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ACEA è sempre stata un’azienda d’eccellenza, un fiore all’occhiello dell’economia cittadina che meritava, sin dal ’95, non una privatizzazione, bensì una riorganizzazione, un management diverso capace di razionalizzarne ed efficentarne la gestione, non certo a scapito dei lavoratori, come è avvenuto in questi anni, né tantomeno, di figliare ben 56 aziende di II livello la cui mission non è chiara a neppure al Comune di Roma azionista di maggioranza. La trasformazione in S.p.a. non ha raggiunto certo gli scopi suddetti, tutt’altro, lo confermano gli incidenti accaduti in questi anni, una rete idrica colabrodo, il sistema di appalti e subappalti, il malessere manifestato dai lavoratori, le assunzioni proliferate ai livelli alti cui fa da contrappasso l’ingresso del lavoro precario. Una situazione peggiorata da quando,qualche anno fa, si decise di consentire il possesso di pacchetti azionari più cospicui in mano a singoli proprietari, uscendo così dalle logiche della pubblic company. E’ ormai da qualche anno, e accadrà anche in questo, che a fronte di utili ridistribuiti agli azionisti il Comune di Roma impegna cospicue risorse per investimenti. Un meccanismo che, qualora la quota azionaria in mano pubblica dovesse diminuire, potrebbe tradursi nella classica “socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti” sempre in auge in Italia.
ACEA ha solo bisogno di un management – che al momento non sembra profilarsi all’orizzonte – capace e indipendente dai poteri politici ed economici, della città e non di ulteriori processi di esternalizzazione.