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Le feste natalizie di una volta

Gennaio 02
09:25 2013

Il periodo delle feste natalizie è diventato, per chi non va addirittura a festeggiare nuotando al caldo, una serie di giri per negozi a trovare il regalo più appariscente e meno costoso e a cercar il cibo più raffinato e lontano dalle tradizioni locali. Pochi ricordano la vera natura della festa e mantengono lo spirito di carità e amore per il prossimo che gli animi più nobili avevano cercato nei secoli di far crescere nelle popolazioni. Oggi tutto si risolve con un sms inviato ad una raccolta fondi televisiva, bastano 2 euro e la coscienza è a posto.

Ma quali erano le usanze legate al periodo natalizio dei tempi passati? Parliamo, ovviamente, del mondo cattolico, perché ortodossi e protestanti avevano altre abitudini. E non dimentichiamo ebrei, mussulmani e altre confessioni religiose che comunque sono rappresentate nel Mediterraneo e che non condividevano usi e tradizioni tipicamente cristiane. Io, esule dalla Dalmazia per eventi bellici disastrosi, non ho potuto vivere in loco le festività, ma i miei genitori, nel periodo del campo profughi, hanno voluto seguire le vecchie tradizioni… solo che, avendo percorso mezza Italia prima di fermarsi a Napoli, hanno raccolto tutte le tradizioni dei posti in cui hanno dovuto sostare. Perciò io non so da dove traevano ogni regola. A quei tempi, parlo del 1950 e dintorni, Babbo Natale era un perfetto sconosciuto, nessuno di noi bambini aveva mai visto il distributore di doni vestito di rosso con la barba bianca, né aveva sentito nominare le renne, che non erano certamente animali mediterranei. Sappiamo ora che Babbo Natale, cioè Santa Claus, è una deformazione nordica del nostro San Nicola da Bari, protettore degli scolari. Nel 1950 veniva la notte precedente il 6 dicembre e portava qualche regalino ai bambini. A noi portava solo oggetti di uso scolastico, meravigliosi erano i pastelli colorati e l’album da disegno. Oggi la dotazione scolastica dei ragazzi è così ricca, che non ci sarebbe quella splendida accoglienza dei bambini che finalmente potevano disegnare, ora lavorano con Google e usano programmi di computer graphics. Manca ora la festosità del momento in cui un bambino prendeva la matita colorata e, con la lingua tra i denti, iniziava a disegnare. All’epoca le feste continuavano il 13 dicembre, Santa Lucia. In alcuni dei paesi dell’Adriatico Orientale era lei la portatrice di doni e in campo profughi recava frutta secca, mandarini, arance e qualche dolcetto. Tutto non consumato in fretta, ma conservato in parte per la decorazione dell’albero di Natale. L’allestimento del presepe e dell’albero erano attività della Vigilia, finite le scuole. I bambini davano il loro contributo alla decorazione in un’atmosfera allegra e serena. Ricordo mio padre che raddrizzava l’albero inserendo arance o pietre nei punti giusti e sistemava le luminarie, e noi bambini che appendevamo i dolcetti e la frutta secca e qualche decorazione natalizia comprata, il puntale e poche palle, leggerissime e luminosissime. Anni dopo sono venuti gli alberi di plastica e le decorazioni dei supermercati. Noi avevamo quei cioccolatini a forma di gnomo o di angioletto, ognuno il suo, e ce lo guardavamo ogni giorno, fino all’Epifania, quando si disfaceva il tutto e avevamo finalmente il diritto di mangiarli. La lunga attesa rendeva tutto più buono. I veri regali di Natale, che poi erano un solo giocattolo a testa e indumenti pesanti per l’inverno, arrivavano la notte di Natale e da chi erano portati? Per noi, da Gesù Bambino aiutato dagli angioletti. In quell’occasione noi cinque figli eravamo messi tutti insieme nella camera dei genitori, nel “lettone”, mentre i grandi giocavano a carte e a tombola dopo il cenone della vigilia, rigorosamente di magro, risotto e pesce . Verso mezzanotte qualcuno urlava: «È arrivato, l’ho visto», e si correva a guardare sotto l’albero dove, appunto, erano raccolti i doni. I pacchetti erano molto grossi, tanta carta, tante scatole, una nell’altra in modo che il rito dell’apertura fosse lungo, visto che il dono, comunque, era poca cosa. Ma sempre bene accetto, dopo la lunga attesa. Mia madre trascorreva giornate intere a predisporre dolci fatti in casa, che poi sarebbero stati consumati nei giorni successivi. Il giorno di Santo Stefano, per regola, non cucinava niente. Si mangiavano solo i resti del giorno prima e del cenone. Non c’era molta abbondanza in campo profughi, ma non c’era, per noi bambini, tristezza durante le Feste. La Befana era un regalo del Meridione, perché in Adriatico orientale all’epoca era del tutto sconosciuta. Ma noi mettevamo anche la calzetta per il 6 gennaio… solo che io ero una bambina terribile e ricordo tanto carbone (quello vero!!) e cipolle. Fortuna che i dolci li prendevo dallo smantellamento dell’albero!

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