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Il carcere in Italia… é un luogo di tortura… Ma c’è una soluzione!

Giugno 15
09:34 2011

Il 24-25-26 giugno nelle carceri italiane i detenuti daranno vita a una mobilitazione contro la tortura del carcere e nel carcere. All’esterno degli istituti di pena si mobiliteranno associazioni, partiti, sindacati, movimenti e organizzazioni della società civile.

Scrive l’Ass. Liberarsi dalla Necessità del Carcere: “Perchè la situazione delle carceri italiane si configura ormai da tempo, in quasi tutte le sue realtà, come una situazione di tortura…”

Ed è verissimo! Questo soprattutto per motivi di sovraffollamento, vissuta dai quasi settantamila detenuti presenti nelle carceri italiane e che si concretizza nella convivenza forzata di quattro persone nelle celle “singole” e di nove-dieci nei “celloni” di alcuni istituti, nelle condizioni igieniche intollerabili, nei suicidi, tentati suicidi e negli atti di autolesionismo, nell’ulteriore ridursi delle possibilità di accedere al lavoro, nella negazione del diritto alla salute e al reinserimento sociale.

C’è poi la tortura dell’ergastolo, che contraddice il principio costituzione della finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3), e in particolare la tortura dell’ergastolo cosiddetto “ostativo”, in base al quale oltre 1.000 detenuti condannati all’ergastolo sono formalmente esclusi anche da quelle limitate possibilità giuridiche che permettono l’uscita dal carcere dopo un tempo determinato.

Nonché la tortura del regime di “41 bis”, cioe’ la violenza dell’isolamento continuo, con la possibilita’ di interagire solo con gli agenti di polizia penitenziaria e per due ore al giorno con tre altri detenuti, i colloqui con i familiari al di la’ di un vetro antiproiettile e attraverso un citofono. Un meccanismo che non produce “sicurezza” ne’ all’interno ne’ all’esterno delle carceri, mentre produce danni irreparabili di natura fisica e psichica nei detenuti con l’obiettivo (non dichiarato e illegale) di farne dei collaboratori di giustizia.

Aggiungendovi inoltre la tortura dell’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg), ossia dell’ “ergastolo bianco”, di una misura di sicurezza legata all’idea lombrosiana della “pericolosita’ sociale” e priva di un fine pena definito. Gli internati sono così privati a tempo potenzialmente indeterminato della propria libertà.

Alcuni anni addietro, il 24 dicembre 2008, il sottoscritto inviò una proposta di legge risolutiva del problema carcerario alla Presidenza del Consiglio, al Ministro della Giustizia ed alle Commissioni Parlamentari preposte, in cui chiedeva:

Testo.
Il sottoscritto propone un modello di carcere basato sulla auto-conduzione da parte dei detenuti, affiancati da volontari laici non stipendiati e con gli stessi poteri dei carcerati e conviventi stabilmente negli Istituti rieducativi stessi.

Il modello suggerito è quello di un “carcere-comunità” in cui i membri volontariamente accettano di seguire questa metodologia e possono gestire la struttura e provvedere al suo mantenimento sia economicamente che regolamentariamente, scegliendo lo svolgimento di un lavoro autonomo od organizzato collegialmente all’interno della struttura stessa. Un sistema carcerario cooperativo che prevede la produzione in proprio di beni, cibo, opere d’arte, oggetti e suppellettili scambiabili o commercializzabili liberamente, sia all’interno che all’esterno, come pure la possibilità di eseguire prestazioni d’opera per conto terzi.

I membri lavoratori di questo carcere modello rinunciano ad ogni rimessa in denaro (da parenti od amici) prevista dall’attuale regolamento carcerario e si impegnano quindi a vivere unicamente del proprio lavoro, gestendo inoltre anche la mensa ed i vari altri servizi interni.

Gli addetti al controllo (le attuali guardie carcerarie) saranno ubicati all’esterno dell’Istituto ed avranno la funzione di impedire l’uscita (o l’entrata) non consentita dal perimetro carcerario e di svolgere quegli interventi che si rendessero necessari in casi di emergenza.

Si consiglia che un siffatto carcere modello possa sorgere in zone rurali ove sia possibile occuparsi di agricoltura, pastorizia o simili attività. Si consiglia inoltre che tale esperimento si effettui inizialmente per quei condannati non recidivi, naturalmente sensibili a questo metodo edificante, lasciando però la possibilità anche nei penitenziari (riservati ai detenuti recidivi) di giungere all’autogestione, ove le condizioni generali lo consentano.

Il sottoscritto ritiene che questa proposta innovativa, oltre che portare vantaggi alla società ed alle casse dello Stato e garantire dignità umana ai detenuti, sia portatrice di Civiltà, Emendamento e Compassione.”

Paolo D’Arpini
Presidente del Circolo vegetariano VV.TT.

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