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A 50 anni da Piazza Fontana

A 50 anni da Piazza Fontana
Dicembre 12
20:24 2019

 

(Serena Grizi) Un anniversario importante nella storia italiana contemporanea degnamente celebrato dalle parole dell’ Archivio dei Diari di Pieve Santo Stefano.

Bella (e disperante?) la testimonianza di Delia Rovarino sulle reazioni dei tanti a ciò che era accaduto ed all’accanimento che subito, sui posti di lavoro, nella vita sociale, si sarebbe scatenato contro le libertà individuali, quelle inalienabili secondo la nostra bella Costituzione, quelle alle quali oggi, 2019, molti sarebbero disposti a rinunciare pur di avere in cambio la tanto agognata ‘sicurezza’. Ma Storia è anche tensione degli opposti, come essa stessa dolorosamente insegna. Quando si descrivono gli anni ’70 (dagli albori della fine degli anni ’60) e poi i pieni Anni di Piombo, si riconosce molto bene la matrice violenta del tradimento stragista di sinistra o di destra di quella che si definiva (esiste ancora?) la dialettica politica, ma ben poco si conosce (o si vuole riconoscere) di quanto alcuni abbiano approfittato della tensione per innescare una marcia indietro, anche essa molto violenta, su quelle che erano state individuate da tutti quanti i cittadini assieme, nel contratto sociale, quali libertà personali a corollario e completamento dei doveri di cittadini.

Quanto è attuale l’argomento ce lo dimostra la nuova tensione storica, potentissima, tra chi auspica più poteri agli stati sopra nazionali (Europa) e tentati sovranismi nazionali, i quali capillarmente tentano di recuperare battaglie popolari, talvolta populiste, a favore di una autarchia economico-sociale utile, secondo molti, a riaffermare gli stati sovrani ma in buona parte antistorica per antonomasia viste le complesse istanze delle nostre società complesse, salve solo dentro ‘meccanismi’ sociali avanzati pronti a trascinare con sé anche società più deboli, in parte perché più arretrate. Con molte cose da discutere ancora. Quali le istanze per cui battersi utili davvero a tutti, e non solo a categorizzare in maniera ‘polverizzata’ una platea di elettori/consumatori desiderosa di riconoscersi in qualcosa di unico. E capire anche se l’Europa, nata sotto l’egida di alti ideali politici, ma anche di banali calcoli economici disattenti, per esempio, ai molti volti delle povertà nascoste (vecchie e nuove), sia davvero in grado di diventare la casa degli europei. 

dall’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano

Erano le 16:37 del 12 dicembre 1969, in Piazza Fontana a Milano.

Considerata “la madre di tutte le stragi” e da alcuni ritenuta l’inizio del periodo passato alla storia in Italia come “gli anni di piombo”, fu probabilmente l’evento più dirompente e drammatico di quella “strategia della tensione” – per continuare a usare espressioni poi diventate di uso comune e arrivate fino ai giorni nostri – che ha in quel 12 dicembre un punto di svolta nella storia repubblicana. Il 12 dicembre 1969, in soli 53 minuti, furono ben 5 gli attentati terroristici che ebbero luogo nel nostro Paese: l’Italia che veniva colpita al cuore, colpita nelle sue due città simbolo, Roma e Milano.

Nella Capitale, quel giorno, gli attentati furono 3 e provocarono 16 feriti. A Milano una seconda bomba inesplosa fu rinvenuta in Piazza della Scala. 

Ma fu soprattutto l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a scuotere e terrorizzare il Paese: 17 le persone uccise e 88 quelle ferite.

Piazza Fontana fu solo la prima; poi Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica eccetera eccetera eccetera come cantava Gaber. Eccetera eccetera eccetera, anno dopo anno, è passato mezzo secolo. Cinquant’anni di storia d’Italia che, da quel 12 dicembre 1969, non è stata più la stessa.

Caro Sindaco, perché tanta violenza? Con questa domanda i bambini di una classe elementare di Muggia (Trieste) si rivolgevano in quelle ore al sindaco di Milano.

Fare memoria di quei fatti, di quei giorni e di quegli anni è nostro dovere morale, è dovere morale di ogni cittadino italiano. Oggi è una giornata importante e dobbiamo, tutti insieme, ricordare quel 12 dicembre di 50 anni fa, perché fa parte della storia più buia d’Italia, perché persone innocenti rimasero vittime di un disegno premeditato lucido e spietato per terrorizzare il Paese.

Per questo, oggi, vogliamo condividere con voi una delle testimonianze dirette di quei tragici fatti, una memoria che custodiamo qui in Archivio a Pieve e che per molti anni è rimasta secretata ma che oggi vorremmo leggere insieme a voi, per rendere omaggio a quelle vittime, per la loro memoria e per la memoria del nostro Paese.

Viva l’Italia, cantava De Gregori, l’Italia del 12 dicembre.

«Avevo iniziato a lavorare alla Mediobanca ai primi di novembre, ed ero quindi in periodo di prova ancora per due mesi, quando, il 12 dicembre 1969, scoppiò una bomba alla Banca dell’Agricoltura, in Piazza Fontana. Ricordo che erano circa le quattro del pomeriggio quando improvvisamente si sentì un sordo boato, seguito quasi subito dal suono delle sirene delle autoambulanze e dei vigili del fuoco. Spalancate le finestre, si sentiva arrivare attraverso il giardino l’eco di un frastuono enorme, il rimbombo delle macchine che sfrecciavano e sembravano invadere tutto il centro della città. Dopo circa un quarto d’ora era arrivata la notizia che era esplosa una caldaia all’interno di quella banca. Subito si era parlato di morti e di feriti, di qualcosa di terribile che si era verificato non molto lontano da noi. Io e Gabriella eravamo annichilite. Il dottor L., che era apparso sulla porta per avere notizie, si era subito e soltanto preoccupato di sua figlia che a quell’ora poteva anche trovarsi in centro per qualche suo motivo. Non sembrava preoccuparsi di niente altro. Prima ancora però che noi si uscisse la sera, era arrivata una seconda notizia, secondo la quale non si era trattato di una caldaia, ma più precisamente di una bomba.
Le persone della mia età si ricorderanno che alla sera, alla televisione, era stata data in tutta fretta la notizia che la bomba era stata portata in banca, e lì fatta esplodere, dall’anarchico Pietro Valpreda, e che dopo quattro giorni, un altro anarchico, Giuseppe Pinelli, dopo essersi proclamato anch’esso colpevole, si era buttato giù dalle finestre della Questura, sfracellandosi al suolo.
Queste erano le notizie ufficiali, ma ben presto, proprio per la fretta e l’approssimazione con cui queste notizie venivano date, si era capito che la verità era tutt’altra, e che la strage, subito definita di Stato, almeno da Lelio Basso e da Camilla Cederna, aveva avuto motivazioni precise, nella sua spietata efferatezza. Alla fine del 1969, la situazione a Milano era in realtà molto calda, le lotte operaie si erano fatte molto massicce, e sicuramente si era deciso da qualche parte di mettere a tutto questo un bel freno. Qualche tempo dopo la strage, quando gli eventi, prima confusi, stavano ormai diventando sempre pia chiari, era stata indetta una manifestazione da parte delle forze di sinistra. I fatti e la situazione si profilavano così gravi che non esitai personalmente a parteciparvi, e come me fece la mia collega. Per la prima volta, nella Segreteria Generale di Mediobanca si verificava una totale assenza per sciopero, per di più senza preavviso. Per la cronaca, occorre dire che, oltre a noi due e a pochi altri, quasi nessuno aveva partecipato a quella manifestazione, pochissime persone sentivano la necessità di esprimere, con la loro presenza, tutta l’indignazione per i fatti atroci che erano successi. E questo spiega ancora una volta quanto sia forte la volontà di dissociarsi dalla realtà complessa che ci circonda. Quando mi presentai in ufficio il giorno successivo, fui immediatamente convocata dal dottor L., il quale, dopo avermi fatta sedere, mi fece stenografare quanto segue sul mio blocco:

Regole del posto
1. Non si deve mai lasciare l’ufficio sguarnito
2. Non si esce per nessun motivo, se prima non si preavvisa
3. Proibito far sciopero 

Dopo queste ultime parole, io ero balzata in piedi come una molla e, piena di sdegno, gli avevo detto: “senta, dottor L., lei può decidere per me quello che vuole, ma non mi può assolutamente dire che è proibito far sciopero. Lei sa benissimo che, in quanto a questo, ognuno deve essere lasciato libero di fare quello che vuole”.
Pronunciate queste parole, ero immediatamente uscita dal suo ufficio e traballando per l’emozione, ero arrivata alla mia scrivania. Incredibile a dirsi non ci fu, da quel momento, né da quel giorno né mai, nessun’altra reazione da parte di nessuno». dalla testimonianza di Delia Rovarino oggi conservata nell’ Archivio diaristico nazionale.

Nel 2010 alle stragi l’Archivio ha dedicato un intero numero della nostra rivista Primapersona. Percorsi autobiografici: La strage e il suo ricordo
Qui la scheda: https://www.attivalamemoria.it/negozio/primapersona-n-23

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