Carla Gugi, quarant’anni di pittura
Via Margutta, a Roma, a fianco dell’Osteria Margutta, fermo davanti alla porta vetrata della Galleria Il Saggiatore frugo con lo sguardo all’interno, alla ricerca della persona che molti anni addietro frequentavo con una comitiva di artisti, Carla Gugi, pittrice e direttrice della Galleria. Lei, sempre la stessa con il suo viso sorridente incorniciato dai folti e vaporosi capelli biondi, seduta, come tanti anni fa, sulla sua faraonica sedia di vimini, dietro una scrivania in fondo all’ampio locale della Galleria, sotto il soppalco ricolmo di quadri.
Per Carla le sedie hanno avuto sempre un significato metaforico, segnato dal ruolo delle persone che accolgono, quasi ricevessero da loro un imprimatur caratteriale e fossero umanizzate dal loro contatto. A vederla troneggiare tutta sola sulla sua famosa sedia, replica moderna di un trono faraonico, mi è venuto spontaneo pensarla come la regina della pittura di via Margutta: un regno durato esattamente quarant’anni. Carla aprì la Galleria Il Saggiatore nel 1973 battezzandola con il titolo della celeberrima opera galileiana, con chiara allusione all’importanza della ricerca sperimentale anche nell’arte.
Carla Gugi nasce a Roma, dove riceve la sua formazione artistica frequentando, dopo gli studi superiori, la Scuola Libera del Nudo presso l’Accademia di Belle Arti. Il suo esordio nel mondo dell’arte avviene da giovanissima, quando lo storico e critico d’arte Mauro Innocenti ne scopre le qualità di disegnatrice e pittrice e la incoraggia a proseguire nella sua attività artistica. Risalgono al 1965 le sue prime mostre personali a Roma, nelle sale del Complesso di San Salvatore in Lauro, e poi a Como, a Villa Olmo, a Bordighera e alla Galleria Ventitrè di Milano.
Sono fortunato, sono capitato per caso a ridosso di una personale di Carla da pochi giorni conclusa. In Galleria sono ancora esposti molti suoi quadri e molti altri ancora sono accatastati in vari angoli, testimoni di periodi diversi della sua ricerca artistica. Siamo soli e Carla può dedicarsi interamente a me, conducendomi pazientemente e con immutato entusiasmo giovanile in una personale rivisitazione delle diverse fasi della sua ricca e variegata produzione artistica. Sono attratto dai suoi quadri più recenti, quelli della “nuova ricerca”, come li chiama lei. Vedo in essi la materializzazione di quella fusione fra arte e scienza cui è dedicata l’Associazione culturale che ho l’onore di presiedere, intitolata proprio Arte e Scienza. Quadri che ritraggono ruote dentate ma soprattutto sedie, che negli ultimi anni sono diventate le protagoniste privilegiate della sua pittura, risucchiate nel turbine misterioso della spirale, metafora, per Carla, del pensiero: «La spirale la puoi allungare come vuoi, è il pensiero che si sviluppa». I colori sono vivaci ma caldi, quasi accoglienti, mai stridenti, sono la trasposizione pittorica di fluenti e armoniose note di una composizione sinfonica ben orchestrata. Carla intuisce la domanda che sto per farle: «I colori sono naturali, li preparo io con le terre, unendole con acqua ragia, olio di lino e acqua di papavero». Cominciamo il nostro itinerario nella pittura di Carla seguendo l’ordine cronologico consentito dai quadri disponibili in Galleria. Torniamo indietro al 1978: è il periodo della contestazione. La sua pittura si è sviluppata negli anni dando luogo a diversi “cicli”, caratterizzati da specifici temi di ricerca che, però, hanno tutti come comune denominatore la pittura «intesa come strumento di riflessione per indagare sulla natura umana», come osserva acutamente Italo Evangelisti in un suo scritto di introduzione al recente catalogo Carla Gugi, le sedie volanti. «I quadri di questo periodo li ho voluti mettere da parte come punti di riferimento della mia pittura», mi spiega Carla. In essi ha ritratto l’umanità ridotta a grafiche, la tangenziale del quartiere San Lorenzo come luogo allegorico della morte, la cementificazione che germoglia quasi fosse un grottesco e provocatorio sostituto della vegetazione distrutta. Nel quadro Fuga dalla città è espressa la voglia di fuggire, con un fardello sulle spalle, dalla città cementificata, sempre più estraniata dalla dimensione umana. Il tema ecologico, accompagnato sempre da efficaci moniti social-politici, è predominante nella produzione pittorica di Carla. In alcuni casi si permea di significati filosofici, dando corpo a una serie di dipinti di grandi dimensioni dedicati ai quattro elementi primordiali della filosofia presocratica: terra, aria, fuoco, acqua. Rimanendo ancora nel tema sociale, particolarmente espressivo e carico di allusioni è l’enorme dipinto intitolato Migranti, meno descrittivo di altre opere di Carla, nettamente distaccato da quelle del primo periodo della sua produzione caratterizzata da una figurazione fortemente influenzata dal post impressionismo di Cézanne. È rappresentato il dramma della migrazione con una tecnica espressiva che non è né surrealista né completamente astratta. Le immagini sono sfumate, indistinte ma, nell’insieme, guardando il quadro a una certa distanza, affiora l’idea della migrazione non tanto attraverso la percezione di una realtà razionalmente delineata bensì attraverso la liberazione di facoltà immaginative emotivamente guidate dall’impianto generale del dipinto. Si potrebbe quasi parlare di un surrealismo astratto. Si vedono e non si vedono corpi in movimento, oblò indistinti di una nave che nel dipinto in realtà non c’è ma quasi emerge dalle nebbie del nostro immaginario. È l’allusione alla migrazione di tutti i tempi e di tutte le genti. La tela è enorme, divisa in diversi moduli, ciascuno esso stesso di grandi dimensioni. L’idea è quella di realizzare il quadro come un grande puzzle, ricomposto accostando i vari moduli. Una tecnica applicata da Carla anche ad altri quadri e che ha risvolti pratici: facilitare il trasporto e dare la possibilità di sistemare i vari moduli su più pareti dando luogo a un effetto pittorico particolarmente gradevole. Carla con sempre maggior entusiasmo e partecipazione continua ad accompagnarmi nel nostro viaggio all’interno della sua pittura, all’interno, perché mi fa entrare dentro le emozioni che li hanno generati. Scorrono l’uno dopo l’altro i numerosi temi della sua “sperimentazione” artistica: i viaggi, Venezia, le scarpe, il carnevale, la Cina, Fellini. Ma sopra tutti predomina, anche come estensione temporale, il tema delle sedie che si è sviluppato sin dal 1989 dando luogo a diverse stratificazioni formali e di contenuto. «Negli anni ’90 – mi spiega Carla – trattavo le sedie soprattutto come elementi di arredo e di comodo, anche se nel 1989, nel quadro Perdere la poltrona, dove strani uomini compiono incredibili acrobazie per non perdere il contatto con la poltrona, è già chiaro il significato metaforico che dopo ho sempre visto nella sedia. In quel caso, ovviamente, si trattava dell’attaccamento al potere. Ma è stato nel luglio del 2000, dopo l’incendio che ha devastato la Pineta di Castel Fusano, che fui colpita dalle immagini televisive di alcune sedie che, per quanto bruciacchiate, erano l’unica cosa che in qualche modo era riuscita a sopravvivere alle fiamme, a conservare una certa integrità fisica che ne consentiva la riconoscibilità. Ho cominciato quindi a focalizzare le sedie in altro modo: le ho studiate». E in tutte le più svariate manifestazioni del suo immaginario artistico. La coppia, Intimità, Spirale, Panni stesi, Inflazione, Instabilità, Lavori in corso, Sit-in Ambra Jovinelli, Tutto il contrario di tutto, Trionfo della creatività, La Divina Commedia, Concerto per Roma, Auditorium, Ruota dentata, Europa, Integrazione, G8, Umanità compressa sono i titoli dei principali quadri dedicati alle sedie, alle sedie “umanizzate”, recanti i segni della loro “convivenza” con l’uomo. Ma forse un quadro, Graffiti, esprime più di ogni altro con inequivocabile chiarezza la capacità della sedia di ricevere l’impronta delle persone che le usano. Sulle sedute delle sedie i profili dei volti delle persone che le hanno usate, rimasti impressi, a cimentare il loro legame con l’oggetto che le ha sostenute e che in qualche modo ne ha conservato la memoria, la traccia, proprio come graffiti.
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