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‘Russian Roulette’ di Lilith Di Rosa

‘Russian Roulette’ di Lilith Di Rosa
Aprile 27
13:21 2015

Da alcuni giorni è in libreria, edito da Bompiani, il romanzo Russian Roulette di Lilith di Rosa, finalista del concorso televisivo Masterpiece (vedi intervista su Controluce del settembre scorso).
L’autore, per il suo primo romanzo, ha scelto il metodo narrativo del diario.

Un diario sincero, coraggioso, tenero e disperato, in cui la solitudine nella città di Amsterdam «neri, arabi, spacciatori, consumatori abituali di crak sono gli unici che mi rivolgono la parola», la mancanza cronica di denaro, ma soprattutto di un senso del vivere avvolgono, schiacciano il giovane protagonista lungo le strade e i canali della città. Il protagonista ha il nome dello scrittore – e qui viene spontaneo riproporsi la consueta domanda sulla difficoltà di decifrare il confine fra vita e letteratura, fra realtà e finzione: Lilith è fuggito in Olanda per frapporre chilometri di terra e d’aria fra se stesso e un amore finito, quasi un volersi sciogliere, annullare nel formicolio della città straniera, ma anche – lo scrive lucidamente: «per scassinare quella gabbia di staticità di eterna adolescenza che io e i miei compagni c’ eravamo creati…»
Fin dall’inizio del viaggio Lilith scrive, racconta impietosamente a se stesso il quotidiano della vita pratica e delle contraddizioni e ansie della sua anima, scrive una parola dopo l’altra sulle pagine di un taccuino che porta sempre con sé, scrive sulle panchine, nei pub fumosi, nella sala comune di un ostello, in camere d’affitto provvisorie. La provvisorietà è la regola quotidiana: lavori saltuari che lo sfiniscono, rapporti con italiani altrettanto saltuari e provvisori, prostitute – ombra, ragazze olandesi, norvegesi, tedesche che passano nel suo letto: «Siamo usciti fuori dal vialetto, ci siamo salutati e ognuno per la sua strada, ricordandoci appena i rispettivi nomi».
Il suo taccuino – specchio di sé – continua a riempirsi di parole. Le parole sulla pagina bianca, con le virgole e i punti al loro posto, lo tengono ancorato alla vita, a se stesso, diventano il baricentro del suo nucleo originario che non vuole perdersi, una piccola roccia di fragile carta che lo tiene in piedi.
L’eroina, che Lilith scrive con il suo vero nome – eroina, senza sconti a se stesso – lo riafferra. «Una settimana di eroina per sopportare tutto, il lavoro, il freddo, la solitudine…sto entrando in un vortice, giorni bui, quando lo stomaco è pieno di buchi, quando sei infetto».
Romanzo di formazione? Di presa di coscienza del proprio essere nel mondo? Un libro – più ricco e più sfumato di quanto appaia in queste poche righe – nel quale la chiave letteraria è la sincerità totale del diario, con una scrittura a volte cruda, realistica, ma sempre netta, precisa, senza accensioni di chi si guarda allo specchio lucidamente e proprio per questo conserva nel profondo una sorta di limpidezza e di stupore di fronte alla vita.

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