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“Rock’n’roll” di Marco Denti

“Rock’n’roll” di Marco Denti
Gennaio 31
23:00 2009

9983-le-rockUna raccolta di articoli, perlopiù tratti dalla rivista Buscadero, densi di una scrittura vezzosa, opportunamente strutturata per blocchi semantici comunque forgiati nell’accezione più ribelle del rock. Di Steve Wynn dei Dream Syndicate, che ha curato la prefazione, restano tracce dell’anima rocker itinerante più essenziale, sbadata e sognatrice quanto basta. “Cosa vuol dire rock’n’roll” l’autore lo espleta subito nella semiotica di un rullante detonatore sulla benzina di una chitarra, basta Like a Rolling Stone perché il mondo non sia “più lo stesso”. Rock’n’roll nel segno della continuità di una rivoluzione autorigenerante, dalle radici fifty al ’77 e oltre… Hank Williams ne è l’ombra che attraversa il grande Ovest, mentre Woody Guthrie ce ne trasmette la poesia popolare, di strada, con gente comune, tra dolenti e diseredati, tutta una tradizione poi ben incarnata da Bob Dylan. Per la Band, che collabora con l’eccelso songwriter americano, c’è un rimarchevole “rovistare nelle soffitte e nelle cantine” mentre tutt’intorno imperversa il nuovo. David Crosby è parte integrante della stagione di fiori e amore (ma anche erba ed LSD) della San Francisco del ’67, quella dei Jefferson e dei Grateful Dead, dove il consumo delle droghe diviene anche uno stile di vita tale da produrre nefasti esiti, soprattutto per qualcuno che, come lui, ha cavalcato a lungo “la tigre”. If only I could remember my name è il gioiello che ne resta nell’epopea di un’inevitabile decadenza che lo porterà, nel 1989, a Milano, come sopravvissuto e monito di turno per “un festival contro la droga”. Los Lobos sono l’anello circostanziato,di frontiera, dove diverse culture musicali, latinoamericane e nordamericane, s’intrecciano nel corso di un quarto di secolo, un’omogeneità forse mai raggiunta da Carlos Santana che tuttavia coglie il guizzo del melting pot, oltre ad avere di suo un immenso talento. Compaiono anche i Talking Heads, in un “intreccio multietnico e multiculturale” che vede n Psycho Killer la scaturente scintilla creativa, e i leggendari Television con tutta una poesia ritrovata nella New York di Patti Smith. Con gli Who resta “lo stile” della ribellione, un germe che più tardi verrà meglio estetizzato dal punk. I Sonic Youth, forse, sintetizzano meglio di altri quella generazione “con il vuoto alle spalle e un futuro già ipotecato”. Ricorre l’anno 1975 per due album, quello di Black & Blue degli Stones alla ricerca di un chitarrista e quello di Lou Reed che onora vincoli contrattuali discografici col “rumore” di Metal Machine Music. Addio alle armi, parafrasando Hemingway e passando per Apocalypse now di Coppola, s’inoltra fin dentro i paradossi insiti nelle radici adolescenziali dell’autore con un 45 giri spartiacque, un “virus” che, guarda caso, parte proprio dall’intramontabile Dylan. Il seme che ne scaturisce è fertile di pacifismo e rock, binomio tout court facilmente estendibile dal Vietnam all’11 settembre, ma la Pivano è ancora in grado di darci un distinguo e, a proposito di poesia e sixty, commenta al riguardo che “quei sogni, quelle utopie sono stati travolti dal terrorismo”. Down The Road Apice e Peace, Love & Understanding sono storie di canzoni che vivono di propria vita, al di là delle intenzioni degli stessi autori. Chuck Berry lascia un segno sulla prima ed Elvis Costello illumina la strada alla seconda.

Townes Van Zandt e Allen Ginsberg, accomunati nel viaggio e nella sua poesia, rappresentano il “crepuscolo on the road”.
Joe Strummer è colui che si rimette in gioco nonché prematura scomparsa senza “pretese autodistruttive delle rock’n’roll star”.
Leonard Cohen, “metà lupo e metà angelo”, dopo Suzanne deve comunque fare i conti (o far quadrare i conti) con qualche femme fatale di troppo.
Johnny Cash e l’eredità degli American Recordings, Tom Waits, Charles Bukowski e un film dei fratelli Cohen, Big Lebowski, sono infine quant’altro ci porta avanti con l’autore in un’America dove “il viaggio ha ancora molte svolte da mostrare”.

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