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Anni ’60, una breve stagione felice – 2

Anni ’60, una breve stagione felice – 2
Agosto 13
15:45 2011

I nati negli anni ’60 trovarono un mondo in piena rivoluzione. Sorgevano intorno alle grandi città agglomerati urbani alla rinfusa, colorati e vocianti e affollatissimi di emigranti interni, che avevano lasciato il paesello e il campicello per raggiungere comunità di compaesani già inseriti nel nuovo contesto, pronti ad aiutarli a trovare lavoro e a farsi casa. In queste distese periferiche disseminate di casermoni e borgate in via di espansione, la gente viveva una stagione felice, ricca di promesse a breve e a lungo termine. Già lontani nel tempo la tragedia della guerra e i patimenti del dopoguerra, si ripartiva alla grande nella bella Repubblica fondata sul lavoro e tutelata da una carta costituzionale posta a salvaguardia di tutte le categorie, a partire da quelle più deboli.
Su quel periodo della nostra storia tutto è stato detto e ridetto, e forse a saperne di meno sono proprio i protagonisti d’allora, che non si facevano troppe domande mentre faticavano a tirare la carretta, e non se le fanno oggi – quelli che sono rimasti – che tirano solo a campare.
I figli degli anni ’60, che sono i cinquantenni di oggi, rappresentano la prima generazione di un periodo lungo di pace, mai conosciuto prima; al contrario dei loro genitori, che il secondo conflitto mondiale se lo erano vissuto in pieno o di striscio, riportandone segni più o meno vistosi, essi sentirono solo parlare della guerra, in un momento in cui era ferocemente contestata da movimenti nati pacifisti e presto diventati violenti. Tra questi i Figli dei fiori, nomadi per vocazione, coi vestiti sgargianti arrangiati possibilmente a mano con tessuti naturali, carichi di braccialetti e collane di perline, capelli lunghi e bandana, e un rifiuto implacabile contro il tipo di società che non accettavano e non li accettava, “liberi nel vento” del cambiamento radicale, decisi ad abbattere ogni tabù e restrizione, e ritornare a vivere come nel Giardino dell’Eden, con la stessa primitiva innocenza. Nudisti e naturisti facevano proseliti che poco distinguevano i diversi principi di tali movimenti, ma li abbracciavano in toto, e dalla castigatezza dei costumi imposta fino ad allora con severità e rigore – erano previste pene per oltraggio al pudore – si passò al nudo integrale corredato da coroncine e collane di fiori, e ad aggregazioni di naturisti che non portavano nemmeno la foglia di fico. Tutto questo si vedeva in televisione, nei film e in fugaci apparizioni nella vita reale, suscitando le più disparate reazioni e una forte curiosità verso tanta stravaganza.
La musica di quegli anni è rimasta leggendaria. In sottofondo, come “un vento costante”, Bolwing in the wind di Bob Dylan e Imagine di John Lennon (considerata la canzone del secolo) veri inni alla pace e all’armonia universale. Il concerto di Woodstok nell’agosto del ’69, in cui si esibì per ultimo Jimi Hendrix, fu un evento mitico, irripetibile. Ma fu anche il canto del cigno, le droghe facevano il loro effetto, minando giovani vite e inquinando ideali.
C’erano allora tante attività commerciali a conduzione familiare, e diverse botteghe di artigiani che duravano finché reggevano i vecchi titolari, ai quali raramente subentravano i figli. I negozi erano piccoli empori dove si poteva trovare poco di tutto, e punto d’incontro per utili scambi d’idee. Ancora non si andava di fretta, e si abbordavano ragionamenti complicati senza approdare a vere e proprie conclusioni, ma toccando numerosi spunti sui quali riflettere. Gli argomenti di conversazione vertevano sui problemi locali – mancanza di strade e di fognature, traffico in continuo aumento, speculazione edilizia e politica – ma si affrontavano anche argomenti delicati come l’educazione dei figli, il rapporto di coppia e i rapporti in generale, che prendevano una piega nuova.
Troppe novità ci piovevano addosso lasciandoci esterrefatti. Si stentava a credere che l’uomo fosse arrivato sulla luna, che in un posto chiamato Vietnam si combattesse una guerra lunga e sanguinosa, che in Medio Oriente si risolvesse una guerra in soli sei giorni, che le bombe scoppiassero pure in casa nostra, facendo strage di innocenti.
Tutto ci arrivava dalla tv all’ora dei pasti, ma bastava attendere la fine del telegiornale per rientrare nel bello della vita, che molto prometteva.
Ma già un leggero malessere s’insinuava nella “società del benessere”, frustata da una pubblicità martellante che incitava a correre e a consumare secondo le leggi di mercato. (continua)

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