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Akiko e il mare – di Vilma Viora

Novembre 30
00:00 2007

Akiko sognava l’indefinita e remota profondità del mare.
Ogni anno tornava su quella sabbia impolverata di cipria e gesso.
Bianca sul blu,i fiorellini del cotone sulle siepi.
L’ira del dio si era placata,la nave dondolava sonnolenta nel porto,aspettava…
Il meriggio apriva l’oro più squisito in onde e strisce di colore.
Le nuvole basse e consistenti raccoglievano i sogni diurni.
Era sola,un drappo rosso sulla spiaggia,come papavero nel grano.
Amava l’ora bianca del giorno pieno dilatare le forme e i confini del mondo.
Nulla era impossibile in quel silenzio di gabbiani cullati dolcemente a riva.
Il corpo stanco aderiva alla terra con un bisogno prepotente di esistenza.
Un ombrellone a righe permetteva il sonno. I pensieri scorrevano rapidi in quel tepore.
Un senso di vuoto risucchiava i sassolini sul bagnasciuga,qualche conchiglia residua ostentava la madreperla più fine.
Cavallucci opponevano malcelata resistenza al compimento dell’onda.
Il riposo,infine,dal senso di colpa originale,la perfezione dell’orizzonte lontano.
La quiete,il sommesso canto delle sirene senza malìa,libere di cantare per la purezza del suono.
Il sapore salato dell’acqua risveglio di vita vera,le illusioni dei tritoni in fondo ove più oscuro è il cammino,trascinavano argentate carte di caramella giù nel manto insabbiato ove dorme il mare.
Era leggera Akiko e vaporosa di sole e acqua e luce.
Il cuore appena intorpidito dal ricordo di infanzie multiple e giocate a fianco della laguna.
Saltellava quella sera a Venezia e le navi cigolavano il male infinito della ruggine lasciata a se stessa,la luna dietro ai mori nell’eterno battere del bronzo.
Il tempo fa male a volte,l’aria sottile di dolore attraversa la stoffa leggera di un abitino a fiori.
Sempre troppo magra e troppo attenta al tono della voce.
E poi altre giornate con le mosche nelle orecchie ronzavano nella stanza di campagna e gelsi e ulivi nell’entroterra romagnolo caldo e appassionato.
Donne con il velo nero sui marmi bianchi dei palazzi e un sapore di uva candita e bomboloni.
Il corpo poi che si trasforma in donna e sangue e foglia che cade.
Il corpo nell’acqua diventa parte della natura,si separa dall’ansia della notte per celebrare un rito antico.
La purificazione,la neve sulle ciglia della vergine,le gocce di pioggia che lavano la pietra e la rendono più lucida e vera.
Sognava Akiko di grappoli d’uva al tramonto,di lucciole infuocate nella distesa verde.
E sorrideva al sogno nuovo di mulini a vento e tulipani gialli.
Il mare era il regno dell’intimità,un discorso sottovoce con il cuore,l’apertura azzurra e smaltata alle parole che galleggiano senza legami.
La piuma dell’usignolo e dell’allodola frullavano attorno al vecchio albero rinnovando la livrea del legno profumato.
La nave non prendeva il largo,non ancora,quasi immobile nella curva delicata della baia,le vele bianche senza vento e rimorso.
Akiko si svegliò che era sera e il cerchio aranciato del sole per metà immerso lanciava lunghe fiamme sull’acqua.
Era ora di tornare,di aprire il canto ai grilli della sera,di accendere la luce nella stanza.
L’ora della febbre sottile che prende gli amanti delle stelle.

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