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Ricominciare da qui

12,00

 

Titolo:      Ricominciare da qui
Autori:      Maria Lanciotti
ISBN-10(13):      978-88-95736-11-2
Editore:      Edizioni Controluce
Data pubblicazione:      Maggio  2011
Edizione:      I edizione
Numero di pagine:      112
Formato:      150 x 210
Collana:      Poesia

 

Descrizione

 

Libro di poesie – Primo premio alla XV edizione del Premio Biennale Letterario dei Monti Lepini
Quasi un passo di tango
Già dal titolo Ricominciare da qui la raccolta di Maria Lanciotti traduce visivamente la poetica dell’autrice, l’intento di starci accanto, presenza discreta ed inquietante (l’inquietudine di Agostino) che ci accompagna nel nostro cammino e nei momenti più alti, tutt’uno con noi. Combaciano “i passi” – o le sezioni – i movimenti dell’anima che ne scandiscono il ritmo segreto. Una poesia che, ben lontana dall’essere ripiegata su se stessa, si lascia alle spalle qualunque forma di intimismo narcisistico (una tentazione ricorrente) per fare da specchio ad una vicenda più grande di quella personale, perseguita con lucida determinazione: “Ti prenderò ne puoi stare certo/ se non in questa vita in qualche altra”.
La meta desiderata, manco a dirlo, è l’amore che “move il sole e l’altre stelle” raffigurato nel suo rapinoso movimento in una giostra, dal moto non uniforme, con improvvise accelerazioni e ritorni, quasi un passo di tango, che ti porta dove vuole, tenendoti sempre avvinto: “Così e la giostra del bastardo amore/ che avanza indietreggia e non perdona”.
Ma già quei quattro versi “Ti piace il bianco metallo…” si erano incaricati di raffigurare la condizione ricorrente dell’ “homo homini lupus” con un fermo e tagliente giudizio morale “ma non tagli mai pane…”. Sì, perché nel “bianco metallo”, fioretto o pugnale che sia, chi non vi legge l’incantesimo delle nuove tecnologie, il delirio d’onnipotenza dell’uomo contemporaneo? Il pensiero si sofferma sull’enorme potenziale bellico che potrebbe essere riconvertito in aratri per far fruttare la terra e debellare la fame nel mondo, conversione esemplarmente rappresentata dal gesto del “tagliar pane”.
Come avrà modo di verificare il lettore attento, partecipe, le sollecitazioni che ho richiamate provengono tutte dalla terza sezione – Corrispondenze – con la stessa forza evocativa di un sasso lanciato nello stagno della nostra quotidianità, sasso capace di allargarsi in centri concentrici e di smuovere tutta la superficie fino a rendere intollerabili le anguste sponde del vivere quotidiano, subite più per prigionia che per necessità. E così, già in premessa, in “Lucciole” la disperata condizione umana di tante tragedie personali e collettive: “Si spegneva/ la lucciola tra i sassi” col senso diffuso e profondo della nostra impotenza a farvi fronte sicché (forza profetica della poesia come nel caso dell’immane tragedia provocata dal tsumani e della gara di solidarietà che ne è seguita) “giungeva in ritardo/ la riposta frenetica d’amore”.
Più che volere, sono stato costretto ad indugiare sulle emozioni e riflessioni suscitate dai pochi versi citati per invitare il lettore a fare altrettanto, a farsi coinvolgere centellinando i versi, senza aver fretta (il libro non scappa) lasciando che lavorino dentro. A volte potrebbe sembrare un messaggio disperato se non risorgesse puntualmente la speranza, quella Paolina della “spes contra spem”, esemplarmente e poeticamente espressa nell’immagine che ce ne dà Maria: “Poi ho visto il bucaneve/ spuntare dalla crepa di ghiaccio…”.
Potrei continuare a lungo seguendo i “passi” di questa raccolta, ma una volta data la mia chiave di lettura guidato per mano da Maria, in assonanza col suo verso finale chiudo con un “e qui mi taccio” lasciando che sia lei stessa a farvi gli onori di casa.
Rodolfo Carelli

Se si incrocia Maria Lanciotti si trova la sfida, ogni volta: quella sua personale, e quella che lancia al lettore. Non sta ferma, sperimenta, incessantemente esigente, curiosa, necessitata. Ogni volta una somma: di poesia e prosa, di appagamento e di rincorsa. Maria è sempre giunta alla meta, ed è sempre appena partita. È comunque al massimo, come freccia e come tartaruga. Una progressione continua, a pieni giri, mai adagiamenti, niente rimasticature o cali di spessore, e neanche un girarsi indietro. La Lanciotti non ne ha bisogno: tutte le emozioni trascorse sono incatenate dentro di sé, proiettate al futuro, trasferite in quadri e parole di tutti. Un tu forse reale, vissuto, diventa generico, universale: donna non sei/ se la colpa trattieni/ di un paradiso/ perduto. Gli ultimi versi di questa ricca e variegata raccolta dal ricordo lanciano l’attesa: … e l’armonia rischiarava la piazza e/ liberava la vita, e il mirto fioriva. Maria ha già pronti, è evidente, semi per un nuovo giardino.
Alberto Pucciarelli

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