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Il fallimento delle Regioni

Ottobre 25
16:27 2012

È la Costituzione italiana a definire il compito delle Regioni. È l’ormai bistrattato Titolo V. Con l’istituzione della Repubblica il passo successivo doveva essere l’istituzione delle Regioni, cosa che, all’infuori di quelle a statuto speciale, è avvenuto solo nel 1975. Solo negli anni ’90 i politici come Cossiga e Andreotti chiarirono il perché del mancato avvio delle Regioni. Dalla Liguria all’Emilia, l’Umbria, le Marche, la Toscana avevano un colore rosso, pericoloso per gli equilibri da guerra fredda. Anche altre Regioni rischiavano il colore; era bene tenere le autonomie locali appisolate, nonostante la Costituzione. In tutti questi anni la politica nazionale italiana ha sviluppato un sistema clientelare e di collusione con poteri malavitosi, con una crescente attività di azione corruttiva e concussione. Si paga per ottenere appalti, si chiedono soldi per agevolare appalti. Il cosiddetto benessere italico è passato come un cingolato tra scandali economici ed accrescimento del potere politico, impossessandosi di tutti i valori sociali al servizio di partiti e personaggi politici. Venti anni fa Craxi pronunciò un discorso alla Camera, mettendo in guardia il rischio della deviazione dei partiti, della crescente corruzione, del pericolo di infiltrazioni mafiose all’interno delle istituzioni. Sembra un discorso di oggi, ma succedeva venti anni fa. La politica ha trovato terreno fertile laddove il mancato ricambio generazionale, la falsa necessità di contrastare l’avanzata del comunismo (slogan ancora in voga), il consolidarsi dei “colonnelli” della politica ed un’infinità di interessi privati o di lobby hanno trascinato la nazione verso il baratro della corruzione e dello strapotere malavitoso. Per gli italiani elemosinare un posto di lavoro, un appalto, un diritto acquisito, ha significato corruzione per attivare una scorciatoia al raggiungimento dello scopo. Per i cittadini la corruzione diviene una prassi normale per acquisire ciò che spetta loro di diritto.
Le Regioni si sono insediate a cuneo in questa situazione socio-politica, assorbendo in breve tutti i privilegi che la casta offriva. Si sono trovati a decidere del loro compenso così come della loro vecchiaia, mentre sbraitavano contro lo Stato che tagliava fondi alla sanità o alle scuole. Nello spazio di poche legislazioni, i politici regionali hanno acquisito un possesso territoriale personalizzato, nel disinteresse dei cittadini se non per la cerchia di segretari, consulenti e portaborse. L’esponenziale crescita di privilegi politici, partito dal Parlamento, ha trovato seguito nelle Regioni, e di riflesso in Province e Comuni. Certo la corruzione non è totale, ma sicuramente primeggia all’interno delle istituzioni.
Una valutazione su tutte la troviamo nella nostra Regione che, tra il 2011 e i primi sette mesi di quest’anno, ha dilapidato 21 milioni di euro di finanziamenti destinati al “rapporto tra elettore ed eletto, al corretto funzionamento dei gruppi” e spesi in ostriche, puttane, viaggetti, Satyricon di cartapesta. Centomila euro netti l’anno per ogni singolo consigliere della Regione che si aggiungevano a una busta paga già assai importante da 13 mila euro netti al mese. Tutto questo mentre sanità, scuole e saldo delle opere pubbliche (quelle poche pulite) non avevano un euro da spendere.
La politica si muove verso le riforme. Negli ultimi venti anni il centro destra, per interessi di classe o privati, ha depenalizzato il falso in bilancio, le frodi e le corruzioni, relegandole a semplici atti amministrativi sanzionabili. Questo ha fatto si che, dopo Tangentopoli, invece di prendere una via di risanamento morale e sociale, ci si è indirizzati verso una “legalizzazione della corruzione”, dando carta bianca a quei politici di carriera e aprendo le porte alla criminalità organizzata. Oggi un Governo tecnico emana una legge detta “anticorruzione”. PDL e PD promuovono una legge zoppa, priva di indirizzo nei tempi di archiviazione per la corruzione, ambigua per l’ineleggibilità alle cariche amministrative. Dice Piercamillo Davigo (Corte di Cassazione): «I condannati in via definitiva a pene superiori ai 2 anni dovranno mollare la poltrona». Peccato che oltre il 90 per cento delle condanne, anche quelle per concussione, tra rito abbreviato e attenuanti generiche vanno pesantemente sotto i due anni. E poi basta che uno patteggi per evitare la condanna, e quindi l’incandidabilità. Il problema è che le leggi anticorruzione o per l’incandidabilità, così come il finanziamento (o rimborsi) dei partiti con l’utilizzo di fondi per i gruppi politici da spalmare nel territorio, sono proposte decise e votate dalle stesse persone che ne ricavano il conto.

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