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Gerald Maurice Edelman (parte 2/2)

Gerald Maurice Edelman (parte 2/2)
Settembre 30
23:00 2008

9999-sc-edelmanAppare ovvio, quindi, che “ogni cervello è necessariamente unico quanto a struttura anatomica e dinamica”; Edelman intende, perciò, porre in evidenza che esistono dei “meccanismi” sottesi comuni a tutti i cervelli umani, ma come dice lui stesso: “la soggettività è qualcosa d’irriducibile”, ciò anche e soprattutto in risposta a quanti hanno provato, interpretando male la sua teoria, a tacciarlo di “scientismo”, cioè di condurre un riduzionismo scientifico estremo, che riduce in toto la nostra attività mentale esclusivamente alle attività neuronali. E la coscienza? Arrivato a questo punto Edelamn non intende certo mollare ed intende studiarla anche a dispetto della soggettività: la sua è, in definitiva, una teoria scientifica della coscienza basata sull’attività cerebrale; come più volte ci tiene a ricordare: “il cervello e la mente sono emersi come prodotto della selezione naturale” ed i “qualia” affiorano in un numero enorme, come stati discriminativi, caratteristici della nostra esperienza cosciente; certo non si può pretendere di analizzarli e capirli ad uno ad uno, ma studiare e descrivere scientificamente i “correlati neurali” della coscienza, questo si può e si deve fare.
Dalle parole di Edelman: “…tutto ciò non potrà farci comprendere ‘come’ emergano i qualia: la complessità, l’irreversibilità e la contingenza storica della nostra esperienza fenomenica fanno escludere la possibilità generale di ricondurre a una descrizione scientifica certi prodotti della nostra vita mentale…Bisogna tener conto dell’irriducibilità di certe esperienze coscienti soggettive. La descrizione scientifica non potrà mai sostituirsi all’esperienza…Bisogna tener conto della ricca complessità e della storia individuale delle reti cerebrali degenerate e sebbene senza dubbio esistano regolarità di comportamento e di intenzionalità, queste sono variabili, ricche e dipendono dalla cultura e dal linguaggio”. Edelman si pone, perciò, due interrogativi veramente interessanti:
1. La coscienza e gli eventi mentali sono causali?
2. E, se non lo sono, quale è la relazione tra azione causale del cervello e coscienza?
Fondamentale è non fare l’errore di confondere la casualità fisica con l’implicazione logica: “la coscienza, essendo un ‘processo’ implicato dall’integrazione dell’attività neurale nel nucleo dinamico rientrante, non può essere essa stessa causale. A livello macroscopico il mondo fisico è causalmente chiuso: solo gli scambi al livello della materia o dell’energia possono essere causali. Quindi, è l’attività del nucleo talamocorticale che è causale, non l’esperienza fenomenica da questa implicata”. In altre parole: l’attività del nucleo talamocorticale non causa la coscienza; è l’azione neurale del nucleo che implica la coscienza.
Il problema di mettere in relazione l’azione neuronale con l’esperienza soggettiva fenomenica si risolve, quindi, con un’analisi causale: i “qualia” sono implicati dai neuroni del nucleo la cui attività produce stati integrativi complessi che possono cambiare nuovi stati e scene coscienti. C, ovvero i “qualia”, sono implicati da C’: è, perciò, sempre necessario tener conto dell’irriducibilità di certe esperienze coscienti soggettive; “dobbiamo, quindi, concludere che la nostra convinzione che la coscienza produca effetti fisici è una delle tante illusioni utili”, esattamente come l’ “illusione eraclitea” rispetto allo scorrere del tempo.
Edelman propone, perciò, come possibile chiave di lettura una “epistemologia basata sul cervello” o “brain based”, una sorta di “epistemologia tradizionale naturalizzata”, intende, cioè usare la sua TSGN come ponte fra le scienze del cervello e la “teoria della conoscenza umana” o “epistemologia” vera e propria: l’analisi della coscienza condotta dalla teoria globale della selezione dei gruppi neuronali propone, perciò, di espandere la concezione naturalizzata della conoscenza per render conto, quindi, anche dell’intenzionalità e della relazione tra l’esperienza emotiva con la conoscenza. La “epistemologia brain-based” di Edelman, pertanto, è un “mix” di più elementi:
1. l’eterogeneità delle fonti conoscitive;
2. la supremazia della selezione naturale;
3. senza dimenticare il giusto rilievo dato alle origini epigenetiche della struttura e della dinamica cerebrale.
Il cervello incarato nel corpo, dal quale non si può prescindere, ed il mondo, risultano, pertanto, nell’analisi del neuroscienziato legati a doppio filo: sì l’evoluzione culturale “è frutto” di quella biologica, ma è pur vero che essa, poi, condiziona quella biologica con la sua rapidità, caratteristica non insignificante, ne tanto meno minimale. In sostanza e per dirlo con altre parole: secondo la “Neural Edelmanism” prima sorge il pensiero (con la coscienza ed il rientro) e dopo il linguaggio, ma, una volta sorto, quest’ultimo, condiziona fortemente il pensiero stesso; allo stesso modo: si ha prima il pensiero e, poi, la matematica e la logica, ma queste, poi, diventano una sorta di “occhiali” tramite i quali interpretiamo il mondo; così esattamente accade con la cultura e con la scienza: la seconda, soprattutto, si pone l’obiettivo di cogliere le verità verificabili del mondo (e se c’è qualcosa di poco “gradito”, ambiziosamente, spera di trovare modo di cambiarla).
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Edelman, con la sua epistemologia riconosce che la scienza non è assolta e che esistono, per esempio, anche la verità storica e quella delle aule dei tribunali e le ritiene frutto dell’esistenza stessa dell’uomo e della sua esperienza fenomenica.
Anche l’arte, l’etica, l’estetica e la creatività, secondo questo quadro interpretativo, non sono riconducibili solo ed esclusivamente ad una serie di regole epigenetiche di attività cerebrale, ma “il cervello è l’organo necessario per comprende queste diverse forme di verità” e certo esse non sono “errori” come una estremizzazione della teoria computazionale potrebbe, persino, ipotizzare.
Egli, perciò, non reputa insanabile la storica contrapposizione tra scienze naturali e scienze umanistiche, afferma anzi che il “dialogo” tra le due compagini non sia auspicabile, ma necessario e realmente possibile: “in base al Darwinismo Neurale, che riconosce le dimensioni storiche e creative del pensiero umano, non è affatto necessaria una separazione tra la scienza e le discipline umanistiche”; “un punto interessante: non sono le leggi stesse a dare origine alla scienza: le persone che conducono esperimenti e formulano ipotesi danno origine alla scienza. La scienza stessa è emersa nell’ambito di un particolare contesto storico” e non dimentica di aggiungere: “la scienza non riproduce il mondo, la descrizione scientifica non è l’esperienza”. “L’evoluzione di menti coscienti è avvenuta per selezione naturale nell’ambito della struttura data dalle leggi fisiche. La sequenza è chiara: in seguito all’evoluzione di ‘Homo Sapiens’, l’emergere del linguaggio e della coscienza di ordine superiore ha consentito lo sviluppo della scienza empirica al servizio della verità verificabile”, come se, insomma, con la scienza non facessimo altro che tentare di ripercorrere, in modo teorico, all’indietro, la strada che abbiamo percorso fin ora, che c’ha portato ad essere ciò che siamo, ma che non ricordiamo più: sembra quasi la versione aggiornata del “conosci te stesso” di Socrate, in un’ottica non individuale, ma specie-specifica.
La nostra “coscienza di ordine superiore” che ci consente di “essere coscienti, sapere d’esserlo e riferire del mondo” ci permette, quindi, di differenziarci da tutto il resto degli esseri viventi che al massimo ha una “coscienza primaria” e vive solo nel “presente ricordato”.
Partendo da un elemento microscopico quale il neurone e le scariche che si hanno nelle sinapsi, Edelman man mano ricostruisce il “puzzle” delle nostre capacità cognitive: sapere da dove viene la nostra mente, la nostra scienza, ma anche l’arte e la letteratura non significa svilire nulla, ma come lui stesso ipotizza potrebbe essere la strada per capire anche cos’è la felicità che l’uomo tanto rincorre.
“Vorrei esortare il lettore a considerare questo lavoro come un primo tentativo di esplorazione mirato a stimolare nuove riflessioni sul modo in cui arriviamo a conoscere il mondo e noi stessi. Ci sono ancora lacune, e tanto le neuroscienze quanto la psicologia dovranno fare molti passi avanti prima che si possa ottenere un quadro esauriente del pensiero e della coscienza. Il lettore consideri, perciò, quanto segue come un paio di pennellate iniziali”: chi può sentirsi di biasimarlo? Sappiamo bene che nulla è certo tranne “le tasse e la morte” come dicono gli americani e che la scienza e le sue teorie vengono fatte proprio per essere “falsificate” come direbbe Popper, che sono supporti da usare, finché non se ne trovano di migliori, ma, in conclusione, si può tranquillamente dire che abbia cercato tenacemente con la sua “Teoria della Selezione dei Gruppi Neuronali” di rinsaldare i troppi binomi (alcuni esempi potrebbero essere: natura-cultura, natura-seconda natura) che hanno “vissuto, stra-vissuto ed ora vivacchiano” nelle varie formulazioni teoriche esplicative che tentano di rispondere ai sempre vividi tre interrogativi dell’essere umano: Chi sono? Dove vado? Come mi debbo comportare?
Edelman propose la sua teoria per la prima volta nel 1977, solo cinque anni dopo che aveva ricevuto il premio Nobel per la medicina, insieme a Rodney Porter, per le sue scoperte relative alla struttura chimica degli anticorpi o immunoglobuline.
Oltre ad aver ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui nel 1954 Spencer Morris Award da parte della University of Pennsylvania, nel 1965 il Eli Lilly Award in chimica biologica da parte della the American Chemical Society, e nel 1969 Annual Alumni Award dell’Ursinus College, oggi, Edelman è presidente del Dipartimento di Neurobiologia presso lo Scripps Research Institute, che ha sede a La Jolla in California, e’ membro di numerose associazioni, fa parte del Neurosciences Research Program presso il Massachusetts Institute of Technology ed, inoltre, è tra i ed e’ membro del consiglio consultivo del Basel Institute for Immunology.
Inter nos: se Charles Darwin ed Gerald Edelman s’incontrassero, grazie alla macchina del tempo, secondo voi, cosa si direbbero?

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