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La legge della bellezza di Carmelo Ottaviano – 7

Dicembre 17
00:00 2011

Fatta questa disamina della retta, Ottaviano sottolinea come essa sia in ogni caso il risultato di una costrizione, mentre le curve sono le traiettorie seguite spontaneamente dalla natura. Una retta è infatti, secondo il filosofo siciliano, la deviazione di una curva prodotta dalla «composizione di almeno due forze» ed è «una approssimazione o costruzione o astrazione ideale della fantasia, irreale in sede logica e in rerum natura (infatti è indefinibile sia intuitivamente che logicamente in termini di autosufficienza)», mentre «la linea curva è enunciazione diretta o spontanea della natura, è il moto che – non potendo scegliere una qualsiasi direzione, perché lo spazio è relativo, cioè non esiste e quindi non esistono e non hanno alcun significato pensabile o immaginabile, l’alto e il basso, la destra e la sinistra – ritorna su se stesso, cioè al punto di partenza».1

Il moto “naturale”, cioè in assenza di forze esterne, di un corpo non è dunque rettilineo, come afferma il principio d’inerzia formulato da Newton, ma è curvilineo. Da questa premessa seguono le sue considerazioni riguardo il principio d’inerzia e le orbite planetarie. Il principio d’inerzia rettilineo è da abbandonare in quanto presuppone, per la sua “rettilinearità”, una direzione privilegiata che ha senso soltanto in uno spazio assoluto, che oggi sappiamo inesistente, essendo esso relativo al pari del moto e del tempo. Ribadisce Ottaviano nel suo appunto inedito:

La linea retta non esiste: i movimenti liberi seguono la linea curva, e tendono alla retta quando si esercita su di essa una pressione, che faccia deviare i corpi stessi dalla curva. Laonde io definisco la linea retta: il limite di una pressione esercitata sulla linea curva.2

Ma se il movimento libero di un corpo nello spazio è curvilineo, fra le infinite possibili forme quale sarà la traiettoria seguita? «Esso [il corpo] non può non seguire la spirale logaritmica, che è ad angolazione costante, essendo necessario un intervento esterno perché l’angolazione possa cambiare».3 Dunque non la retta ma la spirale logaritmica sarebbe la traiettoria del principio d’inerzia, sul quale è fondata tutta la meccanica. Seguono, nell’appunto inedito di Ottaviano, molte altre considerazioni sulle condizioni necessarie per la formazione del nostro sistema planetario a partire dall’esplosione del Sole:

Supponiamo ora che il Sole esploda. Il pianeta P, espulso da esso, si muove intorno ad esso seguendo la spirale logaritmica, come appare dalla figura. Il punto P’ indica il perielio. Allontanandosi dal Sole, il pianeta giunge al punto di maggiore lontananza, l’afelio, indicato con A. La distanza di tale punto A dal Sole S è ovviamente in dipendenza dalla potenza dell’esplosione verificatasi nel Sole. A questo punto il pianeta inizia il movimento di ritorno seguendo una seconda spirale logaritmica (abbiamo premesso che non esiste altra forma di movimento), coordinata alla prima. Intanto il Sole S, che è in movimento verso la costellazione di Ercole, si è spostato in S’, e il pianeta gira intorno al nuovo perielio P” per poi allontanarsi dal perielio sino al nuovo afelio A’. E così via. Questa è l’unica spiegazione possibile del movimento di rivoluzione dei pianeti in sede di meccanica celeste. Ovviamente il movimento di rotazione del pianeta sul suo asse deve essere nella stessa direzione e senso del movimento di rivoluzione, come l’esperienza conferma per tutti i pianeti di qualsiasi sistema planetario. L’ipotesi di Newton del movimento del pianeta secondo l’ellisse incorre in un inconveniente insuperabile, a mio giudizio: per percorrere la distanza perielio-afelio e afelio-perielio il pianeta deve muoversi con velocità maggiore all’afelio che al perielio. Ma una volta giunto all’afelio, il pianeta non potrebbe più ritornare indietro, essendo la aumentata velocità di fuga superiore alla presunta forza di attrazione.4

Malgrado queste idee siano davvero rivoluzionarie, Ottaviano, nello stesso appunto inedito, rassicura che non sono contrastanti con la meccanica newtoniana, perché la sua ipotesi «invera in una ipotesi più ampia la teoria di Newton e ne dà la ragione senza che occorra ricorrere al paradosso dell’attrazione delle masse materiali. Il che è conforme alla norma del progresso della scienza (inveramento delle ipotesi precedenti in ipotesi più ampie)».5

Il problema di meccanica celeste di cui Ottaviano chiedeva un’impostazione e una soluzione matematica non fu trattato da mio padre, probabilmente a causa della gravissima malattia che di lì a poco lo portò alla morte. Ricordo, però, che mio padre era pienamente d’accordo con Ottaviano sulle considerazioni relative alla linea retta, da questi già riportate nell’edizione del 1970 di La legge della bellezza come legge universale della natura e ancora più ampiamente nella quarta edizione, in due volumi, della sua opera Metafisica dell’essere parziale pubblicata, nel 1969, dalla casa editrice catanese Muglia. Mi parlava spesso in termini entusiastici di quest’opera che lui possedeva nell’edizione in volume unico del 1942, pubblicata dalla casa editrice padovana CEDAM, nella collana diretta da Ottaviano assieme a Giuseppe Flores d’Arcais. Contrariamente a quel che può far pensare il titolo, nella Metafisica dell’essere parziale sono affrontati dal punto di vista filosofico argomenti altamente scientifici quali la Relatività Speciale e Generale di Einstein, cui sono dedicati vari capitoli.

Vorrei concludere ricordando che il fascino della spirale logaritmica ha attratto molti poeti e pensatori, tra cui Nietzsche, Rilke e, tra i nostri, Quasimodo e Sinisgalli, il quale nei suoi Versi ad Archimede celebra la «dolce spirale» come linea guida nello sviluppo delle forme negli esseri viventi e nel mondo inorganico:

Il mondo cresce per impulsi

e si adegua alla tua dolce spirale

come fa la chiocciola sul muschio

e le foglie che si avvitano al cielo.6

È da notare, però, che in quest’occasione il poeta supera il matematico (tanto per usare la duale di una sua celebre espressione: «Il matematico superava il poeta di una buona lunghezza…»),7 poiché Sinisgalli attribuisce ad Archimede non la sua spirale (le cui spire sono equidistanziate radialmente) ma la spirale logaritmica aurea (le cui spire invece si allontanano radialmente secondo una progressione geometrica di ragione e2πΘ), precisamente quella alla quale si uniformano gli “avvitamenti” delle foglie nella fillotassi, cui allude il poeta-ingegnere nei suoi versi.

Senza cadere in una arzigogolata estetizzazione, resta il fatto che risulta difficilmente spiegabile come pura coincidenza questo ampio e multiforme richiamo alla sezione aurea, alla progressione di Fibonacci e alla spirale aurea, non tanto nell’opera dell’uomo quanto piuttosto in natura. Insomma, si ripresenta, anche in questo caso, l’insoluta questione di quanto della verità matematica è in noi e quanta è fuori di noi. Dilemma che riguarda il fisico più che il matematico – che a differenza del primo può ritenersi soddisfatto della sua costruzione, anche se non corrispondente alla realtà fisica, purché logicamente corretta – e tanta meraviglia suscitava in Albert Einstein: «La matematica non smetterà mai di stupirmi: un prodotto della libera immaginazione umana che corrisponde esattamente alla realtà». Il sommo Galilei, invece, nella sua opera Il saggiatore non mostra a tal riguardo alcun dubbio: la matematica è nella Natura, «in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo)» che «è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto». (Fine)

———–

1 C. Ottaviano, La legge della bellezza come legge universale della natura, op. cit., p. 13.

2 Dall’inedito di Carmelo Ottaviano (p. 1) allegato alla lettera del 1-01-1971 inviata a Salvatore Nicotra.

3 Ivi.

4 Ivi.

5 Ibidem, p.3.

6 Cfr. «Civiltà delle Macchine», maggio 1953, p.77.

7 L. Sinisgalli, Un disegno di Scipione e altri racconti, Milano, Mondadori, 1975, p. 30.

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