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Io ricordi tutto…con affetto. La Ida

Io ricordi tutto…con affetto. La Ida
Luglio 01
10:51 2013


io ricordo tutto con affetto irene quartana caterina rosolino“Ognuno di noi ha la sua scala, la mia è questa.

Là in cima c’è la mia casa
Ma io abito qui
Lassù ci sono tutti i miei sogni
Lassù posso essere ciò che voglio, come voglio, quando voglio…

Anche se per voi non ha senso per me ce l’ha eccome e mi manca stare lassù…

Ci sono salita tante volte…
Ora ci vado!”

(Irene Quartana)

“Io ricordi tuttto…con affetto la Ida” di e con Irene Quartana, costumi Umay Kuo, scenografia ed immagine Luca Quartana, musiche Tommaso Quartana, Elia Bersani e Riccardo Dell’Orfano.

Così esordisce la Ida iniziando o continuando a salire e scendere tra i due luoghi della sua vita.
In cima alla scala c’è la sua solitudine, lì può esprimersi e mostrare la sua interiorità artistica in piena libertà grazie alla quarta parete, ai piedi della scala ci sono gli altri, lì può raccontarsi attraverso la relazione col pubblico.
Un dialogo costante tra sé e sé, tra sé e altre sé, tra sé e gli altri.
Salire e scendere questi i suoi compiti che, con le gioie, i dolori e le difficoltà che questo comporta, diventano metafora di una vita.
Perché la vita è una scala, un percorso su e giù alla ricerca di una risposta…
Chi sono io?
Ma soprattutto dove sono io?
Anzi dov’è che sono io?
Qual è la mia vera casa?
Quante case ho?
Dove abita la mia anima in viaggio?
Un gioco teatrale, saltellando tra l’attrice che si svela e la donna che si trasforma.
Ironica, auto ironica fino all’esasperazione.
Perché il gioco è una cosa serissima che impariamo quando siamo bambini e iniziamo a dimenticare quando cresciamo, ed è solo nel ricordo che tutto questo trova forma e raggiunge quell’unità di pensiero e di azione a cui in fin dei conti tutti aspiriamo.

“Attrice, madre, amante, ragazza, bambina… lassù posso essere ciò che voglio… io.”
Il 7 e 8 giugno presso l’associazione culturale Har Baje a Milano va in scena lo spettacolo “Io ricordo tutto…con affetto la Ida” di e con Irene Quartana.
Lo spettacolo esordisce con l’uscita di un aviatore che ha scalato una montagna. L’aviatore esce fuori da una scala di legno con la stessa veemenza con cui la lava cocente esce da un vulcano, perché la creazione di un artista è questo: un fuoco ardente che non vede l’ora di uscire per poter spaventare di bellezza e stupire di emozioni, tanto da incollare lo spettatore alla sedia.
Il pilota esce da quello stretto cunicolo con scintille di parole, zampilli di saggezza… la lingua incandescente della sua creazione fa esplodere il suo vulcano e noi stiamo lì zitti ed immobili ad ascoltarlo mentre lo vediamo lassù in cima ad una scala di legno. Subito il contrasto tra la scala di legno ed un aviatore ci fa pensare di essere su di un altro pianeta o dentro le pagine di un libro in un mondo fantastico dove tutto è possibile… ma ecco che l’aviatore si spoglia del suo costume indossato per raggiungere la vetta e come Antoine de Sant-Exupéry attraverso “Le pétite prince” ci fa scoprire il suo pianeta scrivendo una favola, l’aviatore sul palcoscenico si veste ora di bianco e come pagina bianca inizia a scrivere per noi la sua storia (o meglio la favola della sua storia, spogliandosi e denudandosi come dirà lui stesso o lei stessa davanti agli ascoltatori). Da aviatore a pagina bianca: l’autore di se stesso e della sua vita, come noi tutti siamo autori delle nostre vite, si specchia scrivendo e raccontandosi. Le parole divengono allora quel cibo in comune che tutti stiamo assaporando, e la storia di lui o di lei lì sul palco, diventa la storia di tutti e tutte, uguale ma allo stesso tempo per ognuno diversa.
Essendo comunque le parole una convenzione e veicolo attraverso cui si nominano le cose, le situazioni e si attribuiscono significati comuni, possiamo anche chiederci: senza parole che significato avrebbero i concetti che usiamo nella vita? Se nel teatro ci potessimo spogliare anche di questa convenzione, insieme alle altre imposte dalla società, cosa accadrebbe? Ed ecco che la risposta a questa domanda si evince dallo spettacolo stesso quando Ida nel suo monologo interiore “esteriorizzato” parla con se stessa ed a se stessa in cima alla scala come se quel suo nido che si è costruita sia comprensibile solo a lei. Le parole allora, comprendiamo bene, assumono in questo caso un altro significato: quello di rifugio ed isolamento felice dalla realtà; diventano il mondo di Ida, quello da dove tutti vorrebbero rapirla ricordandole le molte faccende quotidiane da sbrigare.
Infatti, come ci dice lei stessa parlando dei suoi amori, quello è lo spazio dove nessuno può raggiungerla, essendo le sue domande e le sue risposte, i suoi ricordi, lo scrigno segreto della sua vita, nient’altro che un nido dove le sue idee, emozioni, sensazioni, si socchiudono e chiedono di essere nutrite… dove le sue creature-creazioni vivono un po’ per conto loro, indipendenti dalla realtà degli altri. Eppure quel suo spazio intimo, lì in cima alla scala, non è un impedimento alla concretezza della realtà ma uno spazio vissuto come un’isola felice che si può godere per pochi attimi, per poco tempo (a metafora probabilmente anche del poco tempo che le persone nella società occidentale dedicano alla riflessione interiore) e la discesa a forza nella realtà serve invece (al contrario di come si potrebbe pensare) a nutrire le sue creazioni.
Non a caso le ragioni per cui Ida “deve” scendere le scale sono i suoi figli; Ida nutre il suo passato-presente, la sua memoria, quel che finora ha vissuto, grazie anche a ciò che la realizza ora. La sua discesa è a fatica (per l’impegno forse che l’aspetta laggiù ma anche per il fatto che lassù si trova nell’isola felice) ma i figli non sono l’unico motivo delle sue faticose discese e o cadute, perché c’è anche una voce che la chiama al telefono e che la cerca piangendo e chiedendo di lei. La Ida fa scudo alle sue parole: “Io sono io, te sei te” le dice la Ida, chiedendole di non tormentarla. Non capiamo chi sia a chiamare al telefono l’attrice Ida (inizialmente possiamo pensare che la chiamata venga dal pubblico) l’effetto di crisi d’identità riesce così pienamente. L’invisibile, uomo o donna che sia, inquieta ed allo stesso tempo conduce la conversazione verso l’inesplorato, l’inconscio, l’insostenibile leggerezza dell’essere, il desiderio di conoscersi, l’incontro… eppure la Ida non scende mai sul palco… rimane lì sulla scala a donarci quella sensazione di sospensione rispetto al mondo e col pubblico, con i giudizi e le interpretazioni degli altri. Infatti nessuno può sapere da cosa è rappresentata la sua personale scalata: l’esser diventata madre, attrice, sognatrice? Lassù sulla scala dice: “Posso essere tutto quel che voglio, e io ci credo” restate voi con i vostri dubbi se volete. La certezza e sicurezza si scontrano solo con un altro espediente che la vuol trascinare giù dalla scala: i provini per la parte di attrice.
Anche questo personaggio che le parla dal fondo della sala (che sta quindi oltre gli spettatori) è insidioso per la Ida, come la voce del telefono che l’ha chiamata prima, ma si tratta di un altro tipo di insidia, un’insidia che si può tradurre nello “spettro della competizione” dell’epoca moderna, nell’ambizione per un posto di lavoro che oltre a far perdere la ragione di quel che è giusto fare può portare allo scontro con “il potere” che dall’altra parte del palco giudica, sentenzia, sbeffeggia. Infatti, la voce fuori campo che le chiederà di iniziare il suo provino non smette di ridere e deridere Ida mentre cerca di interpretare Cechov, la quale riuscirà solo a pronunciare l’inizio della parte da recitare, la parola “Dove…”. Così la persona che dovrebbe seriamente prendere in considerazione il lavoro di qualcuno che si sottopone ad un esame, non solo diventa odiosa agli occhi del pubblico non permettendo neanche all’attrice di parlare ma con quella risata non fa che deridere se stessa ed il suo ruolo di “colui o colei che decide”, la sua autorità si priva di senso nel momento in cui si fa gioco degli altri che stanno “dall’altra parte” alla ricerca di un posto in questa società. Questo episodio non può che non farci pensare al sistema corrotto di una società, come quella italiana ad esempio, dove colui che emerge in posti di lavoro di maggiore o minore importanza è stato già raccomandato o raccomandata mentre molto spesso chi scala la sua vetta, chi col sudore della fronte cerca di conquistarsi un posto, neanche riesce a far valere se stesso. Una grande critica al sistema italiano o di quei paesi in cui la corruzione nomina politici ineleggibili o non integra lavoratori e lavoratrici che hanno titoli e possibilità di farsi strada.
La conquista del trono, lassù sulla scala di legno dove Ida è libera essendo se stessa come vorrebbe essere, quindi, assume qui un significato ancora più importante di rivalsa nei confronti di una realtà che forse non le permette di essere come vorrebbe ma di fronte alla quale Ida non suicida se stessa, anzi, si eleva per aderire a quel che di più corrisponde alla sua anima ed al suo essere; realizzandosi là dove nessuno glielo impedisce, in piena libertà. Quel trono di legno assume così anche il significato di un ritorno alle origini, al suo essere bambina, per non distruggere la sua essenza conformandosi al mondo lì fuori. E quel “Io ricordo tutto” che da titolo allo spettacolo suona come il battito che si ascolta durante un’ecografia nel ventre materno… come il suo battito, quello dell’attrice, amante, madre, bambina nel ventre della sua creazione per ricordare sempre a se stessa , mettendolo una volta per tutte nero su bianco, chi è e chi non è.
IRENE QUARTANA
Dopo aver frequentato le scuole milanesi Quelli di Grock e Centro Teatro Attivo a Milano nel Gennaio 2005 partecipa al Women Project condotto dal regista e pedagogo russo Jurij Alschitz, nel 2006 al Workshop internazionale organizzato da EATC condotto dallo stesso a Cipro che sfociò a giugno dello stesso anno nello spettacolo Le notti bianche di F. Dostoevskij, progetto dell’EATC con la regia dello stesso Alschitz. Nel Luglio 2009 ha conseguito il diploma presso la School after Theatre, scuola triennale internazionale per registi, attori e insegnanti professionisti diretta da Jurij Alschitz (GITIS, Mosca). Nel frattempo dal 2006 ha iniziato una collaborazione con il Teatro Officina di Milano che l’ha vista coinvolta in varie produzioni Dal 2010 collabora con l’associazione culturale Harbaje occupandosi di teatro di prosa e teatro per l’infanzia

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