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Quella birbona della punteggiatura!

Quella birbona della punteggiatura!
Settembre 14
09:40 2010

Se nella lingua italiana la punteggiatura è utile per distribuire le giuste pause all’interno del discorso, nella lingua latina, più rigorosa del nostro Volgare, l’uso di una corretta punteggiatura è essenziale per dare il senso desiderato ad una frase. Quali brutti scherzi possa giocare un uso errato della punteggiatura nel latino lo sanno molto bene due personaggi a tutti noti: Flavio Gioia e il monaco Martino.

Il primo, fino a non molto tempo fa, era considerato il “padre” della bussola, tanto che ad Amalfi, sua città natale, gli fu eretto un monumento. Il secondo, invece, con il detto «Martin per un punto perse la cappa», è comunemente ricordato in tutte quelle situazioni in cui qualcuno sta per realizzare un progetto ambito ma, a causa di un piccolo errore, tutti i suoi sforzi vanno in fumo. Vediamo, dunque, come da una parte per un “punto” di troppo incautamente messo in una frase latina è nato tale proverbio e dall’altra come il semplice spostamento di una virgola, in un’altra frase latina, ha “partorito” il leggendario personaggio Flavio Gioia, in realtà mai esistito.

Un giorno il monaco Martino fu incaricato di copiare l’iscrizione che era sulla porta del suo convento: «Porta patens esto, nulli claudatur onesto», che in italiano suona così: «La porta sia aperta, a nessuna persona onesta si chiuda». Ma il monaco Martino, distrattamente, nel trascrivere la frase mise per errore un punto dopo “nulli” («Porta patens esto nulli. Claudatur onesto») cambiando, in tal modo, radicalmente il significato della frase: «La porta non sia aperta a nessuno. Si chiuda in faccia ad una persona onesta». Questo errore di punteggiatura costò molto caro al buon monaco Martino, che per tale motivo non fu nominato priore, perdendo così la “cappa”, ovvero il caratteristico mantello con cappuccio dei priori!

E ora veniamo all’altra vittima della punteggiatura latina: Flavio Gioia. Una delle “glorie” cinesi è l’invenzione della bussola, a lungo, invece, erroneamente attribuita a un certo Flavio Gioia, amalfitano, in realtà mai esistito, perchè frutto di un errore d’interpretazione di un testo dello storico Flavio Biondo. Ma vediamo come è nato questo personaggio, gabellato per navigatore e geniale inventore. Lo storico Flavio Biondo, verso la metà del sec. XV, scambiando superficialmente l’invenzione con l’uso della bussola, effettivamente diffuso nel Mediterraneo dai navigatori amalfitani, aveva attribuito a questi la sua invenzione. Il filologo Giambattista Pio, a sua volta, nel 1511 riprese la falsa notizia da Flavio Biondo e correttamente la espresse in latino: «Amalphi in Campania veteri magnetis usus inventus, a Flavio traditur» frase che tradotta in italiano suona: «Flavio afferma che ad Amalfi, in Campania, fu inventato l’uso della calamita». Successivamente, però, la stessa frase fu riportata da un copista spostando, per errore, la virgola dopo «a Flavio», cambiando così totalmente il suo significato che divenne: «Si narra (traditur) che ad Amalfi, in Campania, fu inventato l’uso della calamita da Flavio (a Flavio)». All’errore si aggiunse quasi la beffa, quando lo storico napoletano Scipione Mazzella aggiunse di suo che Flavio sarebbe nato a Gioia in Puglia, e poi avrebbe inventato la bussola ad Amalfi: nacque così il leggendario quanto immaginario Flavio Gioia, inventore della bussola, citato come tale nel 1540 da Lilio Gregorio Giraldi nel suo De Re Nautica. È merito della storica medievista Chiara Frugoni la recente scoperta di tali errori in uno studio che è stato confermato dallo storico Alessandro Barbero nella trasmissione Superquark del 7 agosto 2008. In realtà i cinesi, probabilmente, conoscevano il fenomeno del magnetismo già fin dal 2634 a.C., secondo antichi annali cinesi in cui è riportato un carro con figure umane che tendono un braccio nella direzione del Sud, il punto cardinale più importante per i cinesi. Altri riferimenti al magnetismo si trovano nell’opera Il libro del maestro della valle dei demoni del secolo IV a.C. Un testo cinese del 1044 descrive la bussola ad acqua, costituita da un magnete a forma di pesce posto in una vasca colma d’acqua e quindi libero di orientarsi nella direzione Nord-Sud. Fu il famoso matematico cinese Shen Gua (1031-1095), nella sua opera enciclopedica Meng Qi Bi Tan (Studio del ruscello dei sogni) del 1086, che spiegò per primo come magnetizzare un ago, strofinandolo con un pezzo di magnetite, e come costruire la bussola asciutta, sospendendo l’ago a un filo di seta con una goccia di cera o di mostarda. La prima citazione documentata, fino ad oggi nota, della bussola come strumento di navigazione è, invece, contenuta nell’opera Ping Zhou Ke Tan (Conversazioni di Ping Zhou) del 1117, ma l’uso della bussola per navigare potrebbe essere anteriore a tale data: forse fra l’850 e il 1050. È strano, però, che Marco Polo (sec. XIII) non avesse mai fatto riferimento all’uso della bussola in Cina.

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