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La musica elettronica secondo Nusa

Novembre 07
08:54 2011

Prima che musicista si autodefinisce, senza falsa modestia, un’ottima ascoltatrice. Nusa, al secolo Alessandra Salvatori, ventiquattrenne viterbese ma romana d’adozione, compone musica elettronica col piglio della semplicità e con la maestria di chi vi si dedica sapientemente, con arte, studio e passione. Laureata in Storia, Scienze e Tecniche della Musica e dello Spettacolo, sta per conseguire il Master in Ingegneria del Suono all’Università di Tor Vergata. Dj e producer, conduce un programma radiofonico per un’emittente romana. Il titolo è FFT – Suoni Elettronici Vari ed Eventuali. Noi l’abbiamo incontrata in occasione dell’uscita del suo primo album.

D- Hai scelto un nome d’arte originale: qual è il suo significato?

R – Molti pensano che Nusa derivi da Ichnusa o che sia il nome d qualche ninfa; in realtà non è nulla di così romantico: lo ricavai 6 anni fa dalle ultime 4 lettere della marca di una crema depilatoria perché dovevo a tutti i costi inventarmi un nome che mi distinguesse su un forum di musica elettronica. È quindi nato prima che cominciassi a fare pezzi musicali di senso compiuto.

D – Raccontaci un po’ di te: quando e perché hai cominciato a dedicarti alla musica elettronica e come questa tua passione si sposa con la tua professione di webj e tecnico del suono?

R – Mi sono avvicinata alla musica a 15 anni, non so bene come iniziò ma i più forti input si rivelarono le compilation dance del dj Albertino e una cotta pazzesca per un dj della zona, due anni dopo iniziai a giocare con programmi di editing per il suono, ero molto timida, tenevo i miei remix – all’inizio li consideravo come una specie di baggianata – solo per me e per qualche malcapitata amica. Amavo l’house vecchio stile, quella ricca di voci calde e ritmi afro e funk, ma anche artisti che sapevano essere unici nel loro genere: Daft Punk, Planet Funk, Gorillaz, Moby e Faithless. A 19 anni mi sembrò ormai evidente che avrei voluto fare della musica elettronica la mia vita, nel 2007 ho iniziato a comporre i miei primi brani e a farmi conoscere su my space, quest’anno sono riuscita a pubblicare con la Itsu Jitsu Netlabel il mio primo lavoro: Everyday’s Little Dreams.

D – Qual è il tuo rapporto con gli altri generi di musica e con la cultura musicale?

R – Negli ultimi anni la mia visione della musica si è fortemente ampliata, ho iniziato ad apprezzare le sperimentazioni estreme della musica elettronica colta, mi sono avvicinata alla musica classica, alla canzone d’autore, al jazz, ho studiato la teoria musicale. Per me studiare l’armonia è stato come avere la macchina o l’aspirapolvere: se non ce l’hai ne fai a meno ma quando ce li hai li usi, non è fondamentale ma se la conosci puoi usufruirne per comporre e rendere i tuoi pezzi più interessanti. La cosa davvero importante che mi porto dietro dall’esperienza universitaria è l’apertura mentale che permette di analizzare – prima di arrivare ad inutili ed affrettate conclusioni – la bellezza di tutta la musica e di tutti i suoni, anche quelli quotidiani. Da qui deriva la mia decisione di avvicinarmi a mestieri che partano da questo presupposto: sound designer, fonico, tecnico del suono, credo che sia il modo più intelligente per guadagnarsi il pane restando vicini alla propria passione.

D – Everyday’s Little Dreams è uscito da pochi giorni: com’è concepito questo EP?

R – Si basa sull’idea di collegare tra loro dei suoni che hanno a che fare con la vita di tutti i giorni e che talvolta rielaboriamo anche nei sogni. Il pezzo “Nonna” consta di campioni di voce preregistrati e di sequenze realizzate con Ableton Live, è un brano di ormai tre anni fa ma al contrario di altri pezzo dello stesso periodo che oggi critico perché penso di essere migliorata, “Nonna” è l’unico brano che non cambierei in nessuna sua parte, ha talmente tanto valore per me che è perfetto così. Game n.3 invece è ispirato ai suoni del Minimoog e alle atmosfere fantasy, doveva essere il terzo di una serie di pezzi concepiti nello stesso stile e da racchiudere in un album a sé, ma alla fin fine sono molto sintetica e mi sono accorta che un pezzo sarebbe bastato e avanzato. Technopsiche nasce da un’idea del mio amico Marco Secci, in arte Ciak, lui è un bravo batterista ma ha anche una voce interessante, si è quindi occupato della voce, della melodia del basso e delle percussioni, della parte “rock” del pezzo, io ho dato una forma al tutto.

D – Sei un’artista piena d’entusiasmo. Il tuo disco è un esordio molto interessante e pone le premesse per una splendida evoluzione futura. Ma spesso la musica elettronica viene considerata un po’ fuori dalle righe, un genere che, superata l’ondata di gruppi come i Kraftwerk o gli Aphex Twin, non si può ricondurre al largo consumo – “mainstream”, come si direbbe oggi – al pari del pop. Inoltre, pubblichi il tuo disco con un’etichetta discografica indipendente: quale spazio pensi che possa trovare la musica elettronica oggi, in Italia, e quali sono i tuoi ascoltatori di riferimento?

R – Fortunatamente, negli ultimi anni si è avuto un boom eccezionale di eventi che hanno come protagonista l’elettronica di tutti i tipi, dai festival ai singoli concerti, e il grande pubblico è sempre più coinvolto dalla musica e dall’immagine di artisti nuovi o di quelli che dopo anni dietro alla console hanno finalmente raggiunto il successo mondiale, non si parla solo di dj ma di veri e propri musicisti che hanno segnato la storia di questo miscuglio di generi. Anche in Italia si sta affermando il divismo per alcuni artisti. All’ultimo Meet in Town, festival tenutosi all’Auditorium Parco della Musica, per esempio, mi è stato riferito che la gente voleva salire sul palco per abbracciare i producer, proprio come fin ora si è fatto per i cantanti rock. Internet è invaso da album scaricabili proprio come il mio, molti sono gratuiti, altri a offerta libera, ma alla fine solo pochi di noi riusciranno a vivere della propria musica. Purtroppo, come è successo anche per il rock, si sta andando verso un appiattimento: quando si inizia a parlare di soldi, le sfumature artistiche non possono contare: sembra che il pubblico abbia bisogno di distinguere nettamente una cosa dall’altra, Tizio è famoso perché ha fatto il pezzo X, proprio quando tutti gli altri, seguendo la corrente, facevano Y, e cose di questo tipo; così ognuno crea e viene esortato a crearsi un marchio. Io sono entusiasta del fatto che alcune sonorità siano ormai gradite al gusto generale ma, da adesso in poi, sperimentare e, allo stesso tempo essere conosciuti, sarà molto più difficile di prima.

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