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 Dopo le ‘sardine’

Dicembre 16
11:51 2019

              L’attuale situazione politica è caratterizzata da una incertezza assoluta sulla via da percorrere per la soluzione dei problemi che assillano l’Italia e che comunque  nella percezione della gente sembra che si riducano semplicemente a qualcuno di essi più ‘gettonato’ o se si preferisce ‘cliccato’: l’Alitalia, l’ex-Ilva, il MES… dei quali tutti discutono ma poi la soluzione sarà sempre quella dello Stato-baby sitter, cioè uno Stato che paga e, cioè sempre a carico dei cittadini che pagano le tasse (sia pur mascherate con altri appellativi e finte risorse del tipo “levo a te per dare a lui e tolgo all’altro per non so più cosa fare”.  Tra l’altro sembra di vivere in un altro paese: le italianissime ‘tasse’ (gabelle, tributi, imposte e varie…) vengono ‘addolcite’ e camuffate con tanti termini anglofili: si cominciò col jobs-act di renziana memoria ed ora viviamo nell’inflazione delle plastic tax, sugar tax, flat tax, e tutte le tax che volete e nelle location che preferite! Senza contare che anche alcune sigle italiane erano già entrate nel lessico politichese, per cui molti non sanno quasi  più di cosa si parli: MES, TARI, IMU, ecc.

Ma il vero problema è che i governi finora non hanno mai pensato ad una politica economica e ambientale di lungo respiro, ma sono intervenuti sempre (tardi) sulle difficoltà sopraggiunte o contingenti.

Nel frattempo l’attuale fase politica italiana è talmente confusa che è difficile districarsi tra le attuali ‘proposte’(?) propagandistiche e demagogiche dei governanti e le contrapposizioni senza costrutto dell’opposizione che procede per slogans, mentre ci si trastulla a leggere i sondaggi sui ‘partiti’ o sui leaders, che ormai fluttuano  normalmente  intorno allo zerovirgola. Pare poi che dopo essersi avvitati su queste grandi riflessioni italiche, nessun sondaggista rischi più di indagare sul come la pensa il mare magnum degli indifferenti e dei non votanti; tanto che il fenomeno delle cosiddette ‘sardine’ è nato senza che i sondaggi lo prevedessero! E  oggi l’attenzione è rivolta a questo movimento che con ogni probabilità, seppur innescato da giovani (ma fino a quando?) non può che aver pescato tra coloro che non hanno mai espresso un voto o tra i delusi di questo o quel partito, o ancora tra coloro che – in questo caso giustamente – hanno bisogno di una politica meno urlata e rancorosa contro qualcuno, e di una politica al servizio (vero) dei cittadini e della comunità. Quale strada prenderà questo movimento? E’ difficile dirlo, ma certamente vi sono due alternative: creare un gruppo/partito politico nuovo con uno o più leaders riconosciuti (e qui poi potrebbero nascere i ‘distinguo’) o dissolversi nel gurgite vasto, con qualche piccola frangia che approderà nei partiti già esistenti, anche perché un movimento non può restare eternamente di ‘opinione’ senza prima o poi fare – sia pur in proprio – delle scelte politico-partitiche. Ma ci torneremo su.

In questa realtà ancora magmatica, le forze politiche in campo, alimentano ulteriori frammentazioni soprattutto nel campo della cosiddetta sinistra: da Renzi a Calenda, fino a quei personaggi che per ora restano nel PD per convenienza personale o ‘prebende’ più o meno palesi.

In quanto al PD, ma a questo l’ho accennato altre volte, questa formazione è rimasta una sorta di più o meno nostalgici eredi del vecchio apparato PCI a cui si richiama ancora oggi con una banale prassi terminologica che da un lato si trascina tra le nostalgiche, vetuste e obsolete coreografie delle ‘feste dell’Unità’ (una volta si dicevano ‘festival’) e dall’altro impantanandosi nello stagno di una superata sinistra radical-chic, individualista, che, con un  felice matrimonio tra capitalismo più o meno camuffato e una terminologia presunta popolare, si aggrappa ad ogni più piccola manifestazione presunta ‘periferica’, dal femminismo più o meno retrò, ad un fasullo ugualitarismo, cercando per di più di cavalcare tutte le proteste anche quelle che sarebbe bene lasciar isolate. D’altro lato i sovranismi populistici pescano nell’ignoranza ‘storica’ e culturale della gente a cui è chiaro che non frega niente del passato e nemmeno delle nostalgie del ‘tempo bello di una volta’ (ormai questi nostalgici, che perlomeno erano più autentici e genuini, non sono nemmeno più tra i vivi!); ma ai nostalgici dell’ultima ora piace seguire capi taumaturghi che magari anche oggi invitino a ‘vivere pericolosamente’! D’altro canto per difendersi da populismi, sovranismi e violenze gratuite, si è affacciata l’insistenza ipocrita di tanti politici e anche docenti di una certa età, che invitano la scuola a formare i giovani perché conoscano di più la storia e anche gli errori del passato magari suggerendo anche il revival dell’educazione ‘civica’ (peraltro mai messa in atto nelle scuole dei passati decenni!); ma per di più ci si potrebbe chiedere: non sono stati questi politici e docenti i ‘precettori’ dei giovani odierni? Cosa hanno insegnato ai loro tempi? Sembra che nessuno in tutti campi (compreso quello ecclesiale) abbia il coraggio di fare anche qualche sacrosanto ‘mea culpa’.

Tornando ‘dentro’ il PD, questo agglomerato odierno è il risultato dell’abbandono suicida dell’esperienza comune di quell’incontro positivo delle aree che si riconoscevano nel liberalismo (non liberismo!), nel cattolicesimo democratico, nella socialdemocrazia; ma sappiamo che, piano piano queste aree sono state emarginate, lasciando progressivamente il ‘comando’ ad un uomo solo, con tutte le conseguenze del caso.

Oggi (al ‘tempo renziano’ il tutto era lasciato alla pirotecnia del capo) nell’attuale PD non pare esistere una vera strategia lungimirante e anche il modo di gestire la situazione politica del post-governo Salvini/Di Maio è ondivaga e piena di contraddizioni. E’ anche vero che di veri leaders, (cioè non ‘capi’, ma intelligenti politici), forse non ce ne sono più, ciò non toglie che sulle decisioni e sulle vie da percorrere ci debba essere un gruppo dirigente coeso, aperto e competente. E questo non è. Le divergenze interne non sono state eliminate, ma solo un poco sopite. Non per niente lo si vede dalle ‘fuoriuscite’ ma anche dalle nuove ‘correnti’ che si stanno formando internamente.

Quando poi i ‘piccoli leaders’ non riscuotono più tanto favore all’interno, la soluzione che trovano è quella di crearsi un partitello a loro uso e consumo (vedi i Renzi, i Calenda e altri consimili…) tanto più che con la proporzionale che avanza è facile conquistarsi una poltrona e fare piccoli o grandi ricatti.

Sui grandi problemi economici e vitali del Paese non sembra che si lavori per proporre soddisfacenti soluzioni (e spesso il segretario del PD è a rimorchio di proposte più o meno campate in aria; l’ultima: il ‘patto sociale’ di Landini, ma che vuol dire?), mentre sembra del tutto assente una visuale nazionale e internazionale anche sul piano dell’economia: non solo sull’Europa ma anche riguardo i rapporti con Stati Uniti, Cina, NATO, e in particolare con l’Africa. Sembra che la politica internazionale sia una sorta di mare magnum in cui si vuole talvolta navigare con qualche zattera di passaggio. E magari in certe situazioni ci si aggrappa a qualche ONG di passaggio.

In definitiva, si rimandano sempre gli appuntamenti per fare chiarezza nel PD, ma alla fine i cambiamenti sembrano comunque non esserci. Va dato atto che (se è in buona fede) il segretario fa alcuni sforzi, ma i risultati mi sembrano alquanto scarsi. I sondaggi (pur se lasciano il tempo che trovano e vanno presi cum grano salis), dimostrano da tempo che il PD è in stato comatoso, e quindi in via di estinzione.

Ora, sempre i sondaggi  comunque fotografano una situazione di stallo, e pare evidente che l’elettorato fluttui solo con alcune sue frange da ‘sinistra’ a ‘destra’ e viceversa, con la esigua stabilità del nocciolo duro di entrambe e con l’emergere del fenomeno ‘sardinesco’ che, a mio giudizio, ha forse più il carattere di un affettato ‘perbenismo’ e buon galateo con una infarinatura di antifascismo, un’etichetta che sembra proprio il massimo della proposta ‘politica’ (?) per fronteggiare un Salvini debordante (ma adesso in calo costante). Ci vuol ben altro! Ormai la ‘sardinatura’ è scontata, va già di moda e deve contrastare i tentativi di accalappiamento più o meno evidenti da parte dei partiti di sinistra senza che questi ultimi abbiano capito che l’area delle sardine è alimentata per lo più proprio dalle frange deluse dai partiti (ma soprattutto di quello/i della cosiddetta sinistra).

E mentre si moltiplicano i partitelli plurigemellari nati da madre ignota e padre PD, solo ‘ste sardine dicono che non vogliono fare un partito. Ma allora dove vorranno arrivare? Andare contro Salvini mi pare un po’ poco. La cosa positiva è che si tratta originariamente di un movimento giovanile nato dal basso, ma ora l’aggregarsi di molti adulti e anziani incomincia a puzzare un po’ di dejà vu. Ricorda il movimento grillino con i suoi vaffa, mentre queste ‘sardine’ sono solo più…educate, ma non sembra che al di là di decaloghi generici (e comunque facilmente condivisibili da tutti) esprimano per ora concrete idee di futuro. E questo va detto senza sminuire certe mobilitazioni (anche se oggi con i mezzi di comunicazione a portata di tutti è più facile collegarsi e darsi appuntamento: lo fanno già da tempo i cosiddetti ‘rave party’ autogestiti!). In attesa che si chiarisca meglio la prospettiva delle sardine, (sperando che non restino pesci in barile), nella attuale situazione di stallo politico e di velleità folcloristiche, sono tanti che minacciano di ricorrere alle elezioni, ma contemporaneamente ciascuno ha paura di perderle, e comunque finora nessuno ha chiarito concretamente quali precisi obiettivi  (e risorse) indicare in fatto di politica interna nonché internazionale, su economia, Europa, ecc., perché, al di là degli slogans e della demagogia, tutti comunque, volenti o nolenti, non potranno prescindere dai legami (e talvolta anche dai ‘ricatti’) internazionali.

Chiunque nel futuro immediato o medio dovesse andare a governare (sia pur con elezioni ‘democratiche’), è certo che deve tener conto che la gente ormai guarda alle elezioni come le tifoserie verso una partita di calcio: non importa che la squadra giochi bene, l’importante è vincere! De Coubertin ovviamente si gira nella tomba!

In quanto a quell’area che ancora si richiama al ‘cattolicesimo democratico’, si può dire che il termine oggi è forse obsoleto, richiamando, per chi li ha conosciuti, nobili ma vecchi esempi, concetti e figure di un tempo conciliare che oggi i più non conoscono, perché nella prassi (anche ecclesiale) il cattolicesimo di tal fatta è considerato irrilevante, seppure si ritenga che ancora esista: Ruini e i suoi seguaci dicono di no. Ed ecco allora che, da una parte c’ è la necessità che la chiesa (vescovi e preti, perché il papa già lo fa da un pezzo – e per lo più inascoltato) – facciano quello che è il loro mestiere proprio: evangelizzare e sostenere il discernimento pastorale e ‘sociale’ (‘magistero sociale’, più che ‘dottrina sociale’ ché sembra qualcosa che sa più di ‘legge’ che di ‘spirito’), mentre ai laici deve spettare la lazzatiana (e conciliare) indole secolare, soprattutto operando nella politica. E qui oggi – personalmente non penso che sia la soluzione, ma comunque può essere un tentativo per una presenza/mediazione politica –  c’è la necessità di una nuova, per quanto inizialmente piccola, forzapolitico-partitica che, superando nel linguaggio gli obsoleti termini di ‘destra-sinistra’, si ponga – in maniera attuale – come una sorta di Partito popolare sturziano, ovviamente non confessionale che sappia captare le vere esigenze popolari che non sono certamente quelle di chi ‘strilla’ di più.

Credo che siano da considerarsi superate ormai (dopo un ventennio) le fasi della formazione prepolitica, e anche di quella ‘culturale’. Occorre invece che le Associazioni storiche (come l’ACI, le ACLI, L’Agesci, ecc.) riprendano il ruolo che a loro compete, compreso quello culturale e sociale e soprattutto abbiano il coraggio di essere profetiche e non solo ripetere slogan.

Infatti non è solo fondando nuovi partiti o riesumandone i vecchi che si può fare buona politica, ma questa è il risultato anzitutto di una formazione culturale di base che associazionismo, scuola ed altre agenzie educative, devono costantemente e tenacemente portare avanti, partendo da un riferimento comune: quello della nostra carta costituzionale.

 

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