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Parco archeologico di Tuscolo

Marzo 11
02:00 2007

Dopo le recenti scoperte archeologiche nell’area tuscolana, fatte dal dott. Arietti, alle quali questo giornale ha dato ampio spazio, il mondo culturale locale si è posto diversi quesiti, soprattutto riguardo le denominazioni geografiche. Cerchiamo di spiegare adesso i dubbi che ci aspettavamo di suscitare con i due precedenti articoli sull’argomento. Innanzitutto chiariamo che con il termine mons si indicava anticamente un “massiccio montuoso” e non semplicemente un monte. Pertanto, se è vero – come sostiene Arietti – che i Colli Albani corrispondevano più o meno alla città-stato Albalonga, allora dovremmo dedurre che anche il Mons Albanus (= Massiccio montuoso albano = Colli Albani) territorialmente corrispondeva ad Albalonga. Veniamo ora alla città di Tusculum. L’antica città latina aveva il suo centro nell’area del foro sull’attuale Tuscolo, ma il suo territorio si estendeva tutto intorno attraverso le diverse strade (diverticula), lungo le quali si trovavano le abitazioni. Ricordiamo che il presidente dell’Archeoclub Tuscolano, Marco Albertazzi, scomparso nel 1994, era convinto che Tusculum occupasse un vasto territorio che abbracciava gran parte degli attuali paesi di Monte Porzio Catone (sede di detto archeoclub), Monte Compatri, Grottaferrata e Frascati. Anzi, lo studioso medesimo aveva speso la sua intera esistenza a sostenere questa tesi, a sostegno di un’idea di Tusculum vasta e potente territorialmente, oltre che militarmente e politicamente, così come la storia antica ci ha insegnato. Chiariamo pure che il fiume Albula, che circondava il Latium Vetus, alimentava le sue acque dalle sorgenti tuscolane. Questo unico fiume, che nel corso dei secoli ha avuto varie vicissitudini, ha finito poi per prendere nomi diversi dai popoli il cui territorio si trovava ad attraversare (Aniene dai tiburtini, Tevere dai romani). Come già illustrato nel numero di dicembre 2006, la leggenda di Romolo e Remo, figli di rea Silvia della dinastia dei Silvì di Albalonga, subisce vari adattamenti nel tempo a seconda dei popoli dominanti. Così in epoca etrusca (quando sono in auge i potenti Tarquini) si scrive che i due gemelli erano stati abbandonati sul fiume Albula, in territorio tuscolano, mentre nella successiva epoca romana la leggenda viene riscritta per ricollocare i mitici fondatori di Roma, abbandonati questa volta sulle sponde del fiume Tevere. Ecco perché sarebbe auspicabile in tempi rapidi uno scavo integrale dell’intera area archeologica di Molara, proprio per fornire risposte esaustive ai vari quesiti posti dai recenti ritrovamenti. Per completare lo scavo già iniziato – ha detto l’archeologo Arietti – sarebbe sufficiente il lavoro di una ventina di giovani da assumere con un contratto a tempo determinato per un anno. Naturalmente sotto la di lui guida. Ma i tempi per ottenere il vincolo archeologico da parte delle istituzioni responsabili (Soprintendenza archeologica del Lazio e Direzione regionale per i beni culturali ed archeologici) sono già scaduti, e dunque, chi salverà l’importante patrimonio archeologico? E, nel caso le previste mega-lottizzazioni si dovessero realizzare, chi e come spiegherà al mondo accademico ufficiale che per noi valgono di più gli interessi economici di immobiliaristi e costruttori, della Cultura?

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