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Sulla sostenibilità globale

Sulla sostenibilità globale
Aprile 16
19:38 2019

Che cosa ci riserva il futuro, viste le trasformazioni sociali e ambientali in atto?

La globalizzazione degli scambi economici e commerciali condurrà alla sesta estinzione di massa della vita biologica sulla Terra?

Forse sì, se non si interverrà velocemente e globalmente a rivedere la finanza e la produzione in un’ottica di sostenibilità.

Una delle possibili cause di questo disastro: l’ingordigia del massimo profitto a prescindere dai temi di salvaguardia dell’uomo e dell’ambiente.

Ora cerco di analizzare il tema dal mio punto di vista e faccio riferimento a un’esperienza che mi ha coinvolto personalmente nel 1979.

Il nostro gruppo di lavoro in Enea completò la realizzazione della ‘Carta dei siti’ suscettibili ad accogliere un impianto nucleare a fissione per la produzione di energia elettrica. Lo facemmo, per la prima volta al mondo, sfruttando i sistemi informatici. L’analisi computerizzata si basava su dati territoriali categorizzati in un data base relazionale da noi realizzato (il mercato ancora non offriva strumenti di questo tipo). Vista l’esperienza acquisita dal nostro gruppo e visti i dati in nostro possesso, in quei giorni il Presidente dell’Enea ci affidò un ulteriore lavoro di indagine: individuare le aree costiere che sarebbero state sommerse nel caso di un innalzamento di mezzo metro del livello del mare. La previsione scientifica formulava che, in alcuni decenni, l’innalzamento della temperatura del globo, a causa dell’effetto serra, avrebbe sciolto una parte dei ghiacciai!

Già allora era previsto il futuro che stiamo vivendo oggi! Perché, a distanza di 40 anni nulla, o quasi, è stato fatto dai governi planetari per evitare questo disastro?

Ora cambiamo tema, ma non il problema, visto che le cose sono strettamente correlate.

Nel 1930, in una conferenza, John Keynes – una delle figure della scienza economica che ha influenzato l’elaborazione economica, sociologica e politica del Novecento – disse che entro un secolo l’economia non sarebbe più stata un problema per il genere umano. Il mondo sarebbe stato molto più ricco e lo sviluppo della tecnologia avrebbe permesso all’uomo di lavorare solo 15 ore settimanali. Oggi, è vero, il progresso economico ha anche superato le sue previsioni, ma i ritmi del lavoro sono sempre gli stessi. Non solo: la produttività e l’economia crescono continuamente ma non riescono più a offrire il lavoro di 40 ore settimanali per tutti!

Ciò sta a significare che le risorse prodotte aumentano ma non offrono un proporzionale aumento di benefici alle grandi masse lasciando che aumenti la concentrazione delle risorse in mano a poche, anzi pochissime, persone.

Il diagramma allegato mette in evidenza la evidente divaricazione crescente fra produzione e salario. Inoltre, in un rapporto Oxfam dal titolo “Un’economia a servizio dell’uno per cento” è scritto che l’uno per cento della popolazione mondiale possiede più del restante 99 per cento messo insieme. Queste cifre dimostrano che viviamo in un mondo in cui la disuguaglianza ha raggiunto livelli senza precedenti nella storia dell’uomo.

Perché? Perché i governi planetari non sono stati capaci di forzare uno sviluppo equo e sostenibile? Eppure l’attuale sviluppo è il frutto dei sogni dai quali l’uomo ha raccolto l’eredità di chi lo ha preceduto. La cultura che ci circonda è un impasto omogeneo della memoria antica dell’umanità e gli avanzamenti culturali non sono il frutto di singole persone ma appartengono alle intelligenze associate di molti individui i quali hanno contribuito, inoltre, anche a sostenere collettivamente gli enormi sforzi economici attraverso i cospicui investimenti dei governi nelle strutture che formano la base tecnologica sulla quale si sviluppa la produzione industriale.

Il trasporto, la comunicazione, l’educazione, ecc. sono stati pagati, infatti, da tutti noi, con le nostre tasse, ma i maggiori benefici sono solo per pochi.

Perché c’è sempre più disuguaglianza e non si affronta questa enorme questione morale? Perché sentiamo di vivere in un equilibrio precario? Perché non sono regolamentate le emissioni inquinanti? Perché ci troviamo sull’orlo di un baratro ambientale e sociale?

Se il problema ambientale non deriva dall’industrializzazione, ma dalle modalità di produzione che sono sempre più mirate al ‘massimo profitto’… e se il problema sociale non deriva dal mercato globale, ma dalla ‘globalizzazione del mercato’ che genera ulteriori e più accentuate differenze, esasperando quelle già esistenti e polarizzando sempre più la natura umana minando alla base la coesione sociale, perché non siamo stati in grado di sviluppare su scala mondiale accordi mirati alla salvaguardia dell’ambiente e neanche alla salvaguardia sociale?

La motivazione va cercata nel fatto che la politica non rappresenta più il potere, non decide più autonomamente! Coloro (pochi) che detengono nelle loro mani gli strumenti produttivi e finanziari hanno anche il controllo della politica: è la globalizzazione che governa politicamente il mondo!

I governi planetari, anche quando cercano di fare azioni mirate all’interesse della collettività, non hanno più la capacità di intervenire su questo fenomeno che è molto più pervasivo.

Questo mostro senza testa ha ‘spersonalizzato’ la finanza e il mondo produttivo. Lo abbiamo liberato… e lui ‘ci sta divorando’.

Non avendo sentimenti, non avverte alcun tipo di responsabilità né di tipo sociale e neanche nei confronti dell’ambiente, ma agisce spinto dall’eccessiva ingordigia del massimo profitto alimentandosi con il caos che lo circonda.

Preciso che l’effetto della globalizzazione non è tutto negativo: stanno, sì, aumentando vergognosamente le disuguaglianze all’interno dei paesi sviluppati, ma stanno anche diminuendo consistentemente le disuguaglianze fra questi paesi e quelli in via di sviluppo! Però, la specie umana avverte un’incertezza e un disagio scatenato dalla paura postmoderna… la realtà è divenuta troppo flessibile perché si possa costruire qualcosa di stabile e duraturo nel tempo e il progresso tecnologico ha reso sempre più ininfluente il lavoro di massa in relazione al volume della produzione.

Il mondo, come dice Bauman, è divenuto oramai irrimediabilmente ‘liquido’. Cioè non si cerca più, come era nel passato, di seguire una consolidata ideologia per costruire il corrispondente ‘mondo perfetto’.

Vorrei ora citare un passo del film-documentario di Rudy Gnutti ‘In the same boat’.

Si racconta l’esperienza di un gruppo di americani che nel 1944, nel corso di una spedizione per l’installazione di una stazione radio nell’isola deserta di San Matteo nel Mar di Bering, portò sull’isola alcune decine di renne. Le renne prolificarono a dismisura ma poi si estinsero perché il grande numero di esse esaurì tutte le limitate risorse dell’isola.

Il racconto-metafora ci induce a pensare, immaginando la Terra come se fosse un’isola deserta, che la crescita dei consumi di tutta la popolazione mondiale porterà all’esaurimento delle risorse disponibili. Inoltre, il dissennato uso delle risorse globali condurrà il nostro pianeta in una situazione tale da non consentire più la presenza di vita biologica, almeno come la intendiamo adesso.

In conclusione, vale la pena citare un avvertimento di Bauman: «La dissoluzione dell’ordine socio-politico che ha permesso alle bio-tecno-scienze di assumere la loro ben nota e sinistra tendenza genocida, ha cancellato alcuni pericoli dall’ordine del giorno, o almeno ha reso improbabile la loro replica nell’epoca della postmodernità. Ma i nuovi tempi e i nuovi assetti socio-politici, hanno procurato nuovi rischi – per ora solo intuiti e inesplorati -. Il problema di come impedire loro di trasformarsi in realtà, configurerà probabilmente il contenuto dell’agenda politica del futuro. Altrimenti potrebbe non esserci più un futuro da forgiare: o, piuttosto, non ci saranno esseri umani in grado di forgiarlo.»

Forse, se ci sarà tempo, i giovani potranno forzare la modifica di questa situazione generale, ma solo costruendo una nuova cultura nella quale una collettività di persone seguano responsabilmente, e tutti insieme, una nuova etica sociale.

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