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Tutti con tutti contro tutti

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Maggio 10
11:23 2014

4-laura-boldrini-gruppoLe nostre istituzioni sono allergiche al cambiamento. Siamo una nazione principalmente conservatrice e vecchia, negli anni e nelle origini: queste, antiche e dimenticate. Ai quarant’anni di DC e compromessi, sono seguiti vent’anni di Berlusconi e compromessi.
Nella cosiddetta “Prima Repubblica” la spartizione politica della società, dei posti di lavoro, degli appalti, è preda dei partiti, dove l’1,5% si pone ad ago della bilancia. Negli anni Ottanta la classe politica si accorge dei “privilegi”, ne assume le redini tenendo sotto scacco la nazione.

Negli ultimi venti anni il cittadino è spettatore della politica, divisa in: organizzazione privata nella difesa dei propri interessi, o organo di partito arroccato su se stesso. La nascita di vari movimenti, dai Verdi (incagliatisi nei meccanismi governativo-parlamentari) alla Lega Nord, chiusa territorialmente e vittima di idee bislacche (salvo che per la gestione dei soldi, da far invidia all’odiata Roma ladrona), al Movimento 5 Stelle in gestione “Guru” o una rivisitazione della storia del Conte di Montecristo interpretata da Grillo. Questo uno spaccato d’Italia dal dopoguerra a oggi.
La nascita della cosiddetta “Seconda Repubblica”, voluta per avviare il bipolarismo, si è caratterizzata anche per la più grande frammentazione di rappresentanza politica, sino alla presentazione di ben 215 contrassegni elettorali (di cui ammessi 169), chiaramente anche in rappresentanza condominiale. Entrano in parlamento 18 rappresentanze più un gruppo di singoli. Qualcosa non è chiaro nell’ambito rappresentativo nazionale, fatto salvo il business dei rimborsi elettorali. Da qualche anno è iniziata un’operazione: la rottamazione. Considerato il mancato e naturale ricambio generazionale, venuta meno l’attesa della nomenclatura, un nutrito gruppo di quarantenni ha iniziato a scalfire le segreterie politiche, sino ad arrivare alla cima delle stesse.
La politica italiana è molto complessa; ha basi ideologiche radicate nel sociale, diviso dalla collocazione territoriale, dubbioso sull’onestà politica dell’avversario, e spesso purtroppo anche a ragione. Nel frattempo scissioni, compromessi storici, Corte Costituzionale, cercano un nuovo look per la politica nazionale. C’è chi torna al passato, come Forza Italia, chi ha fiducia nel futuro (di mantenere lo scranno occupato), chi promuove il malcontento nelle piazze, chi crede nel web senza guardare negli occhi le persone, chi ha fatto le primarie acquisendo voti popolari.
È proprio nell’espressione del voto che il politico genera il caos. Avere qualche milione di voti, non è sinonimo di incoronazione a dittatore (Cesare ne ebbe forza); in una democrazia, è soltanto una legittimazione di rappresentanza. A osteggiare il segno positivo dei voti, vi è pur sempre un segno negativo (milionario o meno) che pone una sua rappresentanza. Se un dilemma esiste, non è certo il «Dio me l’ha data, guai a chi la toglie», bensì rendere esecutiva l’espressione del voto. Qui sono in gioco la Costituzione e i costituzionalisti, e non solo le belle idee. Garantire governabilità alla nazione, assicurando la rappresentatività che non ostacoli il processo di governo. Questo dovrebbe essere un cardine primario di una legge elettorale. Da anni, da B&G, e ora da Renzi, avere voti è sinonimo di incoronazione ad interim.
È evidente che l’Italia richiede un’accelerazione nelle riforme rappresentative e costituzionali. Bisogna tener presente che il “decisionismo” non può essere inteso come titolo di “totalitarismo”.
Un’idea bislacca posso anche buttarla (una più, una meno…). Una legge elettorale che indichi una maggioranza (relativa o assoluta o di coalizione) in grado di esprimere a priori premier e azione di governo. Un Parlamento rappresentativo, con soglia di sbarramento (vedi anni Sessanta-Settanta da 1,5%), la cui azione è di proposizione e controllo della legislazione. Se una cosa del genere sia possibile costituzionalmente, senza sfogare nel presidenzialismo o assolutismo governativo, non sono in grado di definirlo. Concettualmente vedo un Governo proporre indirizzi alla nazione, e un Parlamento che ne valuta azione e bene sociale, senza provocare crisi governative per la bocciatura di una legge.
Il paradosso (tutto da verificare): sembra che questo “Italicum” assomigli molto al “Porcellum”, con problemi che da oltre sei anni ci trasciniamo dietro. Mi chiedo: una semplice legge elettorale per l’Italia non si può fare? Un altro dubbio mi assale (scusate, è un mio difetto): ma quando mai il signor “B” si è prodigato per risolvere i problemi dei cittadini italiani che non fossero i suoi?

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