per i personaggi paradigmatici partoriti dalla fervida creatività dell’Alighieri ci spingono a richiamare per Onorati i motti di un altro scrittore di fine Ottocento amante di Dante, a cui, il caso vuole, sto dedicando uno studio, Emilio De Marchi: «La Letteratura è la manifestazione della Vita ideale per mezzo della parola».
Con parole sintetiche, De Marchi esprime la funzione di Dante nella storia letteraria italiana, descrivendo la svolta dell’interesse per la Commedia alla fine del Settecento e agli albori del secolo successivo con il risvegliarsi dell’adorazione per il divin poeta.
Quella dell’Alighieri, per quanto aspra, è «parola popolare», la sua fortuna è «quasi sempre la nostra».
Non dunque l’imitazione di Dante in sé, ma lo studio e l’interesse per Dante, «è indizio di un desiderio nuovo», nel contesto di quel secolo offerto dalla temperie romantica.
Con la stessa sensibilità, da narratore e poeta, per una lingua capace di parlare al “popolo” centoquindici anni dopo la morte dello scrittore de Il cappello del prete, nel suo lavoro su Dante, Onorati, sicuro indizio di «un desiderio nuovo», tiene presente la storia della critica, i contesti, l’erudizione, il peso dell’interpretazione romantica (proprio dove De Marchi si era fermato nelle sue riflessioni di storia letteraria) per poi scavalcare di netto tali questioni, intrattenendosi sulla capacità dantesca di creare episodi di poesia originale, rivoluzionando il mito, creandone uno nuovo (si pensi solo al più celebre degli esempi, quello di Ulisse).
Se la visione romantica, condivisa ben oltre le soglie del secolo scorso, tra ragioni ideologiche ed estetiche, prediligeva la poesia dell’Inferno, è «ormai tempo di “rileggere” questo Itinerarium mentis in Deum avvicinandoci il più possibile al periodo della sua composizione, immettendoci nella spiritualità d’un uomo del Medioevo (sia pure ai culmine o alla fine di esso), e si apprezzerà in nuova luce non solo il Purgatorio (opera di altissima preghiera), ma il Paradiso stesso, dove l’autore, ormai deluso dal fallimento dell’impresa dell’Alto Arrigo, prende letteralmente le distanze dall’ “aiuola che ci fa tanto feroci”, volgendo lo sguardo dal Cielo alla Terra principalmente per sottolineare quanto sia insensato l’affanno di noi mortali, e quale grazia impetrare per placarci in Dio “sì come ruota ch’igualmente è mossa”».
Onorati sceglie di impostare il commento come un racconto, al modo delle antiche letture: sembra di sentire la sua voce attoriale, affascinante, condurre il pubblico alle visioni celesti, strappandole da quell’alone strutturale e di teorie in cui spesso vengono condannate da lettori e critici troppo frettolosi. Non riguarda il tempo eterno dell’anima umana quello straordinario incipit che in sintesi implacabile illustra i vizi ritornanti dell’uomo e indica in un esempio fulgido la possibilità della conversione? Ecco il commento di Onorati, che ci spinge innanzitutto a rileggere il canto, per gustare a pieno l’iconografia simbolica e nello stesso tempo minuziosa e realistica dello sposalizio dell’umiltà, fatto di calzati e di vesti, di piedi scalzi:
«Dodici versi che elencano i mali dell’umanità presa nel laccio fallace della cupidigia di denaro e onori, piaceri e potere, ha un’eco  biblica, ma anche classica, però vivificati dalla ormai vicina Grazia, che Dante sente alitare in ogni dove, anche nel quarto Cielo, quello del Sole, ancora lontano dall’Empireo (ma, come dice Piccarda nel III canto, “…come ogni dove / in cielo è. paradiso”).
San Tommaso, sotto brevitate. racconta la vita di Francesco, nell’XI del Paradiso. I1 segno, come è noto, è quello dello sposalizio (ecco i richiami biblici segnalati da Onorati) tra il poverello di Assisi e la Povertà, evento descritto in versi a mio avviso tra i più intensi e significativi del poema nel delineare l’inizio di una storia cristiana, a modello della chiamata degli apostoli sulle spiagge della Palestina. L’attrattiva della bellezza sponsale (si tenga presente la bruttezza deforme del fisico del Santo) è l’alternativa di piena umanità alla insensata cura dei mortali del verso incipitario:

La lor concordia e i lor lieti sembianti,
si scalzò prima. e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo
(Par, XI, 76-81)

Cristo e gli apostoli, Francesco e i suoi primi amici: una esperienza che Dante ci comunica nel momento in cui anch’egli la sta sperimentando (o per lo meno, figuralmente, presentando) con Beatrice, nei versi 10-12, lasciando alle spalle le cure meschine che dividono l’anima quando “… da tutte queste cose sciolto, / con Beatrice m’era suso in cielo / cotanto gloriosamente accolto”. Una commozione particolare accompagna Dante nell’entrare nei luoghi del santo, in quella geografia devozionale caratterizzante il paesaggio italiano descritto nel Purgatorio e nel Paradiso, dove la tenuta lirica è data dalle simbologie, «dai transfert di persone e significati di eco evangelica (la sposa, cioè la povertà; lo sposo, cioè il Poverello d’Assisi dietro cui si scalzano i primi seguaci, tanto madonna Povertà piace)».
Un Francesco amputato di alcuni caratteri, anche centrali della sua figura, quali, ad esempio i miracoli, la macerazione della preghiera, il trasporto mistico fino alle lacerazioni corporali. Del resto, la grande poesia sorge dalla storia, e si impossessa di un volto, capace di ritrarre anche gli altri: Dante punta sulla paupertas francescana, «con una risolutezza che esclude quasi gli altri attributi del Santo» per i motivi con i quali il lettore potrà confrontarsi, seguendo i sentieri affascinanti e nuovi (ancora possibile la novità se si affronta la lettura di Dante senza pregiudizi, con passione umana e filologica insieme, come per Onorati) di questo commento che conclude la sua lettura in modo coerente all’assunto, delineando come tutto il Poema Sacro sia pervaso «dall’anelito alla povertà costruttiva, antagonista efficace dei mali prodotti dalla lupa. È come se Dante opponesse alla cupidigia, madre di ogni misfatto, madonna Paupertas».
Una povertà, almeno questo concetto voglio anticiparlo, per porlo all’attenzione del lettore: «la povertà francescana, sulle orme delle “Beatitudini”, ha un significato più sottile, perché non è solo rifiuto delle ricchezze, bensì scelta in armonia con tutte le altre creature (Gesù dice: “Beati i poveri in spirito”, cioè coloro i quali, pur potendo avere, o avendo, le ricchezze del mondo, le respingono, perché consci che l’opulenza è “contro Natura»).
Solo in questo modo, aderendo al testo e offrendo, sia pur sinteticamente visto l’obiettivo del volume di parlare non solo agli specialisti, risalta l’attualità di Dante e le esortazioni di Onorati non anacronistiche e tantomeno moralistiche.
La rivoluzione del Santo non può essere confinata nel sentimentalismo o nello sdolcinato amore per la natura (magari quella animale, a fronte di un cinismo fattuale dentro la società degli uomini); nell’ambito di una misericordia sempre celere per ogni peccatore, Dante insiste unicamente sulla Povertà di san Francesco «non per limitarlo, ma per indicarlo come esempio supremo di risoluzione “redentrice” contro il peggiore dei mali (quello che porta fino all’omicidio e al genocidio): l’avidità, la cupidigia (in tutti i sensi: dal denaro al potere, dallo sfruttamento insensato del pianeta a quello a danno di tutte le creature: la lupa è anche il simbolo del delirante credersi “centro e padroni dell’universo”)».
Fabio Pierangeli

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