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L’ultimo tratto prima della storia (Globalizzazione di un ricordo)

Febbraio 10
17:20 2011

Luigino sbadigliò per l’ennesima volta, il secondo artificiale, tutti gli altri sbadigli erano stati veri; alle undici di sera, lui che era ancora un bambino, la stanchezza cominciava a farsi sentire. Quando aveva chiesto al nonno di raccontargli qualcosa per farlo addormentare, pensò di ascoltare qualche fiaba, qualche storia di maghi e orchi, non certo le vicende del soldato “Spadoni” in forza al reggimento Garibaldi, terzo battaglione impegnato al fronte. Per questo Luigino aveva cominciato a sbadigliare per finta anche se il sonno ce l’aveva davvero. Ma il vecchio nonno non capiva; raccontando orgoglioso le sue gesta in tempo di guerra non conciliava certo il sonno del nipotino che semmai aveva bisogno di ascoltare qualcosa sottovoce e con tono rilassato, mica l’entusiastica e vivacissima descrizione del combattimento a Cassino sottolineato tra l’altro dal continuo rifacimento del verso della mitraglietta che allora il nonno aveva in dotazione: “RATTATTAATTATTA!!!!”; alla terza mitragliata la dentiera del nonno fece BUM, andando a colpire un bicchiere pieno sul comodino che si rovesciò per terra in mille pezzi, lasciando sul campo anche una sveglia ormai inerte in una pozza d’acqua.
“Che poi a dirla tutta”, pensò Luigino, “queste cose le studierò a scuola fra qualche anno, semmai mi interesserà sapere cosa diavolo è successo ottanta anni fa qui in Italia!”. Il nonno questo non lo sapeva, ma lo aveva intuito da un pezzo; dalla fine della guerra nel 1945 erano trascorsi ormai la bellezza di ottantadue anni ed erano pochi, pochissimi i sopravviventi, quelli che potevano dare una testimonianza diretta di ciò che era stata la guerra. Di lì a pochi anni, mesi..forse si trattava solo di ore, nessuno più avrebbe potuto dire davvero cosa era successo, raccontare un particolare, una battaglia, un sentimento. Di lì a pochissimo lo avrebbe raccontato solo un libro, un LaserDVD o SuperInternet ma nessun essere umano; la guerra sarebbe diventata inesorabilmente Storia e mai più testimonianza, Storia così come lo era Garibaldi, la Rivoluzione Francese, la scoperta dell’America. Il tempo continuava ad andare avanti, implacabile; “chi sarebbe stato l’ultimo uomo a parlarne perchè testimone?” pensò il nonno.

Il vecchio saggio era stanco; erano anni che non faceva altro che scrivere le sue memorie su quelle pergamene ingiallite un po’ dal tempo e un po’ dalle sue lacrime. C’era tutto lì sopra. Tutto quello che gli era sembrato degno di raccontare in centosei anni di vita: l’educazione rigidissima ai tempi dell’Imperatore Hirohito, la pratica del Bushido, l’amore per la figlia di un “Intoccabile”, l’arruolamento, Pearl Harbour. E poi ancora lo sviluppo economico, le olimpiadi di Tokio, i figli ingegneri informatici, la solitudine e l’estrema azione per non morire: quella cioè di scrivere la sua biografia su quei fogli di pergamena, cosicché qualcun altro un giorno avrebbe potuto conoscere direttamente grazie al suo sforzo, un secolo di vita giapponese. “Ma chi mai leggerà queste cose?”. Prima la scrisse e poi ci pensò sopra; in seicento pagine di pergamena era la prima volta che il vecchio saggio aveva abbandonato la fredda e distaccata descrizione di fatti e di ricordi per dare una sua opinione personale, per esprimere un sentimento, per lanciare il suo urlo: “ma chi mai leggerà queste cose?”

Il veterano Steve ne aveva viste di cose nella sua vita: belle, brutte, che lasciano indifferenti..come capita a tutti del resto; ma ora, nel bianco asettico della stanza della clinica aveva sentito dire da qualcuno che, “..no, quello che dice il vecchio Steve non è; dice cose che non sa, vede quello che non c’è, crede ciò che non è stato”. E sempre in quella stanza aveva sentito pronunciare dal medico il nome di un suo amico, l’unico che continuava a fargli compagnia, l’unico che non l’aveva abbandonato ora che era vecchio e malato. “Forse è ricoverato anche lui qui”, pensava Steve, “devo andare a trovarlo, voglio sapere come sta”. Insieme avrebbero ricordato tutto: la Grande Depressione degli anni trenta, Al Capone, il corpo dei marines, lo sbarco in Normandia, il Vietnam come consigliere di guerra. Con lui sì che sarebbe stato piacevole parlare, non con quei quattro rammolliti dei suoi figli, già vecchi più di lui che non sapevano distinguere le cose, che facevano confusione coi nomi, che credevano che il matto fosse lui. Con quel suo amico avrebbe parlato perché si conoscevano bene, avevano tante cose in comune, negli ultimi anni si erano frequentati sempre di più e adesso erano una persona sola; l’ora delle visite stava per finire, Steve aspettò che i suoi figli o i suoi nipoti, o comunque quelle strane persone che erano andate a trovarlo si allontanassero per ascoltarli poi parlare col medico che avrebbe pronunciato ancora una volta il nome di quel suo amico, ricoverato anche lui in quel sudiciume di clinica: “Alzheimer! Ora che è qui, non abbandonerà mai vostro padre; lo seguirà per sempre, fino alla tomba”. Alzheimer, questo era il nome del suo inseparabile amico. Steve si rigirò nel letto, adesso era contento.

Il nonno poi si interruppe; fissò Luigino, quasi come se volesse rimproverarlo di qualcosa. Il piccolo si mise paura, non aveva mai visto il nonno impietrirsi in quel modo; pensò di chiamare la mamma, il babbo, ma poi non lo fece, per rispetto del nonno cui voleva molto bene. La sveglia caduta per terra non batteva più i secondi, era rotta; il tempo si era fermato. A quel punto il nonno la raccolse, ebbe un fremito, pensò che avrebbe dovuto sfruttare al massimo l’occasione, ogni secondo sarebbe stato fondamentale per ricordare e tramandare ed essere così, forse, l’ultimo testimone ad aver raccontato della guerra. Così, dopo quella breve o infinita pausa ricominciò a dire con sempre maggiore insistenza, come preso dalle convulsioni: “..la battaglia fu aspra, vedevo persone soccombere ai bombardamenti e pensare – io sono il prossimo – , e poi invece sperare, combattere, sperare, pregare, piangere e sperare..”. Il nonno ormai era come in trance, continuava a raccontare battaglie, ferite, morti ammazzati e Luigino piangeva, piangeva terrorizzato.

Il vecchio saggio si era stancato di scrivere. Si rese conto di stare combattendo una battaglia inutile; la sua azione non avrebbe portato niente di più a nessuno. Le nuove generazioni avrebbero conosciuto il ventesimo secolo del Giappone attraverso i libri o su piattaforme digitali e nel sistema binario usato dai computer una fucilata sarebbe stato 0, una morte sarebbe stato 1, un suo lamento in accampamento sarebbe stato 1010110, la guerra di ottantadue anni prima sarebbe stata 0101, Hiroshima forse sarebbe stata 0000000. Eppure il vecchio saggio non voleva arrendersi, riprese in mano la penna e con estrema pazienza ricominciò a scrivere, da qualche altra parte qualcun altro avrebbe potuto scrivere o raccontare l’ultimo tratto prima della storia. Il vecchio saggio ricominciò a scrivere, non poteva permettere che quell’ultimo tratto fosse opera di altri, magari di un non-illuminato yankee.

Steve adesso era convinto che anche il suo compagno d’armi e d’avventura era ancora vivo; quella vecchia volpe di Alzheimer era in quello stesso ospedale, a ricordare quando lui gli aveva rubato la borraccia o quando lo aveva salvato per un soffio dal fuoco di un fottuto nazista. Doveva fare in tempo Steve a ricordare; doveva fare in tempo a ricongiungersi col suo amico Alzheimer, dovevano entrambi lottare contro il tempo altrimenti tutto poteva cambiare faccia, la storia intera poteva riproporsi di nuovo. Lui doveva dire al suo amico che qualcuno stava complottando, che aveva sentito i medici e quegli strani alieni che ogni tanto andavano a studiarlo nella sua camera e che forse erano nuovi nazisti pronti a tutto pur di creare una razza superiore, e per questo volevano ucciderlo prima che rivelasse ad altri tutto quello che sapeva sulla guerra che, ne era sicuro, non era ancora finita. Non era ancora diventata definitivamente Storia, si poteva ancora cambiare.

Solo loro tre erano rimasti quel dodici maggio del 2027; il nonno, il vecchio saggio e il veterano dei marines. Gli unici tre sopravviventi alla seconda guerra mondiale. Tutti gli altri erano già morti; tutti quelli che avevano vissuto pure un solo istante di quella guerra non c’erano più, erano passati definitivamente alla Storia come Giulio Cesare, i Dinosauri, il Big Bang.
Non sappiamo chi di loro tre abbia avuto il platonico onore di raccontare per ultimo “l’ultimo tratto prima della Storia”, nessuno può saperlo; il nonno morì quella notte stessa, fulminato da un infarto per essersi appassionato troppo nel racconto al nipotino. Il vecchio saggio fu trovato il pomeriggio tardo con la penna ancora in mano e la testa appoggiata all’indietro. Steve ritrovò il suo amico Alzheimer per l’ultima volta la mattina presto, quei nazisti dei suoi figli gli chiusero le palpebre e tirarono un sospiro di sollievo. Vinse il nonno allora? Fu lui l’ultima persona a raccontare come testimone diretto qualcosa sulla guerra? Non si sa, Italia, Giappone e Stati Uniti hanno fusi orari differenti, forse ha vinto lui o forse Steve o forse il saggio.
Non importa.
Il tempo non è oggettivo, va avanti, va indietro, ritorna, cambia forma e sostanza. Bisogna sempre diffidare di chi cerca di “fermare” il Tempo, anche solo con un azione, un pensiero, uno scritto, un aggettivo.
E poi quando si parla di guerra non può esserci, mai, alcun vincitore.

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