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Gli appunti di scuola e il Neoclassicismo

Gli appunti di scuola e il Neoclassicismo
Aprile 01
02:00 2007

Alberto Canova - Paolina Borghese - Venere vincitrice

“Mica facile essere cittadini o re, negli anni della Rivoluzione dal 1760 al 1830. I cambiamenti furono radicali e suggeriti, sul piano filosofico da pensatori come Hume, Rousseau e Voltaire, illuministi”.
In questi termini o quasi, la dolce prof. di Storia dell’arte si rivolgeva ai suoi studenti di una terza liceo di Roma, per introdurre la sua lezione sul neoclassicismo. Sarà stato l’interesse per la cultura o il modo con cui ci veniva trasmessa o forse (ed è l’ipotesi più attendibile nel risveglio dei ricordi scolastici) la grazia e l’avvenenza della giovane insegnante, sta di fatto che l’interesse di noi studenti diciottenni , molti dei quali innamorati persi della prof., rimaneva sempre vivo per questa materia di studio, relegata sempre alla quinta ora della mattinata. Si aveva allora la sensazione di gustare una ventata di aria fresca, dopo il clima pesante che si respirava nelle prime quattro ore di lezione alle prese con il greco, il latino, la chimica o la trigonometria. Tutti noi gareggiavamo nel farle trovare, pronto per l’uso, il proiettore con le diapositive sempre in ordine e disposte secondo la sequenza richiesta dall’argomento del giorno, oppure ci si dannava nel coadiuvarla nel conteggio del danaro per l’acquisto e la distribuzione dei biglietti d’ingresso ai musei o alle mostre di pittura. E, come non ricordare le lotte per conquistarsi il posto a sedere vicino a lei sul pullmann della gita scolastica…tentativo questo puntualmente frustrato dalla prepotenza dell’insegnante di educazione fisica… Insomma la verità è che si pendeva un po’ tutti dalle sue …labbra…!!
Il motivo scatenante questa valanga di bei ricordi che ancora albergano nella mente è stato il ritrovamento, avvenuto giorni fa, dei preziosi appunti, presi puntualmente durante le sue lezioni e ancora gelosamente conservati in una anonima cartellina nell’armadio dello studio, appunti che trattavano proprio l’argomento della cultura neoclassica e che è stato sufficiente scorrere per risvegliare quella voce che diceva: “Attenti ragazzi , oggi parleremo di un argomento importante, che vi potrà servire nella vita:… la corrente del neoclassicismo nel 700”. E, come se ancora oggi questo favoloso personaggio fosse ancora presente dietro la cattedra del liceo, i concetti , aiutati dai ricordi sono agevolmente “scivolati” su questi fogli.
Il Neoclassicismo, nelle arti figurative, fu un fenomeno di dimensioni europee e, anche se con notevoli diversità da paese a paese, rappresenta un movimento che accomunò tradizioni ed esperienze anche molto differenti fra loro.
L’insofferenza verso gli schemi tardo-barocchi e rococò era ormai diffusa, a partire dalla seconda metà del ‘700, e molti artisti si orientavano sempre più chiaramente verso una moderazione degli eccessi barocchi attraverso il ricorso a schemi ripresi dalla tradizione classica. Ma la spinta verso un decisivo rinnovamento fu data dagli scavi archeologici che vennero condotti a Ercolano (dal 1738) e a Pompei (dal 1748), nonché in vari luoghi storici di Roma. Ben presto, con i reperti classici, si costituirono nuovi musei dedicati alle antichità greco-romane. Come il Museo Capitolino (1734) e il Museo Pio-Clementino (1770) entrambi, come noto, a Roma.
Questi avvenimenti fecero accorrere in Italia, soprattutto a Roma ma anche a Napoli, studiosi, storici e artisti, desiderosi di esaminare direttamente le opere d’arte antiche portate alla luce dagli scavi recenti. L’Italia, e in particolare Roma, divenne nuovamente il centro di una cultura cosmopolita che produceva intensissimi scambi culturali fra artisti e eruditi provenienti da esperienze nazionali o regionali spesso molto diverse fra loro.
Sembrò allora che per la prima volta l’arte greca potesse essere conosciuta e studiata nella sua reale concretezza, al di fuori di ogni visione mitica. Molti eruditi pensarono di poter tentare sintesi storiche sull’arte classica, anche se oggi sappiamo che essi si trovano in genere a studiare oggetti che erano solo derivazioni d’epoca romana da originali greci. Ma la cultura del tempo intendeva non tanto raggiungere sicurezze filologiche, quanto trarre dalle nuove scoperte archeologiche stimoli e regole valide per il rinnovamento dell’arte moderna. Tipica in questo senso fu l’esperienza di Winckelmann, anch’egli accorso in Italia, che nei suoi saggi più importanti (Del sentimento del Bello nell’Arte del 1763 e Storia dell’arte dell’antichità del 1764) fornì le basi teoriche a gran parte del neoclassicismo europeo.
Ritenendo che le opere scoperte potessero fornire una documentazione sufficiente per delineare l’evoluzione stilistica dell’arte greca, Winckelmann individuò in alcuni punti fermi, in alcuni canoni, il segreto dell’ineguagliabile bellezza delle opere classiche. Per Winckelmann, la bellezza artistica non doveva avere relazione con la realtà, ma doveva essere “Bello ideale”, doveva essere “un’idea concepita senza il soccorso dei sensi”, facendo ricorso all’esempio dell’arte classica, il cui studio rivelava come la bellezza si manifestasse attraverso i concetti di armonia, unità, grandiosità e proporzione.
Nell’opera di Winckelmann, come del resto in quella di Mengs (importante teorico del “ Bello Ideale” nonché pittore) risulta chiara la sostanza tipicamente filosofica, di impronta neoplatonica, della nuova cultura neoclassica. Fu infatti sulla base di questa elaborazione teorica che i nuovi orientamenti stilistici neoclassici trovano la forza di penetrare in tutti i paesi europei, travolgendo le singole tradizioni figurative.
In Italia, il massimo centro del Neoclassicismo, come già detto, fu Roma proprio perché l’Urbe era diventata il più importante centro di incontro degli esponenti della nuova cultura. E a Roma videro la luce alcune fra le opere fondamentali di questo periodo. Jacques-Louis David nel 1784 vi esporrà per la prima volta il suo Giuramento degli Orazi che sollevò grande scalpore e ammirazione. Il dipinto, chiaramente ispirato alla scultura classica ma anche all’opera di Poussin, apparve la realizzazione dei principi del “Bello Ideale” per la semplicità della composizione, per la severità dello stile, per l’eloquenza grandiosa dei gesti; in più era carico di significati ideologici politici moderni, in quanto l’antico era rievocato non solo perché fonte inesauribile di Bellezza, ma anche perché mondo pieno di grandi virtù e di grandi eroismi. Non a caso di lì a poco, la rivoluzione francese riconobbe in David il suo artista più rappresentativo.
A Roma fece il suo tirocinio artistico Antonio Canova, che vi si stabilirà producendo capolavori richiesti da tutte le corti e da tutti i grandi collezionisti europei. Denominato dalla critica contemporanea come il “Fidia moderno” Canova svilupperà il suo stile in direzione molto diversa rispetto a David: se il grande pittore francese è il massimo rappresentante del “classicismo severo” e colmo di riferimenti all’impegno civile, Canova sarà il più alto rappresentante del formalismo neoclassico, dell’aspirazione a raggiungere i vertici del “Bello Ideale”.
Sculture come Paolina Borghese in veste di Venere Vincitrice (1805-1808), come la Venere italica (1812) o come le Tre Grazie (1813) daranno ai contemporanei l’illusione di rivivere nella civiltà antica o almeno di averne ormai conquistato l’immagine fedele.
Anche nel campo architettonico, Roma fu testimone di opere di grande novità per merito di Giuseppe Valadier, attento studioso dell’opera di Vitruvio e di Palladio con il suo progetto più grandioso, attuato dopo molti cambiamenti, per la sistemazione di Piazza del Popolo (1793-1816), immaginata come una vasta piazza a doppio emiciclo che raccorda armoniosamente da un lato il Pincio al Tevere e dall’altro Porta del Popolo alle vie di Ripetta e del Babuino.
L’altro grande centro della cultura neoclassica italiana fu Milano. Sia nel periodo austriaco che in quello napoleonico, Milano, soprattutto in campo urbanistico e architettonico, visse un profondo rinnovamento: architetti come Giuseppe Piermarini (Teatro della Scala 1776-78; Villa reale a Monza 1776-80), Leopold Pollack (Villa reale a Milano, 1790) e poi Giovanni Antolini (progetto per il Foro Bonaparte, 1806) e Luigi Gagnola (Arco del Sempione, 1807) dettero alla città un’importanza degna del suo ruolo di moderna capitale europea in una successione di spazi urbani aperti e razionali, punteggiati di edifici sobri e grandiosi.
Molti di questi palazzi saranno decorati da Andrea Appiani, forse il più significativo pittore neoclassico italiano, capace al tempo stesso di celebrare nel Trionfo di Napoleone l’imperatore come nuovo semidio dell’Olimpo, e di creare immagini di grande raffinatezza, come le storie di Amore e Psiche nella Villa reale di Monza, ove, come è stato scritto, “spira un’aura nuovamente virgiliana”.
Ma oltre ai due centri primari, Roma e Milano, in tutte le città e regioni italiane il Neoclassicismo ebbe la capacità di penetrare attraverso le tradizioni locali, originando una serie feconda di varianti diverse di un linguaggio figurativo che aspirava al cosmopolitismo e all’universalismo.

Note:
Winckelmann Johann Joachim n. a Stendal (Prussia) nel 1717 m. a Trieste nel 1768. Archeologo. Studiò nelle università di Halle e di Jena. Attratto dagli studi classici ebbe modo di approfondirli mentre era bibliotecario del conte Enrico di Bunau (1748). Convertitosi al cattolicesimo con l’aiuto di mons. A. Archinto, fece il suo primo viaggio a Roma nel 1735 dove, entrato in amicizia con alte personalità della Chiesa, tra cui il Card. Albani, potette disporre delle maggiori collezioni artistiche e dedicarsi allo studio dell’arte classica greca attraverso le copie romane. L’influenza di W. sull’arte e sul gusto del tempo fu grandissima; il senso dell’armonia, del “composto”, della passione dominata che costituiscono secondo W. i motivi fondamentali dell’arte greca, si ritrovano pienamente attuati nella lirica settecentesca del Parini, il quale nei suoi programmi di pittore tenne largamente presenti i motivi ercolanensi e gli ideali estetici di W. I motivi fondamentali dell’arte si ritroveranno più tardi nelle Grazie del Foscolo. Nel 1766, W. fu ricevuto da Maria Teresa d’Austria con grandi onori; successivamente, in una sosta a Trieste, sulla via di ritorno a Roma, venne tragicamente assassinato.

Mengs Antonio Raphael n. ad Aussig (Boemia) nel 1748 e m. a Roma nel 1779. Ritenuto dai contemporanei il maggiore pittore d’Europa, il vero riformatore della pittura corrotta dal barocco. M. ha importanza soprattutto per il significato polemico assunto dalla sua opera che apparve come un’illustrazione delle teorie del suo amico Winckelmann, anche se in realtà fu assai meno rivoluzionaria di esse. Stabilitosi a Roma nel 1744, M. si riallaccia alla corrente classicista della pittura romana del sec. 17°, anch’essa mirante ad una “bellezza sublime”. L’influsso di M. fu determinante nella formazione del gusto neoclassico. La sua teoria si fonda oltre che sui principi fondamentali del classicismo, sulla valutazione critica di Raffaello, maestro del disegno e dell’espressione, di Correggio, maestro della grazia e del chiaroscuro, di Tiziano maestro del colorito. Questo atteggiamento lo portò a formulare giudizi negativi su Michelangelo, su G.L. Bernini. Fu acuto e brillante ritrattista, autore del Parnaso di Villa Albani (1761) e degli affreschi della Sala dei papiri della Biblioteca vaticana.

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