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Quando i sogni diventano azione. Storia in due capitoli, un prologo e un epilogo.

Quando i sogni diventano azione. Storia in due capitoli, un prologo e un epilogo.
Aprile 11
09:49 2010

olivettiWCap. I: Del gusto o delle origini. Se Elvira Sacerdote (di Modena) non avesse sposato Benedetto (di Ivrea)… non saremmo qui a scrivere questa recensione. Sì, perché Benedetto è Olivetti, padre di Camillo e nonno di Adriano, e lo spettacolo è Camillo Olivetti. Alle radici di un sogno, andato in scena al Valle nello scorso mese di novembre. Straordinario monologo ‘a più voci’, recitato, o meglio ‘animato’, da Laura Curini per la regia di Gabriele Vacis. Merito dunque dell’Elvira, dall’andatura molle e femminile, trasferitasi nella chiusa e gretta Ivrea per amore del suo Benedetto (che presto muore lasciandole in eredità un grande destino di madre) se il piccolo Camillo viene su “come un cavallino slegato”. Tanto che nel 1893 troviamo il Camillino a Chicago, dove assiste agli scontri tra polizia e manifestanti (e magari avrà pure assaggiata la Coca-Cola, che allora cominciava ad essere imbottigliata e distribuita). Tornato ad Ivrea il ragazzo mette su una rappresentanza di biciclette, di cui però si stanca presto, perché lo punge una idea imprenditoriale nuova: misurare l’elettricità. E’ così che organizza un capannone, dove impiega i contadini, che istruisce personalmente. Scetticismo ad Ivrea per l’iniziativa, e ancor più per il personaggio, stravagante, che si dice sovvenzioni certa stampa… scrivendo lui stesso su “Il grido del popolo”. Dubbi che diventano sospetti, tali da spingere il famigerato Bava Beccaris a chiedere regolari rapporti di polizia sul ragazzo. Il capitolo I di questa storia si chiude su un evento lieto, il matrimonio di Camillo, festeggiato al ritmo di bollito piemontese, leit-motiv e consuetudine del buon vivere borghese, che accompagna le tappe di questa vita straordinaria. Il capitolo II: Della vista , di quell’evento ripercorre l’antefatto: il Camillo che per la strada approccia la futura moglie, figlia modesta di un morigerato pastore valdese, invitandola a divenire la sua amante, anzi a sposarlo; parole che il giovane va a ripetere anche al padre pastore, allibito. Che gliela concede, tanto che, racconta la moglie, “un anno dopo eravamo sposati, restammo amanti per tutta la vita”. Come dimostrano le conseguenti nascite a ritmo serrato, a cominciare da Adriano nel 1901. Intanto Camillo, che nel 1903 aveva già 50 operai nella sua fabbrica di strumenti per misurare l’elettricità, tenta il trasferimento a Milano, per tornare nuovamente ad Ivrea nel 1908. Un altro leit-motiv si è aggiunto al bollito, Burzio, uomo di fiducia, consigliere, pilastro su cui appoggiare un’etica del fare che non tollerava la separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, che intendeva wagnerianamente (e non è casuale la predilezione di Camillo per il grande tedesco) costruire il suo personale Wort-Ton-Drama (declinato qui come amore, lavoro, famiglia, idea politica) come espressione di un’unica volontà, la propria. Signore lui stesso del suo fare, lui che non tollerava altri Signori, che della chiesetta affrescata del luogo aveva fatto un fienile, e alle domande del figlio (“Papà, chi è quell’uomo nudo a braccia larghe?”) faceva alzare lo strato di fieno a coprire per bene ogni tentazione metafisica. Lui accentratore e sovrano assoluto, che non mandava a scuola i suoi figli, ma li faceva educare a casa dalla mamma Luisa, maestra, inveendo contro i “figli dei Latini” che hanno trasmesso i nomi di “poetucoli” e non quelli di ingegneri, architetti, ecc. Intanto va sempre meglio definendo la nuova idea imprenditoriale, quella macchina per scrivere che qualcuno aveva inventato in America, e in Italia si era configurata nell’idea di tale Ravizza come ‘cembalo scrivano’. Nel 1908 Camillo torna negli Stati Uniti, a visitare la Remington, dove già si fabbricavano 70000 macchine da scrivere all’anno. Tornato con un fascio di disegni, all’Esposizione Universale di Torino del 1911 Olivetti è presente…ed espone Burzio con i suoi operai che finivano la loro macchina da scrivere. Un successo: la Marina ne ordina 100 pezzi. Ma per passare dal prototipo ai multipli ci vogliono i soldi. Il Camillo non ce la fa e allora ce li mettono gli operai. Piovono gli ordini, anche dal Ministero delle Poste, gli operai passano a 80-90, si apre un negozio a Milano. E per i dipendenti fedeli fioriscono le spille d’oro, il riconoscimento per i dipendenti Olivetti con 25 anni di anzianità, perché chi ha finanziato la produzione sono stati gli operai, che solo alla fine della I Guerra mondiale potranno riavere i loro denari. I figli intanto sono cresciuti. Adriano parte per l’America e dopo quel viaggio Camillo passa il testimone. Un ordine soltanto: “Adriano, fai quello che vuoi ma non licenziare nessuno”. L’ultimo ordine, prima di morire, morire cristiano, lui che, nato ebreo, discriminato al contrario “per meriti speciali”, alla fine della vita si era convertito. Nove mesi dopo morirà Luisa, la madre dei suoi tanti bambini, nove mesi, il tempo che ci vuole per fare un bambino. Nel 1960 morirà anche Adriano: il Prologo, che comincia dall’ epilogo, come ogni ‘storia allo specchio’ che si rispetti. E l’epilogo è quello visto con gli occhi di una ‘bambina-FIAT’ che, spaventata dall’idea dello zio, che invece lavora in Olivetti, di andare a Ivrea alla battaglia delle arance per il carnevale, apprende con gioia che non ci si va più, che la battaglia è stata sospesa per lutto cittadino, perché è morto qualcuno importante.

 

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