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E’ stata posta la prima pietra di Romasia, terra di un sogno Rom

E’ stata posta la prima pietra di Romasia, terra di un sogno Rom
Febbraio 22
08:05 2010

0_9160_D24359fastwebnet“Un pezzetto del sogno è ora realtà. Bisogna impegnarsi, adesso, prima che sia tardi, per dare al progetto una dimensione italiana ed europea, consentendo alle famiglie Rom di integrarsi e lavorare definitivamente, mantenendo vive le loro tradizioni uniche, il loro senso della famiglia, il loro modello di vita senza guerre, in amicizia con la natura…” Costanza (Romania), 19 febbraio 2010. Il Progetto Romasia (conosciuto e promosso dal Gruppo EveryOne anche in Romania, con la denominazione di “Fratele Meu: ogni persona è mio fratello”, suggerita dal giornalista George Scarlat) è stato concepito nel mese di giugno del 2007, nei drammatici momenti successivi a un allontanamento particolarmente drammatico di famiglie Rom romene dal campo di via Triboniano, a Milano, dove si erano rifugiate.

 

Vi erano molte “autorità”, presso il campo: dirigenti delle forze dell’ordine, assessori, funzionari pubblici, assistenti sociali, sacerdoti. Vi erano bambini in fasce deposti al suolo dai genitori stremati, ragazzini di 6 o 7 anni feriti durante operazioni di evacuazione effettuate con troppo impeto dalle forze dell’ordine, donne incinte sedute a terra, malati e portatori di handicap abbandonati a se stessi. Gli attivisti di EveryOne erano presenti e si prodigavano per portare soccorso umanitario e tentare una mediazione con le autorità milanesi.

 

A un certo punto una giovane Romnì, Jasmine – piccola e magra come una bimbetta – si voltava, alzava le mani al cielo, si poneva di fronte ai poliziotti armati e gridava: “Siamo esseri umani e non abbiamo un posto dove andare! Dio ha creato il mondo per tutti, non solo per i ricchi!”. Gli agenti si fermavano, davanti a quella figurina esile, piena di dignità e di coraggio. Si guardavano l’un l’altro; sembrava non sapessero se spingerla via con la durezza che li aveva caratterizzati fino a quel momento o inginocchiarsi e chiederle perdono. I nostri operatori umanitari si ponevano accanto alla ragazza, per proteggerla.

 

Quindi agli sgomberati veniva ordinato di allontanarsi dalla zona del Triboniano. Restavamo con loro, finché, in una piazza, noi attivisti e le famiglie Rom ci fermavamo. Mentre i capifamiglia decidevano quale sarebbe stato il prossimo rifugio (una fabbrica abbandonata? Un condominio fatiscente? Un campo fuori mano, in cui piantare tende e costruire baracche?), Jasmine e i suoi familiari ci confidavano il loro sogno più grande: possedere un pezzo di terra, in Romania o in Italia, su cui costruire una fattoria. Più di mille anni fa, quando migrarono dall’India, i Rom portarono con sé antichi segreti per coltivare i campi e allevare gli animali.

 

 

Poi, in Europa, seppure in condizioni di schiavitù o di persecuzione, furono maestri nell’ottenere dalla terra i frutti più ricchi e genuini, gli animali più floridi e di qualità. Era la stessa Jasmine a chiamare “Romasia” il progetto di un luogo in cui famiglie Rom con tradizioni simili potessero vivere insieme, crescere i loro bambini e mandarli a studiare nelle scuole locali, mantenendo vive le antiche usanze e tradizioni. Agricoltura e allevamento biologici sarebbero stati la base di partenza per il loro sostentamento. Poi, alcuni giovani avrebbero scelto di studiare e dedicarsi ad altre attività. A Romasia, grazie al sacrificio dei “pionieri”, molti ragazzi Rom sarebbero diventati – anno dopo anno – insegnanti, avvocati, medici, giornalisti, politici. Successivamente abbiamo elaborato un progetto, lavorando a stretto contatto con esperti di agricoltura e zootecnica di etnia Rom, per definire nei particolari la logistica, i costi, le necessità. Abbiamo previsto la creazione di fattorie in piccola, media e grande scala.

 

 

Quindi l’abbiamo presentato ad alcuni comuni italiani. Il piano prevede l’acquisto di terreni agricoli o il riattamento di case coloniche dismesse, in cui realizzare comunità di lavoro (vi è chi ha paragonato le fattorie di Romasia all’idea dei kibbutz israeliani), composte da famiglie Rom affini fra di loro, con competenze nei campi dell’edilizia, dell’agricoltura, dell’allevamento; competenze che esistono – e spesso sono caratterizzate da un notevole grado di specializzazione e perizia – praticamente all’interno di tutti i nuclei Rom. Abbiamo esposto le linee guida del progetto anche alle Istituzioni dell’Unione europea, spiegando loro che solo se si parte da progetti concreti, capaci di annullare gli effetti della discriminazione e dell’esclusione, si può sperare di aprire la società europea all’accoglienza di milioni di persone Rom, Sinte e di altre etnie di minoranza. I comuni italiani, fino a oggi, ci hanno risposto che si tratta di un progetto efficace, una soluzione facile da realizzare e foriera di risultati importanti e immediati.

Alle lodi e all’approvazione verbale, però, non hanno mai fatto seguito i fatti: niente “fattorie biologiche”, ma ingenti risorse investite in sgomberi, espulsioni, creazione di “zigeunerlager” come i quattro nuovi campi di Roma. Purtroppo in Italia la “questione Rom” è uno dei cavalli di battaglia della politica odierna, che presenta da anni al popolo italiano, attraverso una poderosa campagna mediatica, i Rom e gli stranieri come il più grave “problema” del nostro Paese, evitando di puntare l’indice contro i problemi reali: le mafie, la corruzione, gli sprechi, i favoritismi, gli interessi particolari che prevalgono sul bene comune.

 

 

L’Unione europea, invece, non è ancora pronta per accompagnare e seguire in ogni fase i progetti di crescita. Per ora, si limita a produrre documenti (direttive, risoluzioni e rapporti) e stanziare fondi, ora in favore di questa, ora di quella associazione. Con forze private, tuttavia, il sogno di Romasia è proseguito. Un progetto è in corso di realizzazione ad Arad, in Romania, mentre il primo pezzo di terra è già stato acquisito a Costanza, sempre in Romania, grazie all’unione delle forze di una famiglia Rom (i Ciuraru), del Gruppo EveryOne e di due amici dei Diritti Umani, Dario e Carol. Il primo fazzoletto di Romasia è nato ufficialmente il 27 gennaio 2010, Giorno della Memoria dell’Olocausto. Speriamo che sia simbolo di un mondo nuovo, il segnale di una società non più distruttiva e intollerante, ma costruttiva e solidale.

 

La famiglia Ciuraru è stata colpita da molti lutti, durante l’Olocausto; alcuni dei suoi martiri sono ricordati nell’archivio del Museo Memoriale di Yad-Vashem, a Gerusalemme. In Italia, ha subito altri abusi, altre gravi ingiustizie. Ora si comincia a costruire, con mattoni, cemento e fede. E’ stata posta la prima pietra di Romasia e la sua crescita dipende da tutti coloro che entreranno in contatto con il Progetto e condivideranno il Sogno…

 

 

Nelle foto, dall’alto (la prima è di repertorio, le altre sono di Steed Gamero): fattoria a Costanza (Romania); Jasmine, ispiratrice di “Romasia” (con il volto reso irriconoscibile a protezione dell’attivista Rom); scene dello sgombero prenso il Triboniano, nel giugno 2007: in mezzo a tanta discriminazione, violenza e ingiustizia, è sbocciato il germoglio di Romasia…

 

***
Gruppo EveryOne
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