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CARRETTI A VINO

CARRETTI A VINO
Aprile 18
17:50 2022

Gironzolando per le bancarelle romane, trovo in una di esse, un opuscolo: “Carrettieri a vino e vetturini romani” (Nuovo Almanacco). Cosa dice in riferimento al carrettiere? Un carro “vivace e variopinto” a due ruote grandi, due stanghe, trainato da un cavallo e una copertura laterale (cappotta a soffietto detta furcina dipinta, tappezzata e ricca di “pendagli e frange” con fissata la feriera ricca di campanelli) per riparare dal sole il carrettiere. Trasportava a Roma i barili di vino prodotti dalle vigne castellane. Tali barili, coperti da una stuoia, avevano una capacità di sessanta litri, pari a mezza botte, detta “un carretto”. Essi erano tenuti da suste, corde “tirate e strette per mezzo di un argano” (mulinello). Generalmente, il carrettiere viaggiava con il cane, percorrendo la via Appia o la Tuscolana, ed il carretto era tutto dipinto. Sotto il carro era posto il secchione (in origine per raccogliere l’eventuale vino che fuoriusciva da qualche barile) e il cavallo portava una testiera, un collare e uno zinale. Era fornito di lucerna perché generalmente viaggiava di notte e percorreva circa quattro o cinque chilometri l’ora. Il costruttore di tali carretti era detto facocchio (costruivano, riparavano ed eseguivano la manutenzione degli stessi). I carrettieri servivano gli osti romani, dove, una volta arrivati a destinazione, le operazioni di carico e scarico dei barili erano affidate al facchino (a Roma è presente una fontana dedicata a tale persona). Presso Porta San Giovanni si pagava il dazio. L’abbigliamento del carrettiere era quello romano: “calzoni di velluto stretti sotto il ginocchio, calzettoni rossi, scarpe nere con fibbia spesso d’argento o d’oro, fazzoletto bianco o colorato annodato al collo, giacchetta di velluto sopra la camiciola con le maniche corte, cintura di seta a fascia intorno alla vita e, per finire, un cappello a pan di zucchero con le falde abbassate.” Di seguito i versi “CARETTIERE ROMANO” di G. Micheli, accompagnati anche dalla musica di G. Rossi: Roma!/ quanno te vede er core mio me trema/quanno te lassa er core mio te chiama…/ ‘Gni notte vengo giù da li Castelli/ incappottato sur caretto a vino/ me guido co’ le stelle e ciò vicino/ un core pieno da felicità./La strada è longa assai/ma a Roma porterà,/ si nun s’arriva mai/me sfogo cor cantà./ So’ carettiere e nun vedo nissuno/ e li barili me pareno un trono:/ pe’ restà svejo ciò qui er mandolino/ e ‘na cupella a portata de mano./ Accusì core mio bello/me fo un sorso e ‘no stornello,/Roma spunta e bullo bullo/ entro dentro a ‘sta città./Er carettiere è un nobile romano/ e ar monno ormai nun c’è chi nun lo sappia,/ fai cento strade ma si pensi all’Appia/ tra un pino e un acquedotto vedi a me./ La strada è sempre quella/ma a me che l’ho da fa/ me pare assai più bella/ perché me fa cantà./So carettiere e nun vedo nissuno/e li barili me pareno un trono,/ pe’ restà svejo ciò qui er mandolino/ e ‘na cupella a portata de mano./ Accusì core mio bello/ me fo un sorso e ‘no stornello, Roma spunta e bullo bullo/ entro dentro a ‘sta città. Ora, le misure in legno erano il barile di vino che portava circa sessanta litri, mezzo barile trenta, un quartarolo quindici litri, la copella dieci litri; mentre le misure in “vetro o di terraglia” per il vino erano il boccale di due litri, il tubbo di un litro, la fojetta di mezzo litro, il quartino di un quarto di litro, il chirichetto di un quinto di litro e il sospiro di un decimo di litro.

Foto: carretto a vino, 402 Fiera di Grottaferrata.

 

 

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