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SUN TZU PING FA, OSSIA “L’ARTE DELLA GUERRA DEL MAESTRO SUN”

SUN TZU PING FA, OSSIA “L’ARTE DELLA GUERRA DEL MAESTRO SUN”
Novembre 19
15:09 2021

SUN TZU PING FA, OSSIA “L’ARTE DELLA GUERRA DEL MAESTRO SUN” E IL TAO TEH CHING, OSSIA IL LIBRO  “DELLA VIA E DELLA VIRTU’” DI LAO TZU.

“L’arte della guerra”, manuale pratico scritto dal generale e studioso cinese Sun-tzu (nasce nel periodo detto primavere e autunni 722-454 a.C.), è il primo trattato cinese di tal genere. La strategia, la tattica e l’astuzia, il cambiare se stessi, le polarità, il principio-guida, la previsione della sconfitta del nemico e la sua sconfitta a seguito della rapidità d’azione che priva della coscienza della sua sconfitta, l’ignoranza che conduce alla spontaneità nel combattimento, l’istinto più utile del sapere, la strategia del comandante che non deve essere conosciuta dal nemico e lo sfruttare non la propria forza ma quella altrui sono alcuni temi cardine che emergono dall’opera. Il comandante per Sun  non cede e va dritto allo scopo. Importante è conoscere sia se stessi, per capire i difetti, che l’avversario, per capire le carenze, e l’introduzione del concetto di essere senza forma: l’illusione di non avere una strategia, non fornire coordinate della propria posizione per illudere al fine di apparire, non mostrarsi  per celare l’essere e far impegnare l’avversario su altri fronti (distrarlo) per coglierlo poi impreparato. E poi la flessibilità: capacità di cambiare strategia come s’intuisce che il nemico l’abbia intuita. Una sequela di perle di saggezza emergono dal testo, come il considerarsi morti per acquisire sicurezza e dare il meglio, per non calcolare e non avere paura, il concetto di tutti per uno e uno per tutti e il mostrare la debolezza per poi far emergere la forza nel momento giusto, quando l’avversario ha mostrato la propria, facendosi erroneamente i calcoli sulla debolezza  e di conseguenza ha abbassato le proprie difese. Importante il concetto di trasformare un difetto in vantaggio come punto di forza se considerato nel giusto contesto. L’essere introspettivi: valutare gli eventi e approntare una reazione. Entrando nel testo, Sun afferma nella prima frase che “La strategia è l’affare più importante dello Stato” dove essa va pianificata, corretta ove occorre, esaminate le circostanze e la tattica che deve basarsi su “flessibilità, gerarchia militare e padronanza applicativa”. Naturalmente, occorre conoscere lo stato dei luoghi e la personalità del comandante avversario che se solido va combattuto, se forte evitato e attaccato quando impreparato. Poi, il tema dell’opposizione per opposti, ossia se collerico bisogna mostrarsi cedevoli e se è umile mostrarsi arroganti e se è pigro va affaticato. Per Sun l’autorità va controllata “a seconda dei vantaggi”. La famosa frase “La strategia è la via del paradosso”. Se si è forti, mostrarsi deboli, chi affabile, scostante, etc., la prospettiva di un vantaggio e “conquistatelo con la confusione”. La velocità operativa è fondamentale:  “Quando le truppe perdono vigore e lo spirito scema, le energie vengono meno e si esauriscono le risorse, gli altri signori feudali insorgono, approfittando di un deterioramento delle cose”. La consapevolezza degli effetti della strategia: vantaggi e svantaggi, il sottrarre i viveri al nemico e se fatto prigioniero trattarlo bene. Chi è il più abile in assoluto? Colui che “non da nemmeno battaglia e sottomette le truppe dell’avversario”, dove la strategia migliore fa fallire i piani dell’avversario.  Si attacca la fortezza solo quando è inevitabile. I comandanti non devono possedere l’ira o “verranno dispersi”. Senza nemici? Il profitto per Sun è totale. Se le forze del nemico sono inferiori, resistere all’attacco; se superiori, esso va evitato. La vittoria? Si basa su comandanti che “sanno quando dare battaglia, e quando astenersene”, sanno “impegnare la giusta quantità di uomini”, sanno “indurre ufficiali e subordinati a nutrire gli stessi desideri”, sanno affrontare “il pericolo con la giusta preparazione”, sanno “esercitare il comando, senza subire interferenze da parte del principe” e poi per non rischiare, occorre conoscere se stessi e l’avversario, se si conosce solo se stessi, a volte si vince e a volte si perde e se non si conosce neanche se stessi “ogni battaglia è un rischio certo”. La vittoria? “La capacità di vincere dipende da noi; la possibilità di vincere, dal nemico” e che “Quelli che non possono vincere devono resistere; quelli che possono vincere, devono attaccare”. Si vince quando non si commettono errori. Dove il metodo segue il rispetto della  valutazione, misurazione, enumerazione, bilancio e vittoria. Il consiglio di come governare la moltitudine è di governarla tramite la divisione e poi Sun individua due tipologie di attacchi: “diretto o di sorpresa” e, tra essi, ci sono infinite variazioni. Solo l’attacco diretto implica il coinvolgimento e comunque i due generi di attacco si generano a vicenda. Chi è esperto, fa muovere il nemico presentandogli “una configurazione tattica” e spronato dal vantaggio, il nemico si attiva. Non dare modo di far prevedere le mosse tramite una propria tattica, adottar una strategia che Sun definisce senza forma, adattare la tattica alle condizioni del nemico, quindi renderla flessibile, capire la strategia avversaria, ridimensionare e  non far capire “i motivi” che hanno permesso di  vincere il nemico. E poi? Si vince senza lottare semplicemente adattandosi. Disputando con il nemico, si apprendono “gli eccessi e i difetti”. La vittoria? “La vittoria può essere costruita”. Sun insiste sul fatto che la tattica si deve adattare alle situazioni e che quando si è nello stato “senza forma”, siamo inattaccabili poiché incomprensibili al nemico. Come la tattica, la strategia giusta è “conformandosi al nemico” e coloro che si conformano “alle trasformazioni e ai mutamenti del nemico” sono definiti spiriti. Le illusioni, le trappole e il controllo. Confidare nella propria forza per trasformare il vantaggio immaginato in reale e saper trasformare le asperità in opportunità e non portare oltre il limite le forze militari, la capacità di negoziare e la conoscenza del territorio nemico. E poi ad ogni comportamento del nemico un idoneo atteggiamento: veloce, lento, aggressivo, immobile, impenetrabile, irruento. I movimenti vanno decisi con “ponderazione e velocità.” Comprendere e anticipare. L’omogeneità della moltitudine come una persona sola. Energici e pronti mentalmente. Impegnare le truppe in base alla forza vitale della giornata: forza vitale da contrapporre a quella del nemico quando quest’ultima è minore. La prontezza della mente tramite gli opposti: con l’ordine si affronta il disordine, con il silenzio il clamore ed è vigore il trasformare le asperità in comodità come il disagio in comodità. Nel combattere, il vago deve essere preciso e saper trasformare uno svantaggio in vantaggio. Essere vaghi e presentare un vantaggio al nemico perché così si “manifesterà, e farà la prima mossa”. Per negoziare occorre conoscere i piani degli avversari e essere astuti: prospettare un guadagno. Non si insegue il nemico che “simula la disfatta” e “abboccare quando la strategia è un’esca”. Quando si predispongono i piani, occorre calcolare vantaggi e svantaggi e, nella tattica, invece di presumere che l’avversario non arrivi, “è meglio che stiamo ad aspettarlo”. I rischi del comandante: se ha probabilità di morire, rischia; se la probabilità è che viva, allora può essere preso prigioniero; se collerico, “può essere offeso”; se incorruttibile, “può essere oltraggiato”; se ama il popolo “può trovarsi in imbarazzo.” Quindi occorre che il comandante abbia delle possibilità oggettive a lui favorevoli e che sia equilibrato a livello psichico. Allontanarsi per far avvicinare il nemico. Se il nemico chiede tregua senza condizioni, sta elaborando un piano, se si muove velocemente e spiega le truppe ha una scadenza e se metà guarnigione avanza e l’altra si ritira sta tendendo un tranello. Quando gli uomini si riuniscono, disapprovano e insinuano significa che hanno avuto perdite, la situazione tesa si ovvia con le elargizioni e con le punizioni quando si è in difficoltà. Se si è in preda all’ira, domina la stanchezza. Gli ordini impartiti con la cultura, sono come quelli “impartiti in base alla forza militare” e gli ordini semplici mirano ad istruire il popolo e quelli complicati no. Ordini semplici e sinceri “partecipano delle acquisizioni del popolo.” L’umiltà e il nemico avanza; parole dure e irruenti implicano il nemico che si ritira. Osservare i fatti e  capire oltre le apparenze le intenzioni.  Le forze in campo possono essere equivalenti, il comandante è forte e le truppe deboli o viceversa e, se si è “irosi e intrattabili”, allora “le truppe affronteranno il nemico con risentimento”. Inoltre, il metodo viene comunicato in maniera efficace se si è forti e di rigore. Bisogna conoscere il luogo. Vittoria certa? Conoscere “l’altro e se stessi”, il terreno e le condizioni: bisogna essere consapevoli, irraggiungibili e attaccare i punti indifendibili  dell’avversario. Sul terreno competitivo, non attaccare per primi, sul terreno dove ognuno combatte per il proprio interesse, “non dare battaglia”, sulla leggerezza, dare battaglia, quando ci si avvicina, non bisogna indugiare, chi ha conquistato tutti gli altri favori, negoziate, se l’avversario conquista terreni, saccheggiate le sue risorse, sul terreno accidentato, pieno di ostacoli, muoversi continuamente, su terreno angusto e se si è in difficoltà, occorre  elaborare un piano, dare battaglia se dalla rapidità “risulta la sopravvivenza” e dal protrarsi la distruzione. Eliminare dubbi e paura. Cambiare azioni e piani per impedire all’avversario di “stilare progetti” e poi l’unicità organica delle truppe, la rettitudine (controllo) e il silenzio del comandante. Chi è in emergenza ubbidisce e chi non ha alternative combatte, chi è assediato resiste e chi non conosce i piani non è in grado di negoziare. Il timore referenziale per scoraggiare l’avversario a trattare. Flessibilità nell’impartire ordini. Il fingere di “conformarsi alle intensioni del nemico” e poi “ricacciarlo da un’unica posizione” per neutralizzare il comandante. L’uomo abile? E’ colui in grado di “realizzare i propri doveri”. Penetrare lo spiraglio lasciato dall’avversario. “Un sovrano illuminato fa progetti; un buon comandante li coltiva.” Niente vantaggio o risultato implica inattività e  “A meno che non siate in pericolo, non date battaglia.” L’ira per i sovrani e l’indignazione per i comandanti non devono essere la base del ragionamento per dar battaglia secondo Sun. La vittoria richiede tempo e sacrificio. Chi non conosce le “condizioni del nemico” e ricerca vantaggi propri, è privo di solidarietà e, pertanto, non si può comandare né coadiuvare. Il tema della “precognizione”, dove si è in grado di prendere decisioni e vincere l’avversario. Per Sun, se si conoscono le condizioni del nemico è più facile “sottometterlo”. Conoscere le mosse in anticipo dell’avversario è fondamentale. C’è anche il tema servizi segreti: interni e del controspionaggio da sfruttare e per quelli “letali” bisogna preparare “informazioni ingannevoli” inerenti le nostre attività. Si è illuminati quando si è valorosi.

Sun Tzu sembra ispirato dal Tao  che, secondo tradizione, il fondatore  è Lao Tzu (VI sec. a.C.). Ora, nel Libro del Tao teh ching, è riportato che “Non essere è il nome che diamo all’origine del cielo e della terra, essere è il nome che diamo alla madre di tutte le creature.”  Quindi: “Di ciò che sempre non è/ ora vedremo i portenti./di ciò che sempre è/ora vedremo i confini”, definendo oscuro “la porta di tutti i portenti”. Un passo è importante, in cui si afferma che nel governare il popolo, bisogna svuotarne la mente e “riempiendone il ventre, indebolendone la volontà e rafforzandone le ossa, facendo sempre sì che il popolo sia senza sapere e senza desideri, e che coloro che sanno non osino agire.” Consiglia di tenersi nel centro, nel pensare bisogna cercare la profondità, nei rapporti l’umanità, nel parlare la sincerità, nel governo l’ordine, nel lavoro la capacità e nel muoversi il momento opportuno. Definisce la “virtù oscura”, tra le altre cose, il “far crescere ma non dominare”. Il caos è “immagine dell’indeterminato” e il filo della vita la “via dell’antichità per guidare l’esistenza di oggi”. I buoni maestri sono “elusivi, sottili, profondi e penetranti” e quindi esitanti, circospetti, riservati, instabili, solidi, ampi, torbidi. La calma è fondamentale, portare “il vuoto all’estremo”, dove tornare alla propria radice implica la quiete. E poi l’essere naturale, semplice e  parlar bene significa non insultare. L’uomo capace? Risoluto ma non violento e non arrogante. Chi conosce gli altri è risoluto,  illuminato se conosce se stesso e forte se vince se stesso. Come si indebolisce? Rafforzando. La virtù superiore “non fa e non ha fini. La virtù inferiore fa e ha fini… La giustizia superiore fa e ha fini.” La gloria suprema? E’ senza gloria per Lao. L’insegnamento difficile è quello senza parole e chi “sa fermarsi è senza pericolo”. La colpa più grande? Assecondare i desideri. “Con lo studio ogni giorno si aumenta” e “L’impero si conquista sempre senza darsi da fare.” L’essere illuminati, per Lao, è vedere il piccolo e la flessibilità implica essere forti. Inoltre, il conoscere l’armonia è norma e conoscere la norma è illuminazione. L’oscura uguaglianza? Se sai non parli e se non sai si, sbrogliare i grovigli, attenuare lo splendore…ed è inaccessibile al vicino, lontano, al profitto, alla perdita, all’onore e al disprezzo. E poi  “più si pubblicano leggi e decreti, più ladri e banditi ci sono” e “Se il governo ficca il naso dappertutto, il popolo è pieno di difetti.” Quando si può possedere un regno? “Quando nessuno conosce i propri limiti”, ossia quando niente è impossibile. Ci si abbassa per conquistare. Il risentimento va ricambiato con la virtù, progetta dal suo facile il difficile, raramente mantiene la parola chi promette alla leggera, “Chi trova tutto facile incontra molte difficoltà”, il progetto facile di ciò che ancora non c’è e “Trattalo quando ancora non c’è”, mettendo ordine quando ancora non si è manifestato in disordine. Lao chiama la “virtù oscura” chi tiene il popolo nell’ingenuità e nell’ignoranza (per governare facilmente) giungendo così alla grande conformità. Il saggio non contende, non è belligerante e iracondo se vuole risultare vincente. Non prendere alla leggera l’avversario, ” fare l’ospite e non il padrone. La saggezza suprema? “Sapere di non sapere”. Il saggio “fa, ma non ci conta; a opera compiuta, non vi si sofferma, né desidera mostrare il proprio valore. “Chi è capace non discute, chi discute non è capace.” La via del saggio è “fare ma non contendere.”

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