Sfatare i luoghi comuni
Romeni, Sinti, popolazioni Romanì, migranti, nomadi, perseguitati, parti di uno stesso universo, ma distanti e differenti tra loro, una umanità non convergente ma diametralmente. Come operatore sociale ho visto, ho ascoltato, ho toccato con mano il degrado umano, quello con l’alzo zero nei riguardi di una dignità colpita a morte. Come uomo della strada ho osservato il cambiamento indotto nelle persone dalla miseria, fino a farle diventare marionette in balia del più prepotente. Come cittadino abituato a leggere la realtà che vivo, non posso non obiettare per quella letteratura di sinistra, e quell’altra non meno deleteria di destra, che vorrebbero sindacare l’indicibile, che vorrebbero programmare il vuoto di valori, e progettare futuro, senza però fare i conti con il passato. Popoli migranti con tradizioni e culture, con il proprio carico di disperazione e violenza insita nei bisogni disattesi, popoli e persone non meno malavitose di altre, in guerra tra poveri non meno di altri. Fare sociologia di comodo è affermare che tutti i Romeni rapinano, che i Sinti sono tutti ladri, che i Rom sono l’ultima linea non più sanabile della convivenza civile, una etnia a parte, addirittura esclusa dai soliti esclusi. Forse è davvero così, ma i fatti di sangue che hanno scatenato la caccia all’uomo nomade o stanziale che dir si voglia, sono accadimenti gravi non perché commessi da un miserabile per giunta straniero, sono gravi perché si tratta di reati incomprensibili e quindi inaccettabili, sono gravi perché partoriti nel degrado, deprivato di ogni valore umano fin’anche il proprio nucleo famigliare. Quando a Napoli si legano e torturano a morte due anziani pensionati inermi per estorcere loro del denaro, e a Roma si violenta e si “butta via” a morte una donna indifesa, l’infamia è identica, e non cambia di una virgola, con la differenza che a Roma s’è scatenata la voglia pazza di rogo, mentre a Napoli s’è verificata poco meno di una alzata di spalle. Da uomo avvezzo al vicolo cieco, debbo dire che l’ingiustizia sta tutta nel dimenticare che non esiste preferenza o privilegio per quanti agiscono senza possedere neppure un vago senso della dignità, per quanti non conoscono traccia di compassione. E’ necessario sfatare i luoghi comuni, non cadere nella pratica del licenziare un problema, lasciandone aperti altri, peggiori, come l’accettazione di campi e baracche del crimine, o altre “periferie” esistenziali dove nascondere l’irripetibile. Risolvere la questione significa rimuovere le cause, forse occorre non rimanere indifferenti fino a quando la prossima tragedia ci toccherà nuovamente da vicino, forse occorre non consentire più forme di segregazione sociale, e fare accoglienza dove è davvero possibile, e costruire promozione umana nel riconsegnare autorevolezza alla norma scritta, quella che tutela la persona normale, con la propria dignità, e colpisce chi non s’adegua al rispetto degli altri.
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