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Il Crocifisso scomposto e ferito

Gennaio 18
23:00 2009

In Spagna un tribunale ha deliberato sull’esposizione del crocifisso in una scuola pubblica, una sentenza che pone il divieto a affiggere simboli religiosi in un ambiente istituzionale. Sensibilità cattolica e ideali libertari confliggono, e allontanano il diritto di una storia che non può esser messa da parte con noncuranza, né eretta a baluardo di sovranità popolare. Stato libero, fede e giustizia, equità e compassione, come se quel Cristo in croce rappresentasse un confine, un percorso poco frequentato dalla ragione, al punto da trasformare uno stato laico in una società laicista, e una cristianità millenaria in una commedia delle maschere dove ogni pellegrino è scambiato per un intruso, se non un nemico da tenere a bada. Sul crocifisso si gioca una partita importante, ma è una partita truccata, perché non edifica giustizia, né idealità alcuna, tanto meno costruisce comunità condivisa, cittadinanza e regola che tutela il pensiero di ciascuno. Così in Spagna, ma potrebbe accadere pure in Italia, in qualunque altro paese ove si alimenta distacco e dimenticanza alla propria tradizione e cultura, c’è il rischio di cadute di memoria in avanti, perché a ritroso ne abbiamo perduto il senso. Non so se questa sentenza iberica farà davvero giurisprudenza, diverrà precedente importante, non mi pare che eliminare i crocifissi da enti e sedi istituzionali, sottenda rispetto per la Costituzione o per altra carta magna che dir si voglia. Sono i giorni di una Croce che non accetta esilio, che non tace, che riconosce le nostre assenze, le invoca e rinnova in mille fremiti nuovi che non franano sui detriti del passato.
Cancellare il simbolo di una fede allo scopo di educare le nuove generazioni a un’etica più sociale e pubblica basata sui valori costituzionali e la dichiarazione dei diritti umani, sono introduzioni alte su parole pesanti, sono speranze e certezze che ogni uomo porta con sé. Quel Volto sofferente, quella carne squarciata, non possiede lineamenti tramandati, ma occhi di pena, come quelli di nostra madre, di nostra figlia, di nostro fratello, del nostro amico. Ci insegnano a non tradire noi stessi, per non tradire l’altro. a cancellare attimi che trapassano le nostre colpe, la nostra stessa ricerca di salvezza attraverso la condanna senza scampo degli altri. Radici giudaico-cristiane che non possono rinnegare la propria cultura, né possono riuscirci eventuali politiche “carcerocentriche” nei riguardi di una passione e di una fede che non viene meno, tant’è che le cattedrali fuori dai deserti cerebrali non sono state prese a cannonate né sporcate dalle parole lanciate malamente. Quelle braccia allargate a mezz’aria, poste sopra la nostra testa confusa ci offrono uno sguardo coraggioso sulle sofferenze degli uomini, rappresentano l’amore che dedica la vita sino a donarla per tentare di abbandonare ogni altra morte vana. Un pezzo di legno a forma di croce per salvare il mondo, non per detenere la coscienza acerba o meno formata, una croce per muovere la memoria sulle disonestà e i deliri di onnipotenza. Togliere di mezzo il crocifisso? Come pensarlo, quando in noi cresce il desiderio di accorciare le distanze e avvicinarci a quei piedi scomposti e feriti, aggrappandoci a quelle ali dispiegate, nell’irrefrenabile bisogno di schiodare quel Corpo dalle travi incrociate, affinché possiamo liberare ciò che ci portiamo dentro: la libertà di amarlo davvero, vivere a tempo pieno, uscendo da noi stessi non più prigionieri in spazi chiusi costruiti a nostra misura.

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