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Quel “memorabile” di Benigni!

Marzo 05
12:56 2011

Sono parecchi giorni che mi frulla per il capo quella parola, reiteratamente pronunciata da Benigni nel suo memorabile intervento a San Remo: “memorabile”. Quella parola Benigni l’ha usata almeno una ventina di volte, per definire ciò che andava narrando.  Avrebbe potuto usare mille aggettivi, lui che è un funambolo della parola, e invece puntualmente tornava a ripetere quel “memorabile” come un chiodo a cui appendere gli intensi quadri di storia patria che andava dipingendo. Cosa significa letterariamente la parola “memorabile”? Vuol dire cosa degna di essere ricordata e tramandata. Ecco, questo è il senso di tutto l’intervento di Benigni: ridare dignità alla nostra memoria, tornare a esercitare quel magnifico potere che solo l’uomo ha in dono, di ritornare sui suoi passi e rivivere il suo passato, per trarne lezione e indicazione sul suo presente e sul suo futuro. Questo è un dono che per una sorta di malefico e autolesionistico desiderio di annullamento, noi italiani abbiamo dismesso da troppo tempo. Noi dimentichiamo tutto. Da troppi decenni il popolo italiano vive in un eterno presente, subito passato, sradicato dal suo ieri e incurante del domani. Un presente dove il detto di ieri appare già sfumato e indefinito nella memoria collettiva e privata, subito contraddetto da un oggi frenetico e sbadato. Noi dimentichiamo tutto. E quando qualcuno come Benigni ci costringe a rivedere il passato come un prolungamento ideale del nostro presente, mostrandocelo nella sua affascinante e semplice contemporaneità, restiamo sbalorditi, e ci chiediamo stupiti: ma allora noi non siamo un caso? No, noi non siamo frutto del caso, siamo la somma di tutti coloro che ci hanno preceduti, nel bene e nel male, e a loro siamo legati da un destino collettivo che è peccato grave ignorare. Abbiamo voluto scordare come è nato questo Paese, abbiamo buttato nel dimenticatoio una epopea fatta di guerre, sacrifici, ingegno politico e anche errori, che portò all’unificazione dell’Italia, relegando il tutto in qualche polverosa riga di storia patria infarcita di retorica e di coccarde. Abbiamo buttato a mare la storia di una dinastia che compì un miracolo di abilità politico-diplomatica e che annoverò uomini dalla statura morale immensa, come Carlo Alberto, abbiamo dimenticato la grandezza dell’ingegno politico di uomini come Cavour che scavarono all’Italia un alveo moderno e laico, degno di un paese occidentale liberale e democratico, trovando il coraggio di sfidare persino il Papa. E abbiamo dimenticato tutti coloro, sono milioni che ci credettero, che, in buona fede, dièdero tutto ciò che potevano e anche di più. Poi il Fascismo, buttato a mare con tutti i suoi venti anni di storia, anni che videro anche il formarsi di uno stato industrialmente avanzato, curvo nello sforzo di raggiungere e a volte superare le maggiori potenze sul piano del progresso tecnico e scientifico. Tutto buttato via, tutto rimosso nel bene e nel male, meriti e responsabilità, grandezze e miserie. E anche la Resistenza, scatto estremo di dignità di chi volle salvare l’onore degli italiani, è ormai buttata nella discarica della memoria, affogata nella palude della retorica di parte e nella inutile evocazione strumentale. Poi gli anni del boom, il dopoguerra, l’epopea della ricostruzione, la prima repubblica, la seconda… e poi ancora via tutto, siamo già pronti per la terza, senza metabolizzare, senza riflettere, senza analizzare e senza conservare memoria. Centocinquanta anni senza nulla di “memorabile”? Che Paese inutile, un Paese che non ti dà il senso di appartenenza. E così siamo a oggi, un oggi in cui a furia di buttare via tutto e fare tabula rasa del passato, stentiamo persino a riconoscerci tra di noi come abitanti di una stessa terra. I miei figli si vergognano di questo presente, ma non riescono a vedere un futuro proprio perché non sanno di avere un passato da cui attingere la forza e le indicazioni per riprendere il cammino. E questo è la morte di un Paese.

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