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Libertà e situazione: Merleau-Ponty critico di Sartre

Libertà e situazione: Merleau-Ponty critico di Sartre
Maggio 10
02:00 2008

Maurice Merleau-PontyIl superamento della prospettiva coscienzialistica nell’impostazione della problematica del rapporto io-altro caratterizza una parte importante del pensiero di M. Merleau-Ponty, pensatore francese morto nel 1961, anch’egli partito, come Lévinas, dalla lezione della fenomenologia husserliana per poi approdare ad un pensiero assai originale, difficilmente inquadrabile all’interno di una precisa corrente, attento alle tematiche della percezione, del linguaggio, della storia, dell’opera d’arte e del suo significato ontologico. Un pensiero, peraltro, solo di recente adeguatamente riscoperto dopo un lungo periodo di scarsa fortuna storiografica. Uno dei motivi di questa immeritata mancanza di attenzione è stato lo straordinario successo che ha per lungo tempo accompagnato la figura e l’opera di J.P. Sartre, celebre scrittore, filosofo e drammaturgo, amico-nemico di Merleau-Ponty ed esponente di spicco della cultura marxista francese del dopoguerra, icona dell’intellettuale engagé e guida dei movimenti studenteschi del maggio ’68 parigino. I due furono cofondatori, nel 1946, della rivista Les temps modernes, ma ben presto il loro contrasto risultò evidente e sempre più marcato, soprattutto in relazione alle tematiche della filosofia della storia politico-sociale e della relazione intersoggettiva. Intrecciando la riflessione sulla libertà umana con l’impalcatura “totalizzante” della dialettica hegelo-marxiana, Merleau-Ponty rimprovera a Sartre, sostanzialmente, di non essere in grado di coniugare libertà e intersoggettività.
La libertà di Sartre è, agli occhi di Merleau-Ponty, priva di contenuti reali, in quanto non ha un campo che la separi dai suoi fini, nessun ostacolo che le permetta di esplicarsi (come il non-io fichtiano), nessuno sfondo di fatticità da cui possa stagliarsi come scelta personale. Invece, per Merleau-Ponty, questo sfondo c’è ed è la situazione; solo una libertà situata, dunque incarnata positivamente nel contatto con gli altri e con le cose, può veramente definirsi tale: “l’alternativa razionalistica: o l’atto libero è possibile o non lo è – o l’evento viene da me, o è imposto dall’esterno, non è applicabile alle nostre relazioni con il mondo e con il nostro passato. La nostra libertà non distrugge la nostra situazione, ma si innesta su di essa; in quanto noi viviamo, la nostra situazione è aperta”1. Per Sartre, invece, la libertà è il nostro potere assoluto di negare la nostra fatticità e la nostra situazione, e questo potere è ciò cui siamo originariamente consegnati e condannati2: è solo attraverso la libertà che, secondo Sartre, è possibile che ci siano delle cose e delle situazioni contingenti, non c’è parallelismo tra libertà e situazione. Ma c’è qualcosa, per Sartre, che limita in modo più concreto la nostra libertà ed è l’esistenza d’altri: lo sguardo altrui mi aliena e mi rende oggetto, è trascendenza che pone un confine al mio assoluto solipsismo: “il vero limite della mia libertà è puramente e semplicemente nel fatto stesso che un altro mi coglie come un altro-oggetto e nell’altro fatto corollario che la mia situazione cessa per l’altro di essere situazione e diventa forma oggettiva nella quale esisto a titolo di struttura oggettiva. È appunto questa oggettivazione alienante della mia situazione che è limite costante e specifico della mia situazione, come l’oggettivazione del mio essere-per-sé in essere-per-altri è il limite del mio essere … Questo limite alla mia libertà è, si vede bene, posto dalla pura e semplice esistenza d’altri, cioè dal fatto che la mia trascendenza esiste per una trascendenza … Come il pensiero, secondo Spinoza, può essere limitato solo dal pensiero, così la libertà non può essere limitata che dalla libertà ed il suo limite viene, come finitezza interna, dal fatto che non può non essere libertà, cioè che si condanna ad essere libera, e come finitezza esterna, dal fatto che, essendo libertà, è per altre libertà, che la esperimentano liberamente, alla luce dei loro propri fini”3. Invece, per Merleau-Ponty, l’altro non è affatto libertà che limita la mia libertà nel senso di indebolirla o annullarla, ma è libertà che dà forma alla mia libertà, la definisce: “siamo mescolati al mondo e agli altri in una confusione inestricabile. L’idea di situazione esclude la libertà assoluta all’origine dei nostri impegni, e del resto la esclude egualmente al loro termine”4. Va osservato comunque che, per Merleau-Ponty, la libertà situata che costituisce il senso autentico della responsabilità storica e della scelta personale è qualcosa che si fonda non tanto su un incontro delle coscienze al di là del solipsismo, ma su una sorta di preliminare intersoggettività anonima e indistinta nella quale apertura all’altro e trascendenza dell’altro sono perfettamente coincidenti: “ciò che chiamiamo il senso degli eventi non è un’idea che li produce, né il risultato fortuito della loro unione. È il progetto concreto di un avvenire che, prima di ogni decisione personale, viene elaborato nella coesistenza sociale e nel Si”5. Questo Si primordiale appare una vera e propria struttura trascendentale: anziché, come in Sartre, la libertà che precede la situazione, sembrerebbe di poter scorgere qui la situazione (cioè l’intersoggettività anonima, lo “alone di generalità dell’esistenza”) come precedente la libertà. La libertà non è coestensiva alla situazione né in Sartre né in Merleau-Ponty perché entrambi non scorgono nell’altro una persona verso la quale sono aperto e, in certo modo, costituito come soggettività: per Sartre l’altro è, drammaticamente, sguardo pietrificante (“l’inferno sono gli altri”), per Merleau-Ponty è intersoggettività senza volto, sedimentata dal linguaggio e dai segni della tradizione e della storia culturale che esso reca con sé. In entrambi manca la consapevolezza che la libertà consiste nella decisione individuale che è stimolata dalle situazioni esistenziali e che dischiude, a sua volta, nuove situazioni esistenziali le quali costituiranno, in seguito, il terreno di partenza per nuove decisioni, e così via, invece, per l’uno le decisioni tendono a prescindere dalla situazione, per l’altro, invece, la situazione sembra una decisione già presa nell’alveo di un’intersoggettività anonima. E tuttavia, mentre Sartre resta legato al suo coscienzialismo idealistico-solipsistico fini alla svolta rappresentata dalla Critica della ragione dialettica (1960), Merleau-Ponty già nel 1955 chiarisce la sua posizione antioggettivista circa il problema della libertà già abbozzata nella Fenomenologia della percezione.
Nel capitolo finale delle Avventure della dialettica6, la critica a Sartre si svolge non più sul terreno puramente teoretico, ma sul terreno storico-politico e rifiuta la teoria marxista tra Partito e proletariato. Prendendo spunto dai tre articoli di Sartre I comunisti e la pace (1946), Merleau-Ponty accusa Sartre di avere in gran parte riadattato i concetti marxisti alla sua filosofia, giungendo al feticismo ideologico del Partito onnisciente ed infallibile e della “azione pura”: per Sartre, dice Merleau-Ponty, la prassi è “la vertiginosa libertà, il potere magico che abbiamo di fare e di farci qualsiasi cosa”7, cifra del suo terrore assoluto di qualsiasi significato o senso precostituito che non sia creato dal soggetto. Sartre, cioè, ha sempre necessità di costituire la fatticità, di renderla oggetto di coscienza, di impedirle di essere una contingenza che limiti l’iniziativa assoluta e pura del soggetto. L’adesione incondizionata al Partito e alla sua autocritica permanente gli permette di mantenersi nell’estremismo di un negativismo puro che si rovescia contemporaneamente nel suo opposto speculare, il positivismo assoluto di una coscienza che coincide totalmente, senza residui e senza distanza, col suo oggetto. In poche parole, Sartre ignora quello scarto tra coscienza e mondo (le cose e gli altri) che è la storia, l’intermondo in cui lo spirito si oggettiva nei segni e nei complessi simbolici, e in cui ogni decisione personale si inserisce nell’insieme delle decisioni e delle volontà intersoggettive con cui entra in contatto: per Sartre, invece, “l’autorità assoluta del Partito è la purezza del soggetto trascendentale incorporato di forza al mondo.
Questo tipo di pensiero kantiano o cartesiano non vede che organicismo nell’idea di un’unità non costruita”8. Ma il marxismo autentico, per Merleau-Ponty, non è un organicismo “senza oggetto” (il timore di Sartre), ma un umanesimo totale in cui tutto parla dell’uomo, e gli stessi significati intersoggettivi, sedimentati e già fatti prima che la coscienza singola li assuma su di sé, non sono impersonali “matrici simboliche”, ma risultano dal lavoro comune, dall’interazione dialettica delle intenzionalità singole; il senso delle cose è, cioè, immanente ad esse, non c’è alcun soggetto assoluto (individuo o Partito che sia) che può porsi come creatore del senso, ma un’intersoggettività carica di storicità e di positività, interprete di una verità implicitamente proposta dai fatti9. Sartre, perciò, è, per Merleau-Ponty, prigioniero delle dicotomie: gli uomini e/o le cose, l’in-sé e/o il per sé, l’assoluto potere di significazione di una coscienza senza storia e senza opacità e/o l’assoluta insignificanza delle cose e del mondo (e l’altro come scandalo); nelle sue mani il comunismo diventa identificazione misticheggiante tra le coscienze realizzata dal Partito fuori del tempo, non c’è più incontro di coscienze individuali in un’azione comune, né differenziazione interna fra i particolari modi di essere della rivoluzione, cosicchè in Sartre “la scelta rivoluzionaria è veramente scelta di non si sa che cosa”10. La differenza tra i due è che, per Sartre, l’incontro con l’altro sempre essenzialmente annichilamento e oggettivazione per cancellare le quali è necessario negare l’altro, o, meglio, incontrarlo e coincidere con lui in una scelta assolutamente istantanea e priva di spessore storico tutta volta verso un avvenire comune puramente immaginario, mentre per Merleau-Ponty l’incontro con l’altro è l’incontro con la storia stessa, cioè con un mondo di significati primariamente intersoggettivi con i quali è necessario mediarsi per impegnarsi attivamente nella storia: “invece l’impegno, in senso sartriano, è la negazione di quel legame tra noi e il mondo che esso sembrerebbe affermare, o piuttosto è il tentativo di fare di una negazione un legame”11.
La proposta merleau-pontiana di una “sinistra non comunista”che “per meritare il suo nome deve stabilire tra il comunismo e il resto del mondo un terreno di coesistenza, la quale cosa è possibile soltanto se non aderisce al comunismo”12 è, da un lato, la risposta all’ultrabolscevismo sartriano, dall’altro il tentativo, assai più concreto del “marxismo d’attesa” di Umanismo e terrore, di portare sul piano della prassi politica e storico-sociale quella stessa ricerca della “terza via” nelle relazioni interumane così tenacemente portata avanti da Merleau-Ponty nel corso della sua attività di filosofo e scrittore.
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1 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Il Saggiatore, Milano, 1965, p. 565
2 Cfr. M. Heidegger, Dell’essenza della verità, in Segnavia, Adelphi, Milano, 1987, pp. 145-6: “l’uomo non possiede la libertà come una sua proprietà, ma tutt’al più il contrario: la libertà, l’esserci e-sistente e svelante, possiede l’uomo in un modo così originario che solamente essa consente a un’umanità il riferimento all’ente nella sua totalità, il quale soltanto fonda e caratterizza ogni storia”
3 J.P. Sartre, L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano, 1964, p. 632
4 M. Merleau-Ponty, op. cit., p. 582
5 M. Merleau-Ponty, op. cit., p. 573
6 M. Merleau-Ponty, Le avventure della dialettica, Sugarco, Milano, 1965, pp. 303-409
7 M. Merleau-Ponty, ibidem, p. 339
8 M. Merleau-Ponty, ibidem, p. 347
9 Cfr. C. Senofonte, Sartre e Merleau-Ponty, Libreria Scientifica Editrice, Napoli, 1973, pp. 245-8, per il quale Sartre vede nel comunismo l’assolutamente “altro”, l’impresa libera e incondizionata, cioè mancante di una ragione contingente, quindi indeterminatezza e volontarismo puro, éngagement arbitrario e privo di radici. Merleau-Ponty, invece, più equilibratamente, considera il marxismo, nei suoi aspetti migliori, come filosofia del dialogo, dello scambio intersoggettivo, della costruzione comunitaria del senso della storia
10 M. Merleau-Ponty, ibidem, p. 357
11 M. Merleau-Ponty, ibidem, p. 401
12 M. Merleau-Ponty, ibidem, p. 392

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