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Toponomastica

Novembre 18
16:20 2010

Il consigliere della maggioranza aprì il faldone delle proposte e si sollevò un mucchio di polvere così denso che fece starnutire il geometra Russo.

“Anche stavolta non abbiamo deciso niente; ci sono cose ben più importanti da trattare, non possiamo portare questo punto anche al prossimo Consiglio comunale” intervenne l’assessore.

Gli altri partecipanti si guardarono intorno e a stento riuscirono a mantenere il consueto aplomb che li caratterizzava durante le assemblee; ci pensò il ragioniere Lucenti a spezzare l’imbarazzo e a ristabilire le priorità dell’ordine del giorno:

“colleghi…la questione può sembrare banale ma vi assicuro che non lo è: scegliere a chi intitolare la piazzetta che abbiamo decretato in bilancio ha ripercussioni politiche e sociali da non sottovalutare. In lizza, come sappiamo, ci sono tre nomi: Arturo De Nori, conte di San Pennuto e nonno di Agostino, attuale tenutario dei terreni dietro il camposanto…”

… “e non possiamo che intitolarlo a lui” lo interruppe bruscamente il maresciallo Sorviero, pensionato eletto consigliere comunale dopo trentacinque anni di onorata carriera nell’Arma.

“Ha un nome importante e per la nostra cittadina è stato un benefattore”

“Un benefattore di se stesso, visto che si è impossessato di una bella fetta di terreno demaniale per la sua azienda vinicola!” lo ammonì il geometra Russo.

“Faccia il piacere, lui ha solo rivendicato quello che era un suo diritto!”

La discussione andò avanti per un bel po’e, fra discriminazioni di partito e antipatie personali, il clima divenne ben presto arroventato.

Il direttore fu più volte costretto a riportare l’ordine, la tensione era alle stelle, nessuno ricordava un’assemblea comunale così vivace da parecchi mesi, tanto più che a molti la questione sembrava secondaria.

Alle dodici e trenta l’assessore ai lavori pubblici si ricordò di avere fame e aggiornò la seduta nel primo pomeriggio, non prima di aver ricordato agli altri partecipanti gli altri due nomi in lizza per il nome della piazzetta: “Norberto Filigrana, scultore e Domenico Fischiutti, archeologo morto due decenni fa che aspetta ancora un riconoscimento dalla cittadinanza: sei anni fa doveva essere una via, poi l’ex giunta aveva deciso di intitolargli un parco, adesso la vedova mi supplica di dare il suo nome alla piazzetta!”

Il pomeriggio, manco a dirlo, il dibattito fu ancora più aspro; il maresciallo Sorviero, affezionato ai vini del De Nori brindava idealmente affinché la piazzetta fosse destinata al conte defunto, il geometra Russo tendeva per il Filigrana, tutti sembravano avere un cavallo sul quale puntare, un consigliere propose il gioco delle tre carte, l’assessore era stizzito: “dove cavolo lo metto il Fischiutti?”

“Lascialo sottoterra e basta” rispose a tono uno che propendeva per il conte, “se ne andava nelle viscere della terra da vivo e adesso, da morto, vuoi innalzargli il nome a guardare dall’alto la piazza?!”.

Il Sindaco, informato dei fatti, prese a cuore la questione e, in prima persona, decise che avrebbe fatto una ricerca sulla toponomastica della cittadina che governava. Sarebbe stata una buona occasione per decidere finalmente una cosa senza dover fare impicci, senza promettere favori a scaltri imprenditori in cambio di voti e senza giocare sporco.

“Almeno questa cosa voglio farla pulita” pensò fra sé.

Già il pomeriggio tardo si mise all’opera e tirò giù l’elenco di tutte le vie e le piazze di San Pennuto e scoprì di aver messo insieme un calendario: Via venti settembre, viale primo maggio, piazza venticinque aprile.

Poi, ad un ulteriore esame si rinfrescò la memoria con un’ imbarazzante sfilza di personaggi storici: Via Luigi Pirandello, Piazza Giordano Bruno, Via Antonio Meucci.

Infine, su un’altra cartina lesse i nomi di località, italiane e non: Via Roma, Viale Liegi, Piazzale Venezia.

Il sindaco si accorse allora che tutta la sua cittadina altro non era che un tributo a personaggi famosi e defunti, a località e a date più o meno storiche. Nel buio della sala si stropicciò il naso e pensò che fosse triste dedicare piazze e vie a qualcuno e a qualcosa di statico e fermo come potevano esserlo appunto una data, una città, un personaggio che, per quanto famoso e importante, fosse però defunto.

Con un senso di apatia addosso si mise il cappotto e cominciò a girovagare per San Pennuto, che pure conosceva a menadito, nel tentativo di trovare qualcuno o qualcosa che gli ispirasse movimento e vitalità.

Incontrò signore intente a fare la spesa al mercato coperto, bambini rincorrersi al parchetto di un condominio, cani randagi litigarsi un osso ormai completamente spolpato.

Tutto gli sembrò scorrere normale; in fondo la vita era questo, niente di più, niente di meno. La toponomastica della sua città era quella perché quella era la toponomastica di tutte le altre città del mondo: personaggi famosi, date che si ripetevano e nomi di altre città con gli stessi nomi dedicati agli stessi personaggi famosi e alle stesse date.

Un circolo che si ripeteva all’infinito, con le stesse date di sempre e che finiva però sempre nel passato di personaggi già morti.

Niente slanci, nessuna novità,

“In fondo” pensò il sindaco “tutto è destinato a ripetersi e a morire. Per sempre. Ripetersi e morire. Per sempre.”

Risalendo la scalinata con la testa china pensò che anche la sua carriera politica seguiva questa legge: scendere a compromessi per essere eletto per poi sporcarsi le mani e continuare ad essere eletto. Per sempre.

Giunto agli ultimi scalini alzò la testa per vedere quanti ne mancassero e, sul muro che costeggia la scalinata, vide una scritta che lo lasciò senza parole: PINCIO L’HAI AMATA TROPPO.

Che frase meravigliosa! Che solidarietà, che emozione!

Alla lettura di quella dedica nella mente del sindaco si aprì una tempesta di possibilità e avvertì un senso di effimero e di precario che però anziché turbarlo lo esaltò.

Chi era Pincio? E chi era la donna amata? Perché lei non lo aveva considerato? E poi…amata troppo?? Ma si può amare troppo?? Non era questo un paradosso? E ancora, i suoi amici: quale solidarietà, quale senso di amicizia dedicare quella frase ad uno di loro, che idea quella di fargli sentire la loro vicinanza quando invece tutto sembra irrimediabilmente perduto, lontano e morto. Per sempre.

In quel momento il sindaco ebbe chiara la sensazione di avere finalmente uno scopo. Era la prima volta da sette anni a quella parte che si sentiva così proteso verso qualcosa, verso una cosa che sentiva viva dentro di sé, altrochè tangenti e favori da fare a destra e a sinistra, adesso sì che era motivato, ora voleva sapere chi era Pincio, chi la sua donna amata e quale strano percorso aveva portato i suoi amici a scrivergli quella dedica sul muro.

In città c’erano tante altre scritte ma la maggior parte erano di carattere politico o calcistico:

FORZA NUOVA

NOI UNO SCUDETTO, VOI UN BUCO NEL PETTO

PITBULL LIBERI

Dopo una bella passeggiata l’unico altro indizio che riuscì a cogliere fu la scritta sullo schienale di una panchina di legno verde, ormai deteriorata dalla pioggia e dal tempo: PINCIO E SERENA, 09-03-1990

“Millenovecentonovanta??” rimase di stucco.

Dal millevonecentonovanta erano passati qualcosa come quindici anni!! Come era possibile rintracciare Pincio, che tra l’altro era uno pseudonimo, dopo così tanto tempo?

Seguirono alcuni giorni di delusione, il sindaco non era più convinto di riuscire in quell’impresa di ritrovare i due amanti, di conoscere il perché della dedica.

I primi giorni di dicembre però, ecco l’idea; la panchina con la scritta era proprio davanti al liceo scientifico statale, probabilmente era stata fatta da due giovani amanti che nel

millenovecentonovanta frequentavano quella scuola.

Con l’aiuto dell’assessore all’istruzione ma soprattutto con la complicità dello storico bidello Elio riuscì a farsi dare un elenco di tutti gli studenti che in quell’anno frequentarono il liceo. Non fu poi così illuminante perché in quell’anno risultarono frequentanti, nelle cinque classi e nelle rispettive sei sezioni, ben settecentocinquantadue studenti.

Le ragazze di nome Serena erano ventitrè; ritrovarle tutte e riuscire a ricostruire le loro storie sentimentali del liceo dopo quindici anni sarebbe stata un’impresa epica e destinata a fallire.

Scendendo verso la piazzetta simbolo della sua cittadina, il sindaco si sentì spaesato; in tutta la sua carriera di amministratore era stato bravo a far costruire case, a fare voti di scambio, a chiudere gli occhi su pratiche occulte, ma non era riuscito a capire il disagio di un suo giovane concittadino, quel Pincio che, inascoltato, aveva amato troppo una ragazza. Erano stati i suoi amici a doverlo esprimere con uno spray nero su un muro intonacato.

Gli sembrò che non solo la sua, ma tutte le vite di San Pennuto fossero banali, limitate e intrappolate in un circolo vizioso dal quale nessuno poteva più uscire; tutte le strade, tutte le piazze, ogni viale era parte di un labirinto dal quale non era possibile uscire e l’unica soluzione era morirvi dentro. Le vie dedicate ai grandi personaggi immortali, le date che continuavano a essere ricordate e che ritornavano continuamente anno dopo anno, giorno dopo giorno, passeggiata dopo passeggiata, e ancora i nomi di altre città, come a voler dire che neanche altrove c’è soluzione, in nessun altro luogo.

La toponomastica di San Pennuto diceva proprio questo: dappertutto e per sempre le vite di tutti, personaggi storici compresi, non sarebbero state altro che quello che si vedeva in quel labirinto di anime e strade. Bambini che si rubavano la merenda, nonnine che andavano dal parrucchiere, commercianti che cercavano di rubare sul resto da dare e sindaci corrotti.

Tutti gesti banali, tutte cose già viste in altri luoghi e in altre epoche.

Il sindaco continuava a camminare con l’aria sempre più stanca e l’espressione tesa, pensò che non sarebbe mai riuscito a purificarsi, l’unico gesto di una certa sensibilità che esulava dalla normale quotidianità e tradiva una certa fretta di fuggire era quella scritta – PINCIO L’HAI AMATA TROPPO – una scritta di cui però non si conosceva né il mittente né il destinatario e nemmeno il motivo.

Trovare anche solo uno di questi tre elementi era una sfida a tutto; il sindaco voleva dedicare la piazzetta a quel Pincio, finalmente San Pennuto avrebbe avuto un luogo con un nome diverso dalle solite date, dai soliti personaggi immortali comunque morti e da altri luoghi con gli stessi nomi.

Fermare il labirinto toponomastico voleva dire questo; dare la possibilità a chiunque di esserci. “Basta ricordare continuamente che il venticinque aprile torna sempre, che Guglielmo Marconi è morto pur essendo immortale; basta far sapere a tutti i cittadini che la vita è tutta qui in questi gesti di normale apatia e di tollerata corruzione, che non c’è speranza perché a Bologna è uguale, a Roma pure è così e anche a Siena e a Pavullo nel Frignano!”.

Serviva un gesto diverso, i cittadini dovevano sapere che era possibile cambiare, bastava loro dare un segnale.

Scendendo ancora verso il parchetto comunale il sindaco stava ancora pensando alle possibilità di ritrovare Serena o Pincio, da buon ragioniere qual era fece un rapido calcolo e considerò che ritrovare da qualche parte uno dei due dopo tutto quel tempo sarebbe stata una casualità troppo fortunata.

“Date e luoghi! Ancora loro!” pensò preoccupato; “possibile che non ci sia davvero una via di fuga da questi elementi?”. Voltò poi per Via Meucci, guardò in alto il cielo, Meucci era morto da almeno cent’anni ed era ancora lì: “Date che ritornano, luoghi da altre parti e morti immortali, non c’è via di scampo!”

In quel preciso istante il sindaco perse il controllo, scivolò rovinosamente sul fondo fangoso e battè la testa; lo ricoverarono in prognosi riservata all’ospedale della vicina Abbia Longa.

I gesti di solidarietà e di partecipazione non mancarono, la maggior parte di essi venivano però da faccendieri e palazzinari appoggiati nei loro malaffari dal sindaco stesso.

Dopo un paio di mesi, quando si riprese, ebbe la malaugurata idea di farsi una passeggiata per la sua cittadina e senza un’ombra di stupore vide che la piazzetta approvata aveva finalmente un nome: piazza Arturo De Nori – Conte -.

Il sindaco fece un sorriso beffardo, nel pomeriggio annunciò le dimissioni e la sera stessa assunse i panni di chi per tanti anni aveva combattuto. Dileggiò quella targa e al suo posto ne mise una che aveva fatto fare lui e sopra c’era scritto: Piazza Pincio – Innamorato -.

Mentre issava l’incisione di marmo fu sorpreso da una guardia notturna che non potè fare altro che arrestarlo e denunciarlo per atti vandalici verso un’opera pubblica.

Il sindaco a quel punto ci tenne ad essere ancora una volta più preciso: “Ma quale atto vandalico?! Arrestatemi per azione sovversiva, quello era il mio intento!”

Il sindaco fu ricoverato invece in una casa di cura, tutti pensarono che dopo la caduta avesse dato di matto, mentre la piazzetta mantenne l’iscrizione a Pincio, giovane innamorato fuggito da qualche parte tanto tempo fa.

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