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Recensione al libro “Albano Laziale nella memoria del Comune”, di Giorgio Sirilli

Luglio 18
20:10 2019

È appena uscito dalle stampe il libro “Albano Laziale nella memoria del Comune” di Giorgio Sirilli, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e docente universitario, albanese doc, impegnato nei Castelli Romani in attività culturali e politiche. È autore di numerosi testi scientifici, specificamente nell’ambito dell’economia e della statistica (da ciò si evince anche lo specifico della presente opera che intendo ora presentare al pubblico e commentare per quanto mi concerne, essendo il sottoscritto portato più in ambito umanistico che scientifico: il testo è di ordine rigorosamente sistematico). Con Giorgio – e il compianto Nino Dori, e Piero Torregiani – ho lavorato al Vocabolario del dialetto albanese (ma devo riconoscere che senza di lui, la sua mente organizzativa, quel volume fondamentale su Albano non sarebbe uscito: valga come testimonianza questo: da decenni avevo su una rubrica numerosi termini dialettali trascritti fin dall’adolescenza grazie alla parlatura dei bevitori antichi, ma non ho saputo mai organizzare il tutto in un’opera sistematica).
Bene. Entriamo nel vivo dell’opera. Essa è frutto di una linea di ricerca in cui l’autore ricostruisce mirabilmente il profilo storico, sociale, economico, antropologico della sua città quando Albano era ancora un paese. L’anno scorso è andato in libreria un altro volume, intitolato “Albano Laziale nella memoria degli anziani”, costruito sulle interviste a coloro che hanno vissuto quell’epoca; nel presente caso le informazioni provengono dagli atti del Comune. Molti ritengono che i bilanci, le delibere di spesa, i provvedimenti amministrativi siano aridi ed incomprensibili scartafacci da cui tenersi alla larga, ma non è così. Dai testi delle delibere emergono i valori condivisi della comunità, i ritmi della vita quotidiana, le esigenze a cui dare risposta con i pochi mezzi disponibili, le condizioni di vita, spesso difficili e talvolta miserevoli dei cittadini, le priorità dettate da situazioni di emergenza, le opzioni politiche prima, durante e dopo il periodo fascista. Il libro fornisce quindi un affresco di una società prevalentemente contadina, ma anche commerciale e artigiana, che ha vissuto due guerre e che ha iniziato a godere di un crescente benessere soltanto con il boom economico degli anni Sessanta.
L’autore ha raccolto e sistemato i dati acquisiti con un paziente lavoro d’archivio attraverso Un’intelligente ricerca: demografia, bilanci, caduti delle due guerre, ma anche costi delle feste Popolari o dei lavori pubblici, il variabile numero degli impiegati comunali e dei servizi prestati. Per cui il dato “locale” non è altro che la tessera di un mosaico più ampio, una fonte che si riversa in un fiume e in un mare più grandi.
Questo libro ci presenta lo spaccato di una comunità locale, ma è anche paradigma di una società nazionale e mondiale a cavallo di due secoli, Ottocento e Novecento, caratterizzati da profonde trasformazioni, che mai si erano viste nel lungo cammino del genere umano: dalla civiltà contadina a quella industriale e urbana. Una storia, questa di Sirilli, che adotta un metodo e un articolato sistema espositivo, muovendosi agevolmente dall’antropologia alla sociologia, degni di essere esemplari e adottati da chiunque voglia esaminare i fatti del passato, anche recente, rovesciando finalmente il punto di vista e la prospettiva dell’osservatore: non più l’entomologo chinato a studiare dall’esterno i suoi insetti, ma ascoltando le “voci” degli attori sociali, che emergono dall’interno delle carte, eloquenti queste ultime come le epigrafi di una nostrana Spoon River: il miserabile, la guardia comunale, il medico condotto, il vespillone e così via.
Il libro si articola in nove capitoli. Il primo fornisce una rapida sintesi di quanto è dettagliato nel prosieguo del testo. I temi dei successivi capitoli riguardano alcuni eventi memorabili avvenuti in città; gli interventi del Comune sul territorio e sulla sua conservazione; il personale dipendente del Comune; alcuni personaggi che hanno svolto un ruolo di rilievo nella città. Il capitolo sui Vigili Urbani traccia con dettaglio la storia – ancora non scritta – del Corpo dalla fine del Diciannovesimo secolo all’inizio degli anni Sessanta.
Il testo è arricchito da oltre cento fotografie della città e dei suoi cittadini, molte delle quali originali.
L’opera si chiude con l’elenco dei seicento nomi citati, in ordine alfabetico, senza alcuna distinzione. E tale scelta non è stata fatta a caso. Come diceva Lev Tolstoj, “Per studiare le leggi della storia dobbiamo sostituire completamente l’oggetto della nostra indagine, lasciare in pace i re, i ministri e i generali, e studiare quegli elementi omogenei e infinitesimali che condizionano il comportamento delle masse”; e, come ci ricorda Totò nella poesia ‘A livella, ciascun essere umano in vita ha un posto ed una dignità che vanno rispettati, poi la morte, saggiamente, rimette tutti sullo spesso piano.
Ciò detto, aggiungerei alcune considerazioni “stravaganti”. Il mio sistema cerebrale ha sempre avuto una difficoltà insuperabile per i numeri, gli schemi, le catalogazioni etc., tanto che la materia di studio attaccata alla mia ombra ogni estate fu invariabilmente matematica da sostenere agli esami di riparazione. Però, col tempo, ho iniziato quasi ad assaporare quella sostanza a me estranea, non saprei dire per quale recondito motivo. A tal proposito, mi sono goduto anche le tabelle di questo libro, le precisioni temporali, al punto che ho trovato una sorta di “letteratura” anche in cose che potrebbero apparire aride (ancorché necessarie al contesto generale). Ancora: quelli della mia età riconosceranno tanti volti di gente passata a miglior vita. Le foto parlano, anzi cantano con un’immediatezza che spesso le parole – in genere -non hanno. Ecco allora che non tanto gli ambienti (case, strade, piazze etc.) quanto le persone che con noi hanno vissuto momenti belli o quotidiani (che alla memoria assumono un significato commosso), riportano indietro nel tempo: non ci sono più, non li incontriamo nelle vie della nostra città, sono “spariti”, e sarebbero nell’oblio se gli amatori della storia locale non li riesumassero. Albano è fortunata: non tutti i paesi hanno il culto della memoria, come invece sta crescendo di intensità qui da noi grazie a coloro i quali sanno descrivere quanto rimane fermo nei ricordi, o sanno (ed è il caso di Giorgio Sirilli) agire da rabdomanti, carpendo ai fogli muti una nota musicale che tutti ci coinvolge in un abbraccio corale che è il fondamento anche della grande storia (come Sirilli scrive in esergo traendo da Tolstoj e da Wright Mills, ai quali aggiungerei Manzoni: “Perché infine cosa ci offre la storia? Degli avvenimenti, quel che gli uomini hanno fatto. Ma quel che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro decisioni e i loro progetti, i loro successi e le loro sconfitte; i discorsi con i quali hanno fatto prevalere, o tentato di far prevalere, le loro passioni e le loro volontà, coi quali hanno rivelato la loro personalità: tutto questo la storia lo passa sotto silenzio”). Ergo: anche se in un’immensa gradazione di colore e di importanza, siamo tutti “protagonisti” della storia, pure se anonimi. Finché il genere umano esisterà sul pianeta, nulla andrà perduto: e questa è un’estrema consolazione generale.

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