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Calendimaggio

Calendimaggio
Maggio 13
14:40 2010

calendimaggioIl calendario romano arcaico era un calendario lunare il cui mese era ritagliato su di un ciclo lunare completo che si compie in circa 29 giorni e mezzo. Il primo giorno del mese era decretato dal Pontefice Massimo all’apparire della prima falce della luna nuova e veniva definito Kalende. Quindi con calendimaggio si indica il primo giorno del mese di maggio. Fonteio sostiene che alle calende di maggio si doveva onorare la terra prestando un culto a Maia.  Per i romani Maia era la sposa di Vulcano, e lo si rileva dal fatto che il sacrificio a lei indirizzato alle calende di maggio veniva eseguito dal sacerdote di Vulcano, il Flamen Vulcanalis. Si sosteneva pure che Maia era la dea da cui prendeva il nome il mese di maggio (Majus). Certuni affermano, e con essi concorda Cornelio Labeone, che Maia, così chiamata per la sua grandezza e per questo definita nel culto come Magna Mater, non fosse altro che la terra. Costoro confortano la loro asserzione anche col fatto che alla dea si sacrificava una scrofa gravida, cioè la vittima propria della terra. Sempre Cornelio Labeone scrive che a Maia, sotto il nome di Bona Dea, è stato dedicato un tempio il primo maggio, e afferma che proprio dal suo rituale segreto è possibile capire come Bona Dea e la Terra si riferiscano alla stessa divinità. Mentre alle calende di maggio si onorava Maia, la Grande Madre, nei giorni a cavallo del primo maggio si celebrava in onore di Flora, la dea protettrice delle piante utili e degli alberi, soprattutto nel periodo della fioritura. Mater Florum la chiamava Ovidio: in suo onore si celebravano al circo Massimo dal 28 aprile al 3 maggio i Floralia, ai quali si doveva partecipare in vesti variopinte a imitazione dei fiori. «Di vin tinte le tempie», narra Ovidio, «si cingono di serti intrecciati, e la splendida mensa è tutta sparsa di rose». L’usanza di celebrare il trionfo della primavera ai primi di maggio era diffusa in tutta l’Europa fin dai tempi arcaici. Protagonisti erano gli alberi e i fiori da un lato e, dall’altro, un rito stagionale che celebrava la lotta fra Inverno e Primavera con la vittoria di quest’ultima: da questa lotta rituale nacquero poi i tornei e le giostre medioevali. Il primo maggio segnava l’inizio del trionfo della luce sulle tenebre e come in ogni periodo di passaggio si entrava in comunicazione con il mondo infero e con i morti. «Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica», scrive Eliade, «i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma…». L’albero quale simbolo di rinascita cosmica ha sempre avuto un ruolo primario nei festeggiamenti delle Calendimaggio e a questo proposito voglio citare un piccolo aneddoto personale: da bambino non di rado sentivo usare il termine calenne in riferimento ad un individuo particolarmente allampanato e ho sempre ritenuto significasse un aspetto spiccatamente longilineo, un Don Chisciotte per intendersi. Ma solo in questi giorni, a distanza di anni, mi è sorto un dubbio e per questo mi sono rivolto a chi ha più memoria storica di me, che gettandomi nello stupore mi ha spiegato come col termine calenne s’intendesse l’albero della cuccagna, quel tronco slanciato, levigato e unto che si ergeva il giorno della festa carico di doni al centro della piazza e che i più audaci dovevano scalare alla conquista delle leccornie. Il Calenne o Maggio veniva eretto e, ove la tradizione delle Calendimaggio permane, ancora lo è, a simboleggiare la rinascita cosmica. Nei paesi celtici le Calendimaggio coincidevano con la solennità di Beltane, durante la quale si usava appendere una corona primaverile a un tronco sfrondato. In Svezia si soleva condurre nei villaggi un gran pino che adorno di nastri costituiva il centro della festa e delle danze, per poi rimanere nella piazza un anno intero. A Bordeaux i ragazzi di ogni strada usavano erigere un Maggio che adornavano con ghirlande e una grande corona e ancora oggi si erigono Maggi adorni di fiori e di nastri in ogni villaggio della gaia Provenza e, sotto di essi, i giovani fan festa e i vecchi si riposano. Sull’albero sfrondato, eccetto che per una corona di foglie verso la cima, venivano posti, oltre a nastri variopinti, dolci, uova, salsicce e altre cibarie che i giovani, arrampicandosi, cercavano di cogliere. Il rituale dell’albero è sopravvissuto anche in qualche città italiana,come Gualdo Tadino o a San Giovenale di Nocera Umbra, ove la sera del 30 aprile si pianta il calenne. Quell’albero non è che il simbolo dell’albero cosmico, le cui fronde si trovano di là dal visibile, nel non manifesto, asse del mondo grazie al quale si può giungere alla comunione divina. Ora maggio non è più il mese di Maia ma è di Maria e le rose non sono più i fiori di Flora, ma della Madonna.

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