Notizie in Controluce

 Ultime Notizie

Una bottiglia d’acqua

Settembre 15
09:55 2012

I treni, oltre essere considerati comuni mezzi di trasporto, hanno un fascino particolare tale da scatenare qualcosa di indefinibile dentro di noi, sia a livello conscio che inconscio.
Quante scene tratte da film abbiamo visto in prossimità di una stazione, inspirare l’atmosfera gelida di chi saluta dal marciapiede e spezza l’imbarazzo con l’argomentare, diventato in quel momento difficile, per confessare il proprio affetto in un crescendo di emozioni, un po’ represse, un po’ manifeste.
La partenza spesso promuove questa sensazione al dichiararsi, senza attendere risposta, voltando le spalle per non udire, per paura del diniego.
Cordoni ombelicali che si debbono staccare nonostante la volontà desiderosa di poterli riannodare.
Stasera tocca a me calarmi nel personaggio di chi saluta. Co-protagonista di questa storia è mia figlia in partenza per città distanti, da raggiungere per lavoro.
Il carico di bagagli è quasi il doppio di quello che aveva preparato due giorni prima, per questo decido di alleggerire il suo peso e di usufruire della sua compagnia ancora per un’ora. Questa la scusa ufficiale per accompagnarla…
I negozi sono già pieni di luci pre-natalizie e ti invitano a entrare.
Noi donne, pur se cariche di bagagli, abbiamo la curiosità che ci avvolge come un cioccolatino tentatore e scatena quella voglia di shopping, che penso non si perderà mai, neppure nelle generazioni future.
L’orologio della stazione segna il pugno di minuti che mancano alla partenza.
Ci affrettiamo. La mia preoccupazione è quella di rifornire mia figlia di una bottiglia d’acqua che accompagni i panini preparati in casa.
Non è possibile acquistarla da quelle macchinette infernali, che non ti restituiscono i soldi, oppure ti costringono ad affannarti per cercare la bevanda scelta nella buca…
Cavolo! È tempo di andare: valigia e buste varie salgono gli scalini, guidate dalle nostre mani. Posto a sedere assicurato!
La gente nel vagone già si nasconde dietro un giornale oppure armeggia con il PC o risponde al telefonino per fissare appuntamenti d’affari all’arrivo, o per saluti accoppiati a promesse più o meno vaghe.
L’acqua! Mi torna in mente come un fulmine. Scendo, bacio mia figlia che cerca di convincermi dell’inutilità della mia preoccupazione… la prenderà alla carrozza ristorante, mi rassicura.
La mia ostinazione nasconde qualcosa che mi sfugge e che capirò solo più tardi. Per ora l’autodiagnosi mi suggerisce che la “saudade” ha preso il sopravvento su me.
Acquisisco un atteggiamento falsamente sorridente e mi avvio, quasi di corsa, altrimenti parto anche io.
Mi affretto verso il primo distributore, riesco a prendere la famigerata bottiglia e seguo, con la stupida convinzione di poter fare qualcosa, quella freccia rossa che sta sfuggendo al mio sguardo. La realtà del distacco rappresenta l’impotenza sottobraccio all’inutilità, come quella di poter consegnare una semplice bottiglia d’acqua, ancora un piccolo segno d’amore materno.
Rimango come un’ebete, non riesco a muovere le gambe in senso antiorario, fino a quando quel maledetto punto rosso non svanisce nel buio.
Apro la bottiglia e comincio a bere, come fosse un potente liquore che mi aiuti a cancellare la frustrazione del flash appena vissuto.
L’assenza prolungata, a volte, fa perdere il sapore del realismo quotidiano; sostengo questa ipotesi facendo leva sulla potenza dell’autoconvinzione.
Cerco un treno per il ritorno. Non vedo nulla; la domenica l’orario cambia e tutto viene sovvertito dal caos dei giorni di festa, dalla mancanza di personale a cui chiedere un’informazione.
Controllo il cartello luminoso: treni inesistenti, binari vuoti, nasce il “quid” per ricondurmi a casa. Arrivo finalmente in fondo alla stazione, lo spirito d’avventura si è impossessato di me. Sono il Cristoforo Colombo del caso? O davanti a un miraggio color del deserto?
Trovo il trenino giusto. Nel contempo giunge un messaggio di mia figlia, in cui elogia la bontà dei miei panini casarecci e scrive: “Sei fortissima.”
È decisamente inaspettato questo mio crollo psichico, che forse covava come una gallina, l’uovo della tristezza; il senso di vuoto sul binario morto, lo sgradevole odore di una stazione sporca e indecente per una città come Roma.
Forse tutte scuse opinabili, persino per quelle lacrime che mi scorrono fino allo stomaco. Molti giovani allievi cadetti occupano posti vicini al mio e mi osservano con borghese discrezione.
Mi chiedo dove sia finita la mia sicurezza. Nel nuovo libro da me scritto, c’è una poesia dal titolo “Dignità di un pianto.” Fragilità che sposa un attimo di estrema debolezza.
Spira con forza il vento del distacco, dovrei considerare la parte più brutta ed eterna di questa parola, dovrei analizzarla, grammaticalmente, logicamente, invece di cercare di nascondere i goccioloni che senza il mio permesso continuano a cadere.
Come il fiore di loto galleggia e scivola nello stagno, in me rivive, nelle sembianze di un’immagine mai dimenticata, mio padre che saluta il mondo.
Ricordo che gli chiesi aggrappandomi alla sua mano “Non mi lasciare.”
Il silenzio del suo abbraccio, quel silenzio particolare, assunse la forma di due strade che si divergono.
Vorrei fuggire da quel trenino e passare attraverso i campi illuminati dalla bella serata lunare: mi sento in trappola, già in trappola simile al ritorno da una città dove su un altro scompartimento era seduta un’altra fra le separazioni più dolorose.
Mi chiedo ancora oggi quanto abbia imperato la superficialità, la mancanza di comprendere il prossimo o il gioco delle parti ragionato.
Eppure piangevo, dandomi della cretina, per un affetto così grande strapazzato, sottovalutato. I percorsi diversi allora, come oggi, non riuscivano a ignorare il mio dispiacere profondo. La perseveranza dei miei sentimenti non ascoltava le mie ragioni. Mi accorsi che la presenza di un fazzoletto era necessaria. Un finto raffreddore si può simulare davanti a domande curiose di qualche vicino di viaggio…
Domenica sera idiota! Con chi sfogarsi? Nessuno, o quasi, capirebbe. Le foglie morte schiacciate dal destino, o una semplice bottiglia d’acqua per fermare chi ti sfugge, per terrena approvazione, chi ti lascia a causa dei capelli troppo bianchi, chi frusta la tua schiena per distruggere un tenero virgulto.
Ricordo il romanzo di una nota scrittrice contemporanea, il cui contenuto è focalizzato su un treno e sulla storia di una ragazza che, attraverso questo mezzo, va a cercare un suo amico dichiarato morto in battaglia durante la seconda guerra mondiale… non posso svelare altro; solo pensare a quante storie, personaggi, immagini, mutamenti, possa provocare un lungo pezzo di ferro colorato e a quante storie conosca.
Potrebbe essere paragonato a un’enorme biblioteca da sfogliare. Il tratto di strada, che mi separa dalla stazioncina locale a casa, è breve. Mi ferma un ragazzo amico, proprietario di un bar, invitandomi ad assaggiare i suoi aperitivi.
La mia testa si muove nel no deciso. Come Pollicino spargo briciole amare prima di entrare a casa. Sono stressata. Ancora un messaggio sul cellulare che mi segnala rosso… Anche lui… Non si accende mai il verde per me? No, scatta improrogabilmente solo per i mezzi di trasporto e questa sera assumo anch’io quel sapore umido della notte, di vapore acqueo che vola con l’unico mezzo possibile: la rimembranza leopardiana.
Sono passati appena dieci minuti da quando sono entrata in classe, la mia seconda B di liceo linguistico.
Tutto il revival l’ho vissuto in questi sgangherati istanti. È Lunedì, la scuola riprende!
Ieri è ancora oggi per me e devo sopportarlo attraverso quel torpore che costante, confonde l’atteggiamento ideale per far sentire la mia presenza “in toto.”
Ritengo sia ora di tornare e riprendere il mio ruolo di “prof.” La classe mi fissa e aspetta… silenziosa e rispettosa.
“Ebbene ragazzi, oggi vorrei parlarvi delle ” Rimembranze”del Leopardi, come avevamo accennato la scorsa settimana. Prendete il libro alla pagina trecento.
“Tu, Nerina, comincia a leggere, poi seguirà la spiegazione.”
Nello scorrermi dentro quelle parole, quei significati, di nuovo, sono per me eterno conflitto e contraddizione. Rivivo la sera precedente e seguo come un automa la lettura scorrevole, fin troppo, che trapassa la rievocazione così simile alla mia.
Il livello emozionale aumenta insieme allo stupore che gioca con i versi leopardiani.
Un tunnel d’aria risucchia, con la sua potenza, il pulsare delle mie sensazioni così recenti e la nostalgia degli accenti che avevo messo la sera prima, si ripresenta con prepotenza.
La lettura è terminata attraverso un silenzio che mi riporta alla realtà del momento. Voci come ronzii nella testa mi chiedono il commento. L’immagine degli sguardi in attesa, annega il “revival” che mi ossessiona.
Nerina, che ha letto “Belle stelle dell’Orsa”, sorride e con lei i suoi giovani coetanei… la classe, la mia classe.
“Sapete ragazzi”, esordisco, “la vita non è sempre una festa…”. La campanella di fine ora suona, ma io parlo ancora e ancora, senza pudore, con la certezza che il mio vissuto, comparato a quello leopardiano, possa dare loro una visione migliore.
Sono le dieci! Mia figlia sarà sicuramente arrivata a destinazione. Le figure concrete ed evanescenti continuano a parlarmi d’amore filiale e d’amore terreno, mi sento irrazionale, ma non ingannata dalla purezza di una lezione pragmatica.

Ricordo, da reminiscenze di vaste letture, Oscar Wilde raccontare al portiere di un albergo che tutta la notte aveva vegliato una viola del pensiero, poiché aveva i petali reclinati, scuotendo la sua immensa pena. Ma tutti sappiamo quanto fosse importante per Oscar Wilde stupire!
Sorvegliare il mio giardino interno è per me indispensabile, affinché non debba passare notti in bianco che mi tolgano la bellezza di un cielo notturno e mi privino o spostino la mia attenzione, riducendola al nulla, strappandola all’occhio di un sensato realismo, insieme alla bilancia di un paio d’occhiali che sappiano dosare le sfaccettature della saggezza dalle inevitabili “Rimembranze”…
Chiudo parentesi tonda, la quadra, poi la graffa. Quante equazioni da risolvere da scrivere o da leggere: ogni uomo ha la sua personale, nascosta dietro una maschera che, come Pirandello scriveva, indossiamo ogni mattina, prima di guardare fuori cercando e aspettando che passino minuti, ore e le sorprese di quella nuova quotidianità.

Condividi

Articoli Simili

0 Commenti

Non ci sono commenti

Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?

Scrivi un commento

Scrivi un commento

MONOLITE e “Frammenti di visioni”

Categorie

Calendario – Articoli pubblicati nel giorno…

Aprile 2024
L M M G V S D
1234567
891011121314
15161718192021
22232425262728
2930  

Presentazione del libro “Noi nel tempo”

Gocce di emozioni. Parole, musica e immagini

Edizioni Controluce

I libri delle “Edizioni Controluce”